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20 maggio 2010

UNA NOTA DI PIPPO POLLINA SU FACEBOOK E L'EDITORIALE SUL FATTO DI OGGI DI ANTONIO PADELLARO - Il mio viatico per i giorni che verranno!

Siamo davvero messi male se siamo costretti a ricercare nella memoria di un passato più o meno recente le figure cui ispirarci per dare un senso alla nostra vita, e all'impegno di un fotoreporter che muore in Thailandia negli scontri tra esercito e camicie rosse per trovare la forza e il coraggio civile di dire NO! Purtroppo siamo a questo, perché i modelli che abbondano nel nostro quotidiano sono quelli di servi, venduti, ladri, profittatori e affini.
Mentre ringrazio Pippo e Antonio per le pagine di autentica denuncia dei guasti che produce giornalmente questa classe politica al governo del Paese, mi dico certo che l'ultima infamia perpetrata (il bavaglio) non passerà perchè il vaso è già colmo e questa, che non è solo una goccia, lo farà traboccare.
Pippo Pollina - Quello che mi manca -
Sono donne e uomini. Sono pietre sicure su un cammino pieno di vento e di bugie distese al sole. Sono gli interpreti di utopie vecchie come il mattino che verrà. Sono gli occhiali di osso scuro di Pier Paolo Pasolini e le sue eresie in bianco e nero, le sue parole prestate all'arte senza un perchè...
È il canto della terra di Mercedes Sosa, madre di ogni madre, voce dei disperati e di ogni dolore che recita la pioggia al contraio nei barrios sperduti dell'America latina...
È la sigaretta di Leonardo Sciascia, tormentata dalle sue dita colore di seppia, col suo cinismo tenero e oscuro presagio di un desiderio irredimibile e morboso.
È l'occhio smorto di Borgès, la sua cecità inveroconda da oracolo, dove l'incenso ridiventa tempio e il tempio ridiventa radura.
È il ventre sporto di De Moraes, la sua sensualità sboccata che nutre la poesia come il fiore appanza l'ape nell'orgia della primavera.
È il sorriso antico della Magnani, italiana d'Italia tutta, risparmiata alla guerra e alle recite spergiure che vennero dopo il suo precoce addio.
È il naso adunco di Gesualdo Bufalino, chè ascoltarlo parlare aumentava il rimorso di non avere vissuto l'adolescenza a Comiso, a studiare il latino all'ombra di un ficus Magnoliens.
Sono i calciatori con la barba, come Paolo Sollier per gli antidiluviani o come quello della Roma, di recente passato e del quale non ricordo il nome ma l'animo gentile.
Ciò che mi manca è sentire il coraggio per le strade di questo mondo, di questa gente, di questa società di cartone. Il coraggio come un desaparecido, scappato via da ogni anima, da ogni vocabolario, da ogni galateo, da ogni gesto...
Mi manca la parola strascicata di Piero Ciampi, il suo sorriso avvinazzato, la bestemmia toscana a penzolare dal suo labbro tremante.
Mi mancano Berlinguer e Almirante, chè almeno chiamavano le cose con nome e cognome e sull'altare del danaro non c'erano servi a cantare un bordone in maggiore.
Mi mancano le telecronache di Bruno Pizzul (Baggio scende in campo con fiero cipiglio!) che da quando non commenta più l'Italia vince più spesso ma gioca da cani.
Tutto questo mi manca.
Perchè non è vero che si stava meglio quando si stava peggio.
Si stava meglio prima perchè prima era meglio. Punto.

Antonio Padellaro - Non gli daremo tregua -
Molti di noi hanno cominciato a fare i giornalisti spinti da un ideale giovanile.
Dicevamo a noi stessi: troverò le notizie che gli altri non hanno, racconterò le verità che gli altri non raccontano e, se ne vale la pena, rischierò pure la pelle.
Come tutti gli ideali coltivati a vent’anni non sempre sono durati abbastanza e qualche volta la vita con le sue necessità materiali ha reso più astratto il nostro sogno di perfezione. Non è stato così per Fabio Polenghi il fotoreporter italiano caduto a Bangkok. Lui, come centinaia di altri giornalisti uccisi in prima linea, mentre cercavano di cogliere quella immagine o raccontare quella scena che nessun altro avrebbe pubblicato.
L’infamia di una legge sulle intercettazioni voluta da un tirannello borioso per nascondere certe sue vergogne e votata da parlamentari che si nascondono come ladri nella notte, consiste certamente nella violazione del diritto dei cittadini di sapere e del dovere dei giornali di informare, come ha detto Ezio Mauro nell’intervista a Silvia Truzzi. Ma c’è qualcosa che è forse peggio della soppressione di una libertà ed è la spinta alla rassegnazione, all’accettazione supina di un arbitrio. Negli anni abbiamo imparato a conoscere il personale di cui si serve il premier per le sue malefatte. Si tratta di gente che in cambio di denaro e poltrone si è venduta dignità e reputazione. Sono gli eunuchi del sultano, manutengoli sazi e appagati ma con il cruccio che non tutti siano ridotti come loro. Per esempio. Ci sono dei giornalisti che vogliono raccontare le risate degli sciacalli del terremoto o come un senatore si è venduto ai boss o l’affaire di un ministro a cui comprarono la casa sul Colosseo?
Spezziamogli la penna, mettiamogli paura finché si convincano che l’unica informazione possibile in questo Paese è quella autorizzata dall’alto. Naturalmente, è una violenza che non può essere accettata. Naturalmente, se la legge infame passerà, assieme ai tanti giornalisti liberi che ancora ci sono, noi del Fatto ricorreremo a tutte le forme possibili di disobbedienza civile. Lo diciamo ai nostri lettori ed è bene che lo sappiano gli eunuchi di Palazzo: non gli daremo tregua.
Se per una fotografia c’è chi si fa ammazzare, per una notizia si può anche rischiare un po' di galera.

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