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Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

Benvenuto nel mio blog

Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

Se vuoi scrivermi, usa il seguente indirizzo: mieidee@gmail.com

29 febbraio 2012

Perché consiglio i concerti di Pippo Pollina

- perché le sue canzoni fanno bene al cuore;

- perché i suoi amici sono i miei amici;

- perché l'arte, quando è tale, non può avere padroni
e non si prostituisce.  

In questo senso, e con immutata fiducia, vi comunico quindi le date del mio prossimo tour italiano nell'intima speranza di vedere tantissimi di voi in teatro. Il teatro, quel luogo dove si celebra la memoria, e che gli assassini delle coscienze stanno cercando di cancellare dal vocabolario comune di una società volgare e piegata dalla viltà. (P.P.)



Con queste parole Pippo Pollina chiude la nota in Facebook con cui annuncia il suo tour di  primavera in Italia, dopo aver denunciato la crisi, anche della cultura e delle arti, in cui affoga il nostro Paese. 

Il tour di Pippo che partirà il 26 marzo da FAENZA (RA), in Sicilia toccherà LICATA (AG) il 28 Marzo e PALERMO il giorno successivo. 
Il concerto abitare il sogno: un viaggio di musica e parole lungo 30 anni darà a Pippo l'opportunità di fare riferimento ad episodi e aneddoti tratti dal suo racconto autobiografico Abitare il sogno, scritto in collaborazione con Franco Vassia. Ma, soprattutto, di offrirci un'antologica della sua straordinaria produzione musicale, accompagnato dalla sua chitarra, dal suo pianoforte e dal sax di Gaspare Palazzolo.  





 


Voglio citare di Pippo un'altra nota, ospitata nel mio blog il 20 maggio 2010, in cui poesia e rimpianto per cose e persone di un tempo che fu diventano un unicum armonico.  
Quello che mi manca 
Sono donne e uomini. Sono pietre sicure su un cammino pieno di vento e di bugie distese al sole. Sono gli interpreti di utopie vecchie come il mattino che verrà. Sono gli occhiali di osso scuro di Pier Paolo Pasolini e le sue eresie in bianco e nero, le sue parole prestate all'arte senza un perchè... È il canto della terra di Mercedes Sosa, madre di ogni madre, voce dei disperati e di ogni dolore che recita la pioggia al contraio nei barrios sperduti dell'America latina... (Pippo Pollina)

Dai giornali poveretti: "Solo un cretinetti"


Condivido pienamente la nota di Michele Serra su La Repubblica di oggi. Mi piacerebbe soltanto vedere in faccia qualche lettore di questi sedicenti giornali e scambiarci qualche parola. Forse riuscirei a convincerli che, nella maggior parte dei casi, non si tratta di giornali ma di carta straccia. E molti di coloro che li imbrattano, non sono giornalisti ma pennivendoli prezzolati che spesso, individuato il nemico di turno del loro padrone, gli scaricano addosso tutto il veleno di cui dispongono nel tentativo di fidelizzare i loro lettori (?). 

Forse è davvero responsabilità loro se in questo Paese si è perduta, ormai da tempo, la civiltà del dialogo e dell'ascolto. 


“È solo un cretinetti” è l'elegante titolo che il Giornale dedicava ieri, a tutta prima pagina, al manifestante no-Tav caduto dal traliccio. In termini semantici, politici, soprattutto umani, la derisione dell'agonizzante fa da perfetto pendant alle scritte sui muri della sedicente area antagonista contro Caselli. Nessuna differenza, né di stile né di significato, quando si cancella la fisionomia umana del  “nemico”. Da tempo, del resto, un pezzo importante del giornalismo italiano di destra sembra avere perduto ogni rispetto: di se stesso. Vanno in televisione (su tutte le reti, a tutte le ore del giorno) in giacca e cravatta, sfoderando sorrisi e discorrendo amabilmente: e quelle sono le pubbliche relazioni. 
Poi in privato, sui loro giornali, per la cerchia ristretta dei loro lettori, il linguaggio diventa sputo. Non le idee, ma le singole persone, con nome e cognome, sono esposte all'odio e al disprezzo, come teste mozze sulle picche. Meritevoli di sghignazzo anche da rapiti o da morti, come fecero con il povero, umile, coraggioso Ernesto Baldoni, ammazzato dagli assassini islamisti e trattato da coglione perché (pensate!) viaggiava da free-lance in zona di guerra. Adesso c'è il cretinetti morente. Tanto, in capo a un paio di giorni, tutto passa in cavalleria. C'è un nuovo dibattito televisivo da affrontare con piglio british, e un nuovo titolo sul quale infilzare la preda di turno. 
Speriamo che il prossimo sia almeno in buona salute. Michele Serra

A questi pseudo-giornali e ai loro sedicenti gionalisti ho dedicato alcuni post. Leggili.
Eroici i giornalisti del Giornale e di Libero! 
Se quelli del Giornale alla Sallusti o quelli di Libero ... 
COSA CI POSSIAMO ASPETTARE DA QUELLI DI LIBERO E DEL GIORNALE? 

27 febbraio 2012

Come si fa a non leggere e riflettere sull'esaustiva pagina di Franco Cordero in Repubblica di oggi?

Il suo stile scientemente involuto, l'erudizione somma, il lessico ricco, preciso e inconsueto possono renderlo ostico ai più. Ma la vivacità del pensiero, l'ironia e l'indignazione intellettuale ne fanno un pensatore e uno scrittore affascinante. Le sue analisi possiedono il timbro della saggezza ingenua delle favole per bambini, giovevoli specie agli adulti.  

Tutti gli scudi del Cavaliere - di Franco Cordero 
L’Ex-premier è imputato a Milano quale corruttore in atti giudiziari: una parte congeniale, visti i precedenti, stavolta tintinnano 600mila dollari all’avvocato londinese David Mills, esperto in labirinti fiscali nonché servizievole testimone. Lo racconta il predetto, confesso in Inghilterra e Italia, sicché alla difesa resta solo l’arma del perditempo, tanto da estinguere i reati. Monsieur B. aveva ricusato l’intero collegio: è la nona volta e soccombe ancora, impassibile. Le sue guerre forensi sono materia da stomaco forte, dove onore, verità, belle figure dialettiche contano poco. Se l’asserito reato esista e sia ancora punibile, doveva dirlo il Tribunale. 
L'ha detto: esiste e nei suoi calcoli risulta estinto dal tempo; era punto controverso. In lingua meno tecnica, l’impenitente corruttore schiva la pena e gli resta il marchio: fosse dubbio il fatto, sarebbe assolto; non se ne vanti, quindi. Avere schernito Dike con i versi della scimmia è titolo da compagnia equivoca: infatti vi gode un meritato culto, patrono con aureola; Kronos mangia i delitti. 
L’analisi comincia dalla persona. Esistono italiani intolleranti della serietà: preferiscono Crispi a Cavour; detestano Giolitti; liquidano De Gasperi; amano i buffoni, specie quando emergano aspetti sinistri. Mussolini li incanta con le smorfie al balcone e sotto la divisa da primo maresciallo dell’Impero: vola, nuota, balla, scia, miete, batte il passo romano, farnetica glorie militari; dopo vent’anni resterebbe a vita nella sala del mappamondo se non muovesse guerra a tre imperi.  
Berlusco Magnus è catafratto nella sicumera degl’ignoranti: sguaiato megalomane, ha fantasia fraudolenta, menzogna estrosa, occhio sicuro nel distinguere i lati peggiori dell’animale umano; vìola allegramente ogni limite. Le sue gesta stanno in quattro verbi: corrompe, falsifica, froda, plagia (mediante ipnosi televisiva, allevandosi una massa adoperabile); cervelli e midolla sono materia plastica. Due mosse strategiche dicono cos’abbia in mente: appena salito al potere, homo novus, propone guardasigilli l’avvocato che gli combinava ricchi affari loschi (il capolavoro è la baratteria con cui s’impadronisce della Mondadori comprando una sentenza); e degrada a bagatella il falso in bilancio, importantissimo nella diagnostica penale. In due legislature, padrone delle Camere, attua quel che sarebbe appena immaginabile in monarchie piratesche: governo personale, quasi lo Stato fosse roba sua; brulicano voraci faune; i convitati spolpano l’Italia. L’effetto non tarda. Fanno testo i numeri forniti dalla Corte dei conti: 60 miliardi l’anno nel giro d’affari corrotti; e un’evasione fiscale calcolabile in 100-120 miliardi; invano il Consiglio d’Europa raccomanda misure contro la tenia economica (verme nient’affatto solitario, visto come gavazzano P3, P4 et ceterae); il governo non batte ciglio. Metà dell’intera patologia europea fiorisce qui. Dove porti la politica del laissez manger, è presto detto: traslocando nel novembre 2011, sotto l’assalto dei mercati, l’Olonese lascia un debito pubblico pari a 1.905.012 (miliardi d’euro) ossia il decuplo dell’annua emorragia malaffaristica; aveva governato otto anni e mezzo, «uomo del fare». I conti tornano. 
Estinzione del reato, dunque, e se l’è sudata: incasserebbe i quattro anni inflitti a Mr Mills da Tribunale e Corte d’appello se le Camere affollate da uomini e donne del sì non votassero un malfamato lodo che vieta i giudizi penali nei suoi confronti, quia nominatur leo, strapotente capo del governo; quando va in fumo, dichiarato invalido, gli servono un privilegio dell’impedimento d’ufficio a comparire nell’aula. Così passano settimane, mesi, anni. Era latta anche questo scudo: finalmente compare ma nominor leo, quindi concede al massimo un giorno alla settimana e il dibattimento, illo tempore sospeso, deve ripartire davanti a un collegio diverso; il tutto basta appena, essendosi Sua Maestà accorciati i termini della prescrizione, con relativa amnistia occulta. Caso mai non bastasse, aveva pronte due leggi da manicomio: l’imputato ricco allunga finché vuole i dibattimenti arruolando testimoni a migliaia, e sul processo pende una mannaia; scaduto il termine, gli affari penali svaniscono. 
Sembrano incubi d’un cattivo sonno. No, è vergognosa storia recente. Come Dio vuole, sabato 12 novembre 2011 esce dal Palazzo avendo condotto l’Italia a due dita dalla bancarotta, ma non pensiamolo depresso: cova revanche; arrotano i denti dignitari, sgherri, domestici d’ambo i sessi, infuriati dalla prospettiva d’una ricaduta nel nulla. 
Mercoledì 22 febbraio nelle tre ore del colloquio col successore tocca argomenti caldi quali Rai e giustizia: le cosiddette «carriere separate» ossia un pubblico ministero governativo, che dorma o azzanni, secondo gli ordini; non dimentichiamo chi voleva installare in via Arenula. Gli spiriti animali restano integri. Lo confermava l’energico sostegno al piano delle Olimpiadi, come se opere colossali, talora finte, non avessero divorato abbastanza denaro; particolare pittoresco, sedeva a banchetto qualche gentiluomo del papa. La Corte dei conti (16 febbraio) chiede due misure dal senso chiaro: riconfigurare comme il faut il falso in bilancio; e un regime equo della prescrizione, l’attuale essendo criminofilo. 
Ogni tanto lamenta d’avere speso somme enormi in parcelle. Parliamone: ai bei tempi penalisti d’alta classe giostravano nel merito delle cause, fatto e diritto, sdegnando i cavilli procedurali; dura il ricordo d’avvocati giuristi quali Arturo Carlo Jemolo o Alfredo De Marsico, morti quasi poveri dopo una lunga vita in cattedra e sui banchi giudiziari. 
Erano sapienti ma disadatti al mestiere, commentano eroi del Brave New World, scambiando sogghigni porcini. L’immagine viene da Orwell, nella cui molto istruttiva Fattoria degli animali comandano maiali umanoidi dal freddo aplomb manageriale: una specie importante; chiamiamola verres erectus. Siamo salvi dal default. Deo gratias. Rimane una questione grave: quanto mordano nel codice genetico gli ultimi vent’anni; anzi, trenta, se v’includiamo l’antipedagogia televisiva. 

25 febbraio 2012

Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge

Nessuno può essere più eguale degli altri!   

Qualunque cosa, dunque, abbia da obiettare il cittadino Berlusconi nei confronti del Tribunale che dovrà giudicarlo, è bene che lo faccia nella sede appropriata, cioè nell'aula di Giustizia, e in relazione all'ipotesi di reato che gli viene contestata. 

Gli Italiani non vogliono vederlo condannato a qualsiasi costo; vogliono invece che le sue pendenze giudiziarie possano trovare una conclusione giudiziaria e non politica, come succede agli altri cittadini di questo Paese quando vengono chiamati in giudizio. 


Mi sembra una cosa di un'evidenza lapalissiana. Così recita, a quanto pare, l'art. 3 della nostra Costituzione: 
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Costituzione italiana, art. 3) 

P.S. Meglio sarebbe che non fosse consentito a nessuno di portare avvocati in parlamento con la collaborazione dei quali costruirsi leggi ad personam e scappatoie varie, e poi servirsi di quelle leggi e di quegli avvocati per mandare in vacca i processi che lo vedono imputato. 

24 febbraio 2012

Riflessioni sul tempo attraverso l'arte

Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) 

A completamento della cena avevamo mangiato un Camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della ipermollezza di quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier e, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto su cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una vista del paesaggio di Port Lligat. Sapevo che l'atmosfera che mi era riuscito di creare in quel quadro doveva servirmi come sfondo ad un'idea ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce quando, d'un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell'ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato. (Salvador Dalì)

Ogni volta che mi è capitato di osservare La persistenza della memoria di Salvador Dalì, sin dall'epoca del ginnasio quando la vidi per la prima volta raffigurata in un testo scolastico, non è stata la concezione del tempo di Bergson come durata e sedimentazione o la teoria della relatività di Einstein e, tanto meno, la rievocazione malinconica del passato perduto nella Ricerca di Proust che mi ha richiamato. 
No, no. Tra l'altro non ero ancora venuto a contatto con l'opera del grande filosofo francese né col monumentale capolavoro di Marcel Proust ai quali mi sono accostato per necessità scolastiche solo durante l'ultimo anno degli studi liceali, che successivamente ho approfondito per interesse personale oltre che per dovere professionale. 

La persistenza della memoria di Dalì continua a turbarmi ancora, come mi capitò da ragazzo la prima volta, perché produce nel mio animo una sorta di atroce straniamento: gli orologi (normali oggetti segnatempo) così deformati, dilatati, inseriti come in un'improbabile natura morta, con lo sfondo di un paesaggio sospeso e inverosimile, mi danno i brividi. Anche i toni accesi, il tronco rinsecchito e la figura centrale che mi ha sempre dato l'idea di una bestia stramazzata, producono in me sensazioni forti e dolorose. Più che alla persistenza della memoria il dipinto mi fa pensare alla fine di un mondo con i suoi punti di forza, di ordine e certezza. 
È l'immagine desolata e desolante, allucinata forse, del nostro domani. 

Qui, in Italia, viviamo in un tempo sospeso

23 febbraio 2012

Qui, in Italia, viviamo in un tempo sospeso

Guardiamo con grande preoccupazione a quello che succede in Grecia, col timore che l'Italia possa fare la stessa fine. Abbiamo accettato con qualche perplessità che l'élite dei tecnici andasse al governo, sostituendo l'autocrazia dell'imprenditore ghe pensi mi, ma scopriamo che essa deve fare i conti con una casta inamovibile che svuota in parlamento il piano delle liberalizzazioni e pretende, invece, che la riforma del lavoro passi, come l'intervento sulle pensioni, a scatola chiusa. 

Ci piace che il governo abbia dato un segnale forte sull'evasione fiscale e ci auguriamo che prosegua nell'impegno di far pagare le tasse agli evasori, ma vorremmo che venisse presa di mira anche la corruzione imperante ripristinando e inasprendo quelle leggi che la colpiscono (il precedente governo le ha cancellate e ne ha introdotto altre su misura nell'interesse del proprio leader e degli accoliti). 

Non ci impressionano i redditi milionari prodotti da questi tecnici negli anni che precedono l'incarico di governo, specialmente quando scopriamo che, rinunciando ai cespiti delle precedenti attività, gli emolumenti che percepiscono al servizio del Paese risultano significativamente inferiori. Apprezziamo, anzi, il bisogno di trasparenza che li ha spinti a renderli pubblici. 

Ci duole, tuttavia, la scarsa sensibilità con la quale colpiscono a colpi d'accetta pensioni, salari e stipendi di mera sopravvivenza mostrando, invece, il guanto di velluto in ambiti in cui l'intervento sarebbe auspicabile, legittimo e doveroso. Ci piacerebbe vederli impegnati, per fare un esempio, a smantellare i privilegi della Chiesa con la stessa lena, urgenza e zelo con cui stanno smantellando lo Statuto dei lavoratori. 

Assistiamo con disappunto al tentativo insano di tanti personaggi, sedenti con demerito in parlamento, di tirare per la giacchetta il presidente del consiglio in carica iscrivendolo d'ufficio alla propria parte, senza accorgersi che l'attuale governo rappresenta la sberla più mortificante ad una casta politica corrotta e inconcludente che si appresta a tornare in campo.  

Con quale faccia, con quali intenti, con quali progetti, non si capisce. 

O, meglio, si capisce benissimo! 

19 febbraio 2012

Ivano Fossati dà l'addio alle scene con l'ultimo tour

Mentre il baraccone di Sanremo portava a termine il suo rito consunto, ieri al Geox di Padova oltre 2500 spettatori paganti celebravano Ivano Fossati che dava l'addio alle scene - come tutti i grandi artisti - con il suo Decadancing tour

In questo clima da tardo impero se la lingua che parliamo è in decadenza, se politica e morale sono già decadute, il lavoro manca e la cultura - la musica in particolare - ricopia se stessa fino allo sfinimento, i ragazzi guardano oltre le frontiere con speranza, e io non farei niente per trattenerli. Ivano Fossati 


Quelle che seguono sono le impressioni postate in fb da Roberta che ha assistito entusiasta al concerto di Ivano. 

Ieri al Teatro Geox di Padova si respirava poesia nelle parole e nelle note di Ivano Fossati, che si è esibito magistralmente alla chitarra, al pianoforte, all'armonica a bocca e al flauto traverso. Voce calda e avvolgente, composta e dimessa nei brevi racconti quasi in punta dei piedi, energica e vibrante nei brani musicali che hanno ripercorso in tre ore più di 30 anni di carriera. E mentre lui sembrava non voler più salutarci, il suo pubblico (più di 2500 persone) l'ha applaudito fino a farsi male alle mani quasi a non volerlo più lasciare andar via. E in quest'epoca di kermesse canore fatte sempre più spesso di riflettori abbaglianti, successi facili e canzonette di discutibile qualità, ieri a Padova abbiamo salutato un grande, e dico davvero Grande, della musica italiana. Roberta R. 
Il tour, che sta toccando tutti i maggiori teatri italiani, isole comprese, è un'occasione non solo per salutare il suo pubblico ma anche per presentare e raccontare l'album Decadancing, già anticipato dal singolo La Decadenza uscito a settembre. Il tema del singolo è la necessità dei giovani italiani costretti a dover guardare oltre confine per riuscire a trovare il proprio futuro, che invece in Italia viene loro troppo spesso negato.









Finalmente chiude Sanremo

Il festival più orrendo, banale, porno, ignorante, immorale, blasfemo, muffo, inutile, vergognoso, scemo che si ricordi (per citare Natalia Aspesi che cita gli opinionisti più accreditati). 

Hanno vinto tre giovani donne Emma, Arisa e Noemi (la bionda, la bruna, la rossa). Chissà che l'anno prossimo non si presentino assieme, con l'acronimo NEA! Sempre che il festival abbia una prossima edizione. 

Per me è stata la saga della scempiaggine, del vuoto a perdere, dell'approssimazione più spinta, delle farfalle in vetrina, delle prediche insulse e fuori contesto, delle foche in platea che fanno il verso alle foche sul palco. La vetrina perfetta di un paese in crisi - anche d'identità - e di un servizio pubblico allo sbando. 

Fatta eccezione per la serata dedicata agli ospiti stranieri, quando si è ascoltata buona musica con interpreti d'eccezione, di questa passerella del cattivo gusto si salva soltanto la performance di Rocco Papaleo e l'analisi finale, tra il comico e il sarcastico, di una straordinaria Geppi Cucciari. Su Celentano ho detto alla prima puntata, nient'altro da aggiungere.  


Resteranno, come al solito, le code polemiche e l'analisi dei dettagli nei contenitori rai del toto-pensiero che tutto mastica e ricicla. 


17 febbraio 2012

La Grecia non è solo sole e mare, vacanze e isole… è un Paese che combatte

Con queste parole Nikos chiude l'accorata lettera agli Italiani, pubblicata sul sito Informare per resistere  
   

Nella lettera Nikos offre, da testimone attivo, un resoconto appassionato sugli scontri con la polizia, avvenuti domenica scorsa in piazza Sintagma, davanti al Parlamento greco. 
Il racconto fornisce lo stato d'animo di un intero popolo, oscillante tra frustrazione, disperazione, impotenza e voglia di lottare e resistere per riconquistare il senso di appartenenza e l'identità di una nazione portata nel baratro dai suoi governanti, dalle banche, dalle multinazionali e, infine, dalle pesanti, insostenibili condizioni imposte dall'Europa per ottenere gli aiuti comunitari. Non manca nelle parole di Nikos un giudizio sprezzante sui personaggi succedutisi al governo negli ultimi 10 anni, sui politici che siedono in Parlamento, sul FMI e sull'Europa ripiegata sulle posizioni di Angela Merkel. 

La lettera si chiude con questo appello al quale non si può rimanere insensibili:
Cari amici, vi mando un abbraccio forte, un saluto dal popolo Greco e vi aspettiamo per iniziare ad unire le nostre voci! Il Mediterraneo deve alzare la testa! Contro quelli che ci vogliono schiavi e servi. Contro quelli che vendono la terra nostra. Contro quelli che ci rubano la vita, i sogni e la prospettiva di fare famiglia. Contro quelli che chiudono gli ospedali e le scuole, quelli che danno la nostra ricchezza naturale alle multinazionali straniere.
SIAMO TANTI, SIAMO UN PUGNO, SIAMO UMANI ANCORA… POSSIAMO VINCERE! 



Leggi la lettera di Nikos  

16 febbraio 2012

Lettera aperta ad Adriano Celentano


Carissimo Adriano, 
io non so quale sia la molla che ti spinga a monopolizzare spazi pubblici multimediali per diffondere il tuo messaggio. 
Lo fai per far conoscere al mondo le tue verità inappellabili senza contraddittorio? Questo non lo faceva neanche Gesù Cristo che, molto spesso, accettava il confronto. 
Lo fai perché, avendo una grande popolarità come cantante, pensi che i tuoi monologhi meritino lo stesso apprezzamento? Non ti sembra questa un'ambizione velleitaria? 
Lo fai per toglierti qualche sassolino dalle scarpe e praticare qualche facile vendetta?  Non voglio crederci, perché un buon cristiano sa che il vangelo invita a porgere l'altra guancia. 


Allora perché, tu che riesci a diffondere magnificamente i tuoi ideali tramite la musica e le canzoni, vuoi scendere nella fossa dei leoni dalla quale solo Daniele si salvò miracolosamente? 

Caro Adriano, la tua musica e i tuoi testi trasferiscono al vasto pubblico un messaggio immediatamente comprensibile e dai più apprezzato; le tue parole a ruota libera, invece, suonano come deliri inaccettabili e risultano incendiarie e divisive. 

Tralascio, in proposito, le gravi responsabilità di una RAI allo sbando che, pur di riconquistare il grande pubblico, ti sfrutta e ti strumentalizza volgarmente.  

Il mio pensiero è rivolto solo a te perché possa riflettere seriamente sugli effetti che producono le tue predicheIo vorrei credere nella tua buona fede e perciò ti dico:
se vuoi continuare a dire qualcosa di buono e utile, fallo con la musica; 
se vuoi fare, anche, qualcosa di cristiano, fallo con le opere. 
La tua  Coscienza

L'interprete musicale apprezzato 

Il predicatore delirante 

15 febbraio 2012

A Sciacca anche il Carnevale fa default

La 112° edizione del Carnevale di Sciacca è sfumata miseramente: il bilancio del Comune è in profondo rosso, il sindaco Bono si è dimesso e in primavera si andrà ad elezioni anticipate.  Anche Peppe Nappa ha dato forfait e non oso immaginare il disappunto di tutta la popolazione saccense che intorno al Carnevale da sempre ha costruito il proprio sogno di riscatto.  

Maestranze, carristi, parolieri, musicisti, coreografi - per non parlare dei negozianti - quest'anno sono rimasti profondamente delusi e amareggiati. 

Io penso, però, che questa défaillance sia da considerarsi un episodio eccezionale, che vada vissuta come un anno sabbatico per ripensare tutta l'organizzazione e la gestione, anche finanziaria, dell'importante manifestazione popolare. 
Il Carnevale di Sciacca non può morire ma non può sopravvivere come un evento fine a se stesso.  Va ripensato sicuramente in relazione ad un vero progetto di sviluppo della città di Sciacca, di rilancio delle sue notevoli potenzialità e risorse, in primis il turismo.  



A Febbraio niente carnevale a Sciacca 
I SOLDI PER IL CARNEVALE DI SCIACCA 2012? 
FACCIAMOCELI DARE DALLA REGIONE!
La storia del Carnevale di Sciacca 


Ps: C'è da augurarsi che i cittadini di Sciacca vengano messi nelle condizioni di eleggere, nella prossima tornata amministrativa, un Sindaco e una compagine consiliare sinceramente votati al rilancio socio-economico della città e delle sue infrastrutture. 
Relativamente al malumore dei commercianti per i mancati profitti, no comment. Fino a quando rivendicheranno il passaggio delle automobili private davanti alle loro vetrine, senza capire che debbono alzare le barricate per chiedere che il centro storico diventi isola pedonale, con parcheggi e bus-navette opportunamente predisposti, non meritano considerazione alcuna.  

14 febbraio 2012

DESTRA = O ≠ SINISTRA ?

È molto in voga, tra i governanti deposti, lodare il governo Monti come ideale prosecutore della loro opera illuminata. Da Alfano al socialista (ah! ah! ah!) Cicchitto e addirittura alla Santanché, che avendo sentito dire che Monti è di destra se ne sente in qualche modo imparentata. Il trucco è patetico, ma fa parte di quegli auto-inganni che aiutano a tirare avanti quando i conti con se stessi sarebbero troppo dolorosi. Basterebbe una lettura anche distratta della stampa del pianeta Terra per prendere atto che il cambio Berlusconi-Monti è vissuto, nel mondo intero, come un miracoloso ribaltamento: come se la Costa Concordia si raddrizzasse da sé sola, tirasse un muggito con la sirena e riprendesse la navigazione.  
Niente – non lo stile, non gli obiettivi, non la velocità di esecuzione, perfino non l’aplomb dei maschi e delle femmine – rassomiglia, nel governo Monti, al precedente.  
Destra, per altro, significa poco, forse anche meno di sinistra. 
Di destra furono Mussolini e Einaudi, Almirante e Scalfaro. Di destra è la Minetti e probabilmente il ministro degli Interni Cancellieri. Non solo non c’è nesso, ma c’è una cesura clamorosa, mai vista nella storia repubblicana, tra la destra di Arcore e quella che ne ha pietosamente rimosso la salma. = L'Amaca di Michele Serra su Repubblica. 


Vero, tutto vero ciò che scrive Serra: sembra un miracolo che sulle macerie lasciate da quel bullo di Arcore si sia installato un vero governo, responsabile, serio, distante mille anni luce dai guitti che lo hanno preceduto. 
Un governo di destra, però, delle cui scelte non si può andare fieri. Anche quella sinistra interpretata da Bersani non può e non deve gioire di un governo che rischia di confondere le idee ai suoi elettori. 
È da decenni, ormai, che aspettiamo che in Italia si dica qualche parola semplice, chiara, netta di sinistra. Che non venga contrabbandata la buona politica di destra come necessaria, utile e rispondente ai bisogni del popolo di sinistra. 

13 febbraio 2012

Giovanardi, l'ultima chicca di un ex ministro con corredo di vignette


Vedere due donne che si baciano in strada? 
È come vedere un uomo che fa pipì. 






Ci sono organi costruiti per ricevere e organi costruiti per espellere. Ci sono anche faccende delicate. 




 
Ci sono problemi di batteri, che richiedono una grande attenzione nel momento in cui si fanno certe pratiche. Onde evitare malattie, ecc. 









Quindi nel momento dell’educazione sessuale nelle scuole, è normale, corretto e fisiologico dare un modello: gli organi dell’uomo e della donna sono stati creati per certe determinate funzioni. 
E non è altrettanto naturale il rapporto tra due uomini o due donne. 



12 febbraio 2012

Dal Fatto (riveduta e corretta) la vignetta del giorno

'Ndo... 'nder naso, Giggè, 'nder naso. 'Nder culo nun se po' vede, li mortacci sua! 


Un Alemanno più autentico dell'originale



11 febbraio 2012

Vuoi vedere che i Maya avevano visto giusto?

... ecco la frase che sentiamo ripeterci da quanti non riescono più a capire dove stia andando il Mondo!

Mentre, grazie a questo video esclusivo pubblicato ieri sera da Canale 5, si fa sempre più luce sul caos regnante a bordo della Concordia nei minuti seguiti all'impatto,


Mario Monti in America ottiene l'OK di Obama sulla cura da cavallo imposta all'Italia dal suo governo, la Grecia sembra ad un passo dal default a causa delle condizioni insostenibili che l'Europa le impone, la neve copre gran parte dell'Italia aggravando i problemi ai quali dovremo far fronte in questo mese bisestile di un anno bisestile

A questi fatti si aggiunge lo scoop del Fatto Quotidiano sul Complotto contro Benedetto XVI

Tanto basterebbe a tanti superstiziosi per avvalorare la Profezia dei Maya relativamente alle catastrofi che ci attenderebbero durante l'anno in corso. 

Io mi limito a riflettere sul trattamento riservato alla Grecia da un'Europa germanizzata, impotente quanto arrogante, che sembra voler giocare col fuoco. 


Possibile che la vita degli uomini, il futuro delle nuove generazioni, i sacrifici compiuti debbano essere bruciati sull'altare della finanza globale, unica vera responsabile di tanto disastro? 
Non penso che i popoli sopporteranno a lungo tali angherie. 

10 febbraio 2012

Parole e Figure di ieri sulle quali riflettere oggi

Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. 

Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita. Enrico Berlinguer 




Intervista rilasciata da Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari 
La Repubblica, 1981  
I partiti sono diventati macchine di potere 
La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora... 
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana. 
È quello che io penso.  
Per quale motivo? 
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti. 
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle. 
E secondo lei non corrisponde alla situazione?  
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.    
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. 
Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità. 
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura? 
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani? 
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata. 
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi. 
Non voi soltanto.  
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee? 
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate. 
Dunque, siete un partito socialista serio...
...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo... 
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese. 
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni - che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale - senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e senza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta. 
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude. 
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è - se vogliamo - l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili. 
Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' austerità. Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...
Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industrializzati - di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la civiltà dei consumi, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati. 
E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli - come al solito - ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.
Enrico Berlinguer - La questione morale - La Repubblica, 28 luglio 1981 

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