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03 gennaio 2011

LA DISCRIMINAZIONE IN RAI HA QUESTE STORIE E QUESTI VOLTI

Come e perchè due giornaliste del servizio pubblico, prima che belle, brave e intelligenti, vengono tagliate dal Minzolini di turno.
La lettera aperta alla redazione del TG1 di Tiziana Ferrario
Nessuna lesa autonomia del direttore, nessun trionfo della gerontocrazia, nessun baronato, nessuna inamovibilità del conduttore. L'ordinanza con la quale sono stata reintegrata nei ruoli che svolgevo al Tg1 prima della mia brutale rimozione, ha semplicemente stabilito che non posso stare senza lavorare e che mi devono essere assegnate mansioni adeguate alle mia professionalità di cui la conduzione è una componente molto importante. In un anno e mezzo di direzione Minzolini la Rai non ha potuto mostrare al giudice alcun documento che provasse il mio utilizzo, nessuna trasferta tranne quella ordinatami in fretta e furia a novembre quando la direzione - solo dopo essere venuta a conoscenza della mia causa e dell'udienza fissata per il 26 novembre scorso - mi ha chiesto di sostituire per 15 giorni il corrispondente di New York. Per dimostrare la mia totale disponibilità sono partita chiedendo al giudice un rinvio dell'udienza, che avevo atteso con ansia. Il foglio di viaggio a New York è stato l'unico documento esibito come prova del mio utilizzo in un anno e mezzo. Un po' poco e anche un po' troppo costoso visto che sono regolarmente pagata tutti i mesi. Il giudice ha deciso che non posso stare dietro una scrivania senza fare niente. Devo lavorare e poiché dopo la rimozione dai ruoli che ricoprivo al Tg1 non mi è stata fatta alcuna proposta seria equivalente, e proprio perché i giudici non possono stabilire gli organigrammi né gli incarichi, per il momento devo tornare a svolgere quello che facevo, in attesa che la Rai mi proponga un nuovo ruolo equivalente. Chi parla di inamovibilità è in malafede.
Sono stati mesi di grande solitudine e di dolorosa umiliazione che ancora continua a causa delle dichiarazioni del direttore Minzolini. Umiliazione come giornalista, che si è vista all'improvviso estromessa senza una ragione professionale dal lavoro quotidiano, e umiliazione come donna accusata pubblicamente sui giornali di essere vecchia e colpevole solo di avere lavorato per 30 anni, in più ruoli, nella stessa testata giornalistica. Mi chiedo perché questo debba essere ritenuto una colpa. E mi chiedo anche quanto maschilismo ci sia nelle considerazioni di Minzolini sulla mia persona e quanta superficialità traspaia quando parlando della mia rimozione usa la discriminazione per età pensando che sia meno grave della discriminazione politica. Roba da far ricorrere di nuovo ad un giudice per violazione della legge sulla parità per ragioni di età, come già sperimentato in Gran Bretagna da alcune colleghe giornaliste televisive. Per il momento è la Rai che ha annunciato ricorso contro l'ordinanza. Speravo non accadesse, perché preferirei concentrarmi di nuovo sulle notizie e non sulle carte giudiziarie.
A differenza di Minzolini, io ho lavorato al fianco dei colleghi illustri che cita in continuazione in questi giorni, quando mi offende dalle pagine dei giornali, accusandomi di ostacolare il ringiovanimento. Vorrei ricordargli che Bruno Vespa ha smesso di condurre il Tg1 perché ne è diventato il direttore e continua ad andare in video quattro sere alla settimana ancora oggi, che Paolo Frajese, grande professionista purtroppo morto troppo presto, lasciò la conduzione quando fu nominato capo della sede di Parigi, che Angela Buttiglione diventò direttore di Rai International, che Borrelli fu anche lui nominato direttore del Tg1. Nessuno di loro è stato umiliato, offeso sui giornali e messo dietro una scrivania a fare niente quando ha lasciato la conduzione. Nessuno di loro è stato avvisato all'improvviso con una telefonata, mentre si trovava in vacanza, che non avrebbe più svolto le stesse mansioni senza che altre fossero concordate prima. Ci vuole più rispetto delle storie personali e meno arroganza, più confronto e meno emarginazione di tanti ottimi professionisti. Il Tg1 ha bisogno di ritrovare quella credibilità che ha perso e recuperare quel pubblico che lo ha abbandonato. Serve però un cambio di rotta, come ha detto l'Agcom, e non è con le sole esibizioni muscolari che si dirige una redazione e si fa buon giornalismo.

Brutte notizie - Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv - Rizzoli
Perché in Italia il servizio pubblico non è al servizio del pubblico, ma della politica: la denuncia dall’interno di una giornalista che non ha voluto essere complice.
Grazie agli anni di conduzione del Tg1, Maria Luisa Busi è uno dei volti più noti del giornalismo italiano. La sua uscita di scena, in polemica col direttore Minzolini, ha suscitato grande scalpore.

ESISTONO ALMENO DUE ITALIE.
C’è quella da cartolina, dove si mangia bene e i problemi non esistono o, alla peggio, si risolvono da soli. E c’è poi un’altra Italia fatta di povertà emergenti o consolidate, di disoccupazione e precariato, di mercificazione delle donne, di conflitti d’interesse, di uso politico dei media. In un Paese normale, un giornalista del servizio pubblico dovrebbe avere il diritto (e il dovere) di raccontare tutto questo. Ma da noi non funziona più così.
Lo dimostra Maria Luisa Busi, volto di punta del Tg1 delle 20 che, dopo anni di carriera, nel maggio 2010 ha lasciato la conduzione, perché non condivideva la linea editoriale del nuovo direttore. Brutte notizie spiega come il telegiornale più seguito, quello che per vocazione dovrebbe dare spazio a tutte le voci e le idee, è venuto meno al suo compito. Facile ottimismo, montaggio delle notizie spesso tendenzioso, informazione che si snatura in intrattenimento: così, quello che dovrebbe essere lo specchio fedele di un Paese deforma la realtà quotidiana di un’Italia stretta nella morsa della crisi economica e sociale.
Un libro che è un atto d’accusa dei meccanismi di manipolazione, ma diventa anche denuncia delle notizie oscurate — dalle condizioni dei terremotati dell’Aquila alla propaganda mediatica sull’immigrazione, dall’affaire Alitalia alle vite scritte a matita di milioni di precari e senza lavoro, sino ai suicidi degli imprenditori del Nord Est travolti dalla recessione — e restituisce finalmente voce agli invisibili di cui alcuni non vogliono sentire parlare.
Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il Tg1 l’ha eliminata.
I dietro le quinte dell’informazione televisiva svelati da una protagonista che ha detto no.

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