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Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

Benvenuto nel mio blog

Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

Se vuoi scrivermi, usa il seguente indirizzo: mieidee@gmail.com

31 gennaio 2011

Aiutalo con la tua firma a prendere la decisione di dimettersi !


L'appello di Libertà e Giustizia


Resignation: firma l’appello di LeG 


Un appello per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, ma insieme alle sottoscrizioni arrivano migliaia di messaggi: di incoraggiamento, di esasperazione e vergogna. Non è semplicemente una raccolta di firme, ci sono storie, espressioni che raccontano un’Italia che rifiuta di riconoscersi nel modello imposto da Silvio Berlusconi. La mobilitazione, lanciata da Libertà e Giustizia all’indomani del Rubygate, vola subito oltre confine. LeG è fiera dell’onda di ribellione, l’Italia può salvarsi dal berlusconismo. Firma anche tu
Grazie!

Gustavo Zagrebelsky, Paul Ginsborg, Sandra Bonsanti


Anche le donne della segreteria del PD lanciano una mobilitazione nazionale, per chiedere il rispetto della dignità delle donne. Le ultime vicende che interessano il Presidente del Consiglio sono l'ennesima dimostrazione della totale mancanza di rispetto per le donne in Italia.

Le donne della segreteria del PD lanciano, a partire da oggi, una mobilitazione, con una raccolta di firme in tutto il paese, per chiedere il rispetto della dignità delle donne, calpestata, ancora una volta, da Berlusconi. È in gioco la dignità del Paese e di tutte le donne.

Ecco il testo della lettera aperta che le donne della Segreteria del Pd hanno scritto al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.


Presidente,
ora basta. Si dimetta adesso. Liberi l’Italia dall’imbarazzo.
Lo spettacolo indecoroso che sta offrendo al mondo intero non è degno di un Paese civile.
Ciò a cui stiamo assistendo supera ogni limite, in un decadimento dei costumi e della morale pubblica, a cui pure ci aveva tristemente abituato, che oggi precipita all’estremo della prostituzione minorile.
E’ intollerabile che i suoi comportamenti la espongano all’accusa di essere il diretto protagonista ed impresario del set degradante che ci ha già propinato in decenni di trash televisivo.
Ed altrettanto intollerabile è che proprio lei, che a parole sbandiera il primato del merito e della famiglia, nei fatti cerchi solo un patetico acquisto di favori sessuali, riducendo le donne a merce e oggetto di scambio.
Le donne di questo Paese sono altro: sono talento, lavoro, impegno, fatica, bellezza, cuore, passione, dignità e serietà.
In nome della nostra dignità e serietà, esigiamo rispetto.

Ora basta. Si dimetta. Liberi l’Italia da questo imbarazzo.
Firma l’appello delle donne del Partito Democratico




Rubygate: Berlusconi dimettiti! Ora basta!

Presidente Berlusconi, lei ha disonorato l’Italia agli occhi del mondo, non ha più la credibilità per chiedere agli italiani un impegno per il cambiamento e con la sua incapacità a governare sta facendo fare al paese solo passi indietro. Lei dunque se ne deve andare via. L’Italia ha bisogno di guardare oltre, per affrontare finalmente i suoi problemi: la crescita, il lavoro, un fisco giusto, una scuola che funzioni, una democrazia sana. Noi dobbiamo dare una prospettiva di futuro ai giovani. Con la sua incapacità a governare e con l’impaccio dei suoi interessi personali lei è diventato un ostacolo alla riscossa dell’Italia. Per questo presidente Berlusconi lei si deve dimettere. L’Italia ce la può fare, dispone di energie e di risorse positive. È ora di unire tutti coloro che vogliono cambiare. È ora di lavorare tutti insieme per un futuro migliore.  

SGARBI: NOMEN OMEN

  • Condannato per diffamazione contro Caselli e Orlando (condanna prescritta in Cassazione),
  • condannato per assenteismo e produzione di documenti falsi, 
  • condannato per diffamazione aggravata contro Caselli e il pool di Milano, 
  • condannato per ingiurie contro Marco Travaglio,
  • condannato per diffamazione contro Roberto Reggi,
  • condannato per diffamazione contro Raffaele Tito,   
Vittorio Sgarbi ha militato nella maggior parte dei partiti italiani:
  • Partito Comunista Italiano che lo ha candidato a sindaco di Pesaro;
  • Partito Socialista Italiano, per il quale è stato consigliere comunale a San Severino Marche;
  • DC-MSI, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di San Severino Marche nel 1992;
  • Partito Liberale Italiano, per il quale è stato deputato;
  • Partito Federalista, che ha fondato nel 1995 e poi lasciato per aderire alla Lista Pannella;
  • Lista Marco Pannella, con la Lista Pannella-Sgarbi, abbandonata dallo stesso Sgarbi prima delle elezioni;
  • Forza Italia, nella quale ha inglobato il suo movimento I Liberal Sgarbi-I libertari;
  • Partito Repubblicano Italiano, con il quale si è alleato per le elezioni europee nel 2004;
  • Lista Consumatori, con la quale si è candidato, per le Politiche del 2006, senza essere eletto;
  • UDC-DC, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di Salemi nel 2008;
  • Movimento per le Autonomie con il quale è stato candidato alle Elezioni europee del 2009 nel cartello elettorale del Polo dell'Autonomia nella circoscrizione Isole. 
  • Con Rete Liberal alle regionali 2010 del Lazio sostiene Renata Polverini. 
  • Ha inoltre fatto parte dell'Unione Monarchica Italiana. Fonte: Wikipedia
Sulla Home Page del suo sito ufficiale si può leggere a mo' di epigrafe:
Tra i più preparati critici della storia dell’arte, personaggio istrionico dalle indiscusse qualità dialettiche e artistiche. Ogni sua iniziativa, ha il potere di catalizzare l’attenzione e l’ammirazione del grande pubblico al quale il critico ha la capacità di rivolgersi in modo diretto, semplice, ironico ed efficace.

Io lo conosco come grande rissaiolo in TV, sin dall'epoca di Sgarbi quotidiani.  
Personaggio incredibile, vanesio e controverso, che usa le capacità intellettuali e istrioniche e la verve polemica di cui è dotato nel modo più bieco possibile. Parla, meglio sproloquia, di tutto e su tutti. 

Finchè chiama in causa personaggi storici non più in vita, se la deve vedere solo sul piano intellettuale con qualche serio cultore. Quando, invece, diffama gratuitamente viventi, allora fioccano le querele e paga regolarmente. 

Trovo insopportabili e osceni quei siparietti che gli allestiscono in TV allo scopo, immagino, di vivacizzare il dibattito o, peggio, di buttare in canea argomenti seri che meriterebbero onesta riflessione. Dall'eloquio facile ma spesso sboccato, blasfemo e provocatorio, privo di pudore e del senso del limite, offre generosamente il suo punto di vista su qualsiasi argomento con l'intento di dire la verità più vera e indiscutibile mentre raccoglie i capelli sempre fluenti e non si cura di tenere sotto controllo le parole che vomita d'impulso. Anzi, quando si accorge di sorprendere con esse l'uditorio, rincara la dose in modo forsennato. Gli unici momenti in cui il suo linguaggio appare appropriato e, talvolta, anche prezioso e casto, sono quelli in cui argomenta su autori ed opere d'arte. Allora e solo allora diventa credibile. In ogni caso, appartiene a quella categoria di contemporanei che pensano di esistere solo in quanto appaiono, comunque, in TV.

In altra epoca sarebbe finito male. Si può immaginare come e dove. In questo nostro tempo dalla contumelia facile e, per di più, rimunerata, ce lo ritroviamo in casa in ogni momento e non basta fare zapping per liberarsene.

Vittorio Sgarbi - Le risse

Vittorio Sgarbi incazzato a Matrix


Vittorio Sgarbi - Ultimi insulti



P.S.:  lascio immaginare quanta credibilità abbia dato a tutti quei partiti di destra, di centro e di sinistra che lo hanno accolto nelle loro liste!
Sarei, però, curioso di sapere cosa pensano di lui i salemitani che lo hanno scelto come sindaco.

30 gennaio 2011

Chi è l'eversore? Chi è il disturbato mentale?


L'intervento di Pasquale Profiti, presidente dell'Associazione nazionale dei magistrati del Trentino Alto Adige all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011

Sono un magistrato italiano ed oggi rappresento molti altri magistrati, come me. A nome mio ed a nome loro, oggi, finalmente, confessiamo.
Confessiamo di essere effettivamente degli eversori, come qualcuno ritiene. Applichiamo, infatti, le regole della nostra Costituzione e delle nostre leggi con la stessa imparzialità ed impegno agli immigrati clandestini ed ai potenti, agli emarginati ed a coloro che gestiscono le leve della finanza, della politica, dell’informazione. E’ vero, siamo degli eversori perché, insieme a CALAMANDREI, riteniamo la Costituzione e la Corte Costituzionale una “garanzia con cui il singolo è messo in grado di difendere il suo diritto contro gli attentati dello stesso legislatore o del governo”. Questo, oggi, vuol dire essere eversori.
Confessiamo di essere veramente, come è stato sostenuto, disturbati mentali, perché solo chi è tale continua a credere nel servizio giustizia, quando non sai se il giorno dopo ci sarà qualcuno che presterà assistenza al tuo computer, quando vedi che gli indispensabili collaboratori che vanno in pensione non sono  sostituiti, quando per poter lavorare condividi stanze anguste con colleghi o assistenti, quando in ferie scrivi sentenze o prepari provvedimenti, quando, nonostante ciò, sei accusato di protagonismo e di perder tempo in conferenze o convegni.
Confessiamo di non poter sempre soddisfare l’opinione pubblica se la Costituzione e le leggi ce lo vietano,  perché assolviamo chi riteniamo innocente anche se ciò non porta consensi,  condanniamo chi riteniamo colpevole sulla base della rigorosa valutazione delle prove anche quando i sondaggi, veri o falsi che siano, non ci confortano, e valutiamo la responsabilità dei singoli anche quando chi governa  vorrebbe una risposta dura, anche a scapito del singolo, a fenomeni di violenza collettiva.
Confessiamo, è vero, di sovvertire il voto degli italiani perché avendo giurato sulla Costituzione Repubblicana,  riteniamo, con Einaudi, che quella Costituzione imponga  ai magistrati di utilizzare i freni che “hanno per iscopo di limitare la libertà di legiferare e di operare dei ceti politici governanti, scelti dalla maggioranza degli elettori. Quei freni che “tutelano la maggioranza contro la tirannia di chi altrimenti agirebbe in suo nome”, quei freni che impongono la disapplicazione delle leggi in contrasto con le norme europee o l’incostituzionalità quando violano norme di diritto internazionale.
Confessiamo di essere politicizzati e non vogliamo essere apolitici come dichiaravano di esserlo la maggioranza dei magistrati fascisti o i magistrati iscritti alla P2 o i magistrati che per avere qualche posto direttivo o semidirettivo si appoggiano a potenti o faccendieri di turno, frequentano salotti buoni, fanno la telefonata agli amici o utilizzano il loro ruolo per avere sconti, gadget, ingressi o servizi gratuiti. Siamo politicizzati e vogliamo esserlo perché applichiamo la legge con il giusto rigore anche a chi governa, a chi potrebbe favorirci, consapevoli che saremmo apolitici solo se non disturbassimo le classi dirigenti, le élite al potere che vogliono essere al di sopra delle regole.
Confessiamo anche di fare proselitismo della nostra eversione, raccontando in Italia ed all’estero le ragioni della nostra autonomia e della nostra indipendenza, i motivi per cui riteniamo che nel nostro paese, oggi più di ieri, quell’assetto costituzionale della magistratura sia essenziale per evitare che gli interessi di parte prevalgano sempre e comunque sugli interessi della collettività, perché l’Italia non possa permettersi un diverso assetto della magistratura quando tra i suoi rappresentanti in Parlamento o negli enti locali siedono condannati per reati gravissimi e la giustizia sia terreno di aggressioni inimmaginabili per gli altri paesi democratici.
Confessiamo, una volta per tutte, di essere toghe rosse; siamo rossi, rubando ancora una volta le parole a Piero CALAMANDREI, “perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria”; siamo rossi anche se non sappiamo cosa ciò esattamente significhi, perché per noi il rosso è principalmente il sangue dei colleghi uccisi per il loro lavoro.
Confessiamo anche di avere dei correi, il personale amministrativo senza il quale non potremmo commettere da soli le nostro colpe; molti di loro condividono la nostra eversione ed i nostri disturbi mentali se è vero che accettano di svolgere lavori superiori alle loro mansioni ed al loro stipendio, condividono le nostre stesse stanze anguste, le nostre incertezze sul futuro dei progetti organizzativi ministeriali.
Ci spiace confessare che anche numerosi appartenenti alle forze dell’ordine, incredibilmente, ritengono, come noi, che nessuno sia sopra la legge e vedendoci lavorare quotidianamente si rendono conto che l’eversione di molti di noi è uguale alla loro: rendere alla collettività il servizio per il quale siamo pagati, senza concedere che qualcuno possa stare al di sopra delle regole.
Confessiamo, infine, che per noi il 29 gennaio è la data in cui ricordiamo Emilio Alessandrini, Pubblico Ministero a Milano che oggi, 32 anni fa, veniva ucciso dagli eversori, quelli veri, quelli che al posto della nostra arma, la Costituzione, utilizzavano le pistole. Mi piacerebbe, sig. Presidente, che al termine del mio intervento non vi fossero applausi, rituali o spontanei, formali o calorosi che siano, ma il silenzio, magari in piedi, dedicato al collega ucciso dai terroristi, affinché la sua memoria ci illumini oggi e, ancor di più, da domani.

L’intervento del procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, pronunciato ieri all’inaugurazione dell’anno giudiziario

Il 12 gennaio 2002, in questa stessa aula, inaugurando anche allora l’Anno giudiziario, Maurizio Laudi – parlando a nome dell’Associazione magistrati – ebbe a dire: “Ci indigna che il capo del governo, in sede internazionale, rappresenti l’azione di alcuni uffici giudiziari come atto di persecuzione politica. Ci indigna perché queste accuse non sono vere e perché vengono ripetute come verità acquisite che non richiedono di essere provate”.
Parole coraggiose, necessarie per arginare una pericolosa deriva già allora in atto. Deriva che, peraltro, è continuata.
Come fosse ossessionato dai suoi problemi giudiziari, il presidente Berlusconi ha moltiplicato gli interventi volti ad indurre, nei più, l’immagine della giustizia come “campo di battaglia” fra interessi contrapposti, anziché luogo di tutela di diritti in base a regole prestabilite; contribuendo così alla devastazione di tale immagine.
La tecnica della ripetizione assillante che trasforma in verità anche i falsi grossolani continua a essere applicata in modo implacabile. E dopo aver proclamato la necessità di istituire una commissione parlamentare d’indagine per accertare se la magistratura opera con fini eversivi, il capo del governo ha sostenuto (in un videomessaggio trasmesso a reti unificate) che i Pm devono essere “puniti”, mentre si preannunziano manifestazioni di piazza contro i giudici “politicizzati” per il prossimo 13 febbraio.
Così la misura è colma. Non la misura della nostra pazienza (l’impopolarità dei magistrati nelle stanze del potere è fisiologica e talora necessaria per una giurisdizione indipendente: la provarono in vita anche Falcone e Borsellino...). Vicina al livello di guardia è la misura della compatibilità con le regole di convivenza istituzionale proprie di un sistema democratico .
Nessun leader democratico al mondo ha mai osato sostenere che “per fare il lavoro (di magistrati) bisogna essere malati di mente; se fanno questo lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Il presidente Berlusconi invece lo ha sostenuto.
Nessun leader democratico al mondo (ancorché inquisito) ha mai osato parlare di “complotto giudiziario” ordito ai suoi danni da magistrati indicati come “avversari politici”. Le reazioni dei personaggi pubblici inquisiti – all’estero – sono le più svariate, ma sempre contenute in un ambito di accettazione e rispetto della giurisdizione. Solo in Italia si lanciano contro la magistratura, senza prove, grottesche accuse di macchinazione o persecuzione; quando si deve leggere, piuttosto, insofferenza per il controllo di legalità e per la rigorosa applicazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale.
Nessun leader democratico al mondo coinvolto in vicende giudiziarie si è mai sognato di difendersi DAL processo anziché NEL processo. In Italia, invece, il premier ha sperimentato una strategia di contestazione del processo in sé, quasi una sorta di impropria riedizione del cosiddetto processo di rottura da altri praticato in passato.
Sotto nessun cielo democratico del mondo il potere politico ha mai operato sui giudici interventi per ottenere una certa interpretazione della legge o si è sostituito ad essi nell’interpretazione. Sarebbe un vulnus intollerabile al principio della separazione dei poteri. Solo in Italia si registrano simili strappi. Basti ricordare la mozione approvata dalla maggioranza del Senato il 5 ottobre 2001, per indicare ai giudici (testualmente) “l’esatta interpretazione della legge” dopo una pronunzia di tribunale in tema di rogatorie non gradita al Palazzo. Oppure la decisione di due giorni fa della Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, che ha stabilito quale ufficio giudiziario sia competente a procedere in una specifica indagine (ovviamente qui non si fa questione di merito, ma solo – per così dire – di titolarità della competenza a stabilire la competenza).
Invece di indulgere a un riequilibrio dei poteri a danno delle prerogative costituzionali della magistratura (quella requirente in particolare); sarebbe tempo di pensare, finalmente, a una vera riforma della giustizia, capace di migliorare l’efficienza del sistema e di ridurre i tempi dei processi.
Infine, chi parla a vanvera di “partito dei giudici”, voglia prendere atto che un “partito dei giudici” esiste davvero, ma nell’accezione dello storico Salvatore Lupo, secondo cui è “attraverso l’impegno di alcuni e (purtroppo) il martirio di altri, che l’idea del partito dei giudici prende forma. Nasce dalla sorpresa che, in un’Italia senza senso della patria e dello Stato, ci siano funzionari disposti a morire per il loro dovere, per questa patria e per questo stato. Ad ogni funerale, ad ogni commemorazione prende forma l’idea di per sé contraddittoria dei magistrati come rivoluzionari, in quanto portatori di legalità”.
Ecco: definire “cospiratori” coloro che sono semplicemente portatori di legalità, non è solo offensivo. È soprattutto profondamente ingiusto.

Per avere un quadro della situazione politica e delle possibili vie d'uscita, leggi Quante sono le divisioni del capo dello Stato di Eugenio Scalfari

Esci, per un momento, dal maleficio leggendo anche Respirare aria pulita di Concita De Gregorio

29 gennaio 2011

... e lui, solo nel suo bunker abbaia alla luna



L'amico Ben Ali ha lasciato la Tunisia nel caos mentre il popolo in rivolta continua a chiedere lavoro, libertà e dignità. 
Le autorità tunisine hanno chiesto oggi l'aiuto dell'Interpol per ottenere l'arresto dell'ex presidente Zine ben Ali, della moglie Leila Trabelsi e di altri membri della sua famiglia precisando che la Tunisia vuole processare Ben Ali per possesso indebito di beni (espropriati) e trasferimento di valuta straniera.

L'amico Mubarak, quello imparentato con Ruby, continua ad arroccarsi anacronisticamente nella convinzione di conservare un briciolo di quel potere brutale e incontrollato che ha esercitato per 30 lunghissimi anni e denuncia un complotto per  destabilizzare il Paese mentre la popolazione esasperata scende in piazza al Cairo e in molte altre località egiziane per chiedere la fine del suo regime e condizioni di vita migliori. La giornata della collera, cominciata in maniera pacifica nella capitale e nelle altre regioni dell'Egitto, è degenerata in violenti scontri nella capitale, nella centrale piazza Tahrir, fra manifestanti e forze della polizia. La Casa Bianca: Basta violenza, siamo al fianco del popolo. Mubarak: Resto per garantire la stabilità.



L'amico Berisha sta vivendo una situazione simile in Albania. In migliaia al corteo pacifico per deporre fiori e candele nel luogo dove una settimana fa sono stati uccisi tre partecipanti alla protesta anti Berisha. Il palazzo del primo ministro difeso da poliziotti e Guardia repubblicana. In corso un'indagine per stabilire la responsabilità degli spari.



... e lui, solo nel suo bunker abbaia alla luna e dichiara che non lascia per il bene del Paese mentre tutti gli chiedono di fare un passo indietro proprio per il bene del Paese.



Il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini rispondendo ad una domanda dei giornalisti sulle polemiche legate all'inchiesta dei pm di Milano: Non c'è uno scontro istituzionale. C'è un'aggressione alla magistratura da parte di chi rifiuta il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Noi non siamo in guerra con nessuno, ma applichiamo la legge e chi non vuole che questo principio valga per tutti ci aggredisce. La magistratura continuerà a svolgere il suo lavoro con serenità, nel pieno rispetto delle regole e in applicazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.

Il direttore di Avvenire, il giornale dei vescovi, in risposta alla lettera di una lettrice: Credo che sia sempre più forte l'attesa di serene e consapevoli prove di coerenza da parte di chi opera sulla scena pubblica richiamandosi ai grandi valori dell'umanesimo cristiano e alla Dottrina sociale della Chiesa. Penso, insomma, che per i politici cattolici vita privata e opzioni pubbliche all'altezza dei valori che teniamo cari siano semplicemente indispensabili.

Anche Licio Gelli, il Maestro Venerabile della P2 lo scarica. In un'intervista al Tempo afferma tra l'altro Berlusconi è venuto meno a quei principi che pensavamo avesse. E guardi che l’ho avuto per sette anni nella loggia, quindi credo di conoscerlo. Anche questo puttanaio delle ultime settimane. Ha prima disfatto la famiglia, ora sta disfacendo l’Italia.

... e lui, solo nel suo bunker abbaia alla luna !!!

 LeG: Dimettiti. Per un’Italia libera e giusta. Palasharp di Milano, il 5 febbraio

28 gennaio 2011

Sallusti - Santanché: la coppia più bella del mondo

Dio li fa ... e tra di loro si accoppiano !!
Anche quando avremo messo a posto tutte le regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della sua coscienza fa obbligo a ogni cittadino di regolarsi secondo le regole - Indro Montanelli

Sallusti, lo spudorato
Feltri, che ha un minimo di malvagia intelligenza, certe cose le scrive ma non le dice.
Sallusti è il classico giornalista da P2, quello che denuncia l'inesistente in base alla teoria piduista: parlane e scrivi anche se non è vero, qualcosa rimarrà sempre.
Vedete per scrivere contro la mafia o il potere ci vuole coraggio, ci vuole passione ed argomenti, tre cose di cui sicuramente Sallusti è sprovvisto.
Fa parte di quella categoria di giornalisti da sottobosco che sino ai primi anni '80 non trovavano lavoro nemmeno al Secolo o al Borghese. Diciamo il filone dei Belpietro, Porro, Giordano e compagnia. Veneziani no, è uno che sa scrivere, di destra ma argomentato.
Per scrivere il falso o montare casi che non esistono, inventarsi improbabili scheletri nell'armadio di Di Pietro, non ci vuole coraggio, basta ed avanza essere spudorati.
Della corte di giornalisti senza tessera ma piduisti è quello venuto peggio, il ghigno di Belpietro ormai è diventato famigliare, a modo suo è famoso,  è una icona di Annozero. Un po' monotono, monocorde, spudorato quanto basta, senza di lui Annozero non sarebbe lo stesso.
Porro ha il sorriso ebete  e ripete quello che dice Belpietro, possibilmente fuori tema e quando non ha argomenti dà del cretino, materia nella quale è un autentico esperto. Quando ha dato del cretino a Travaglio la mia reazione è stata immediata: mai vantarsi. Lui l'ha detto da vanitoso, si vanta della sua cretinità e la battuta sull'aspirina, fuori tema anche quella, deve averla rubata al Bagaglino. Eppure, in qualche modo, hanno sfondato, sono conosciuti, fanno polemica.
Certo non possiamo pretendere che siano ai livelli di Mavalà, quello è insuperabile come le scatolette, spudorato come nessuno. Nella sua carriera ha più perso che vinto, le sue leggi sono state cancellate una per una, in coppia con Angiolino non ne hanno indovinata una, hanno sempre inciampato sull'incostituzionalità. Però è spudorato, si presenta e parla come se avesse la verità in tasca, la visione giusta di una legge è sempre la sua, insomma un perdente di spessore e di successo.
Sallusti è l'eterno secondo, appare in tutte le televisioni possibili ed immaginabili, ma non sfonda. Le colpe non sono tutte sue, lo devo riconoscere, lui ci mette la faccia e la spudoratezza ma se la presentatrice di canale 5, in genere la Barbara, lo presenta come editorialista del giornale non sfonderà mai, tutti penseranno a Feltri. È lo sfigato che mette le bretelle per distinguersi, con scarso successo.
C'è stato un precedente, di eterne promesse mai sbocciate, di spudorati alla vorrei ma non ci riesco, e guarda caso sempre al giornale. Fatte le debite proporzioni, giornalisticamente non vorrei bestemmiare, ci fu il caso di Mario Cervi, vice direttore di Montanelli.
Finchè rimase sotto vento, dietro Montanelli, ebbe una certa notorietà, scrisse anche dei libri con il Maestro, quando spinto dalla presunzione volle volare da solo, scomparve. Si e' fatto superare persino da Belpietro.
Sallusti è uguale, primo nella spudoratezza è sempre fuori dal podio delle penne del regime, i servitori del Caimano. Gli scribacchini del minculpop.
L'unico che può farlo diventare un tronista è Santoro, dovrebbe invitarlo più spesso, è giusto che la massa conosca la feccia del giornalismo di regime.

Le frasi celebri
"La verità, il di­ritto, la dignità di uomini e donne non contano. Centi­naia di frasi, prese a caso da migliaia di ore di intercetta­zioni, il cui contenuto non solo non è verificato ma che in molti casi è ambiguo e contraddittorio, sono sta­te date in pasto all’opinio­ne pubblica con il solo in­tento di provocare choc, in­dignazione, destabilizzazione politica"
"Leggendo le carte, ades­so è chiaro che cosa è suc­cesso. Un potere (...) ha semplicemente spiato per mesi un altro potere".
"Su questa accozzaglia di parole è stato montato un processo che ricorda quel­lo dell’inquisizione. Il giudi­zio morale si trasforma in accusa penale. Da parte di magistrati e uomini dell’in­formazione che rivendica­no la libertà di fare di notte nei loro letti ciò che meglio credono senza guardoni di Stato tra i piedi. Questa non è giustizia, è spazzatura e pure della peggiore".
"Se un uomo a 37 anni non può pagarsi il mutuo è colpa sua: vuol dire che è un fallito"

Dopo i servizietti al Caimano su Dino Boffo, ex direttore dell’Avvenire, sulla casa di Montecarlo, sulla Marcegaglia, ecco l'ultimo sugli amori privati della Boccassini di trentanni addietro.

Nata il 7 aprile del 1961 a Cuneo, Daniela Garnero alias la Santanchè, non appena è riuscita a fuggire dal rifugio uterino ha sbranato un’ostetrica perché aveva i capelli rossi e perciò era stalinista. Appena maggiorenne, contro il volere dei genitori, si è trasferita a Torino per seguire il corso di laurea in Scienze Politiche. Appassionata più al biglietto verde che alla carta da appendere al muro, solamente ventunenne si è sposata col chirurgo estetico Paolo Santanchè iniziando a lavorare nella società del marito e  nel 1983 ottiene il titolo di dottoressa. Nello stesso anno fonda una società di marketing e pensa bene di farsi pubblicità partecipando al programma televisivo di canale5 W le donne dove strizza l’occhio ad Amanda Lear e ammicca con le labbra che sembrano già due canotti ad Andrea Giordana.
Nel 1995 rivoluziona completamente la sua vita, lascia il marito ed abbraccia la fede di Alleanza Nazionale, ma ancor di più quella del nuovo compagno Canio Mazzaro alias Mr. Pierrel. Nonostante ciò continua ad usare il cognome del primo marito (famoso in tutto il mondo per come ci dà dentro col bisturi) e questo le costerà nel 2007 la rimozione dall’incarico di responsabile del dipartimento Pari Opportunità del partito provocando quindi la rottura con Fini.
Prova ad entrare alla Camera nel 2001 ma non ci riesce per vie dirette, nonostante sia stata candidata nella quota bloccata del proporzionale. Per vie traverse riesce a sedere in Parlamento grazie al seggio lasciato libero da Viviana Beccalossi. Nel 2005 è la prima relatrice donna della Legge Finanziaria nella storia della Repubblica Italiana. Nel 2006 viene rieletta alla Camera dei Deputati nelle liste di AN dalla quale, come detto prima, verrà silurata nel 2007.
La nostra eroina dalla bocca larga nello stesso anno cambia partito e aderisce a La Destra-Fiamma Tricolore diventandone immediatamente portavoce e, sorprendentemente viene candidata premier per le elezioni politiche anticipate del 2008. In una campagna elettorale segnata dal rispetto e dai modi pacati la nostra più che programmi elettorali e modelli di governo da proporre al paese in tempi non ancora così sospetti come quelli odierni chiarisce un concetto: La Figa has the power. Danielina infatti, in pieno periodo di scazzi contro Silvio ha modo di dichiarare ripetutamente: “Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do..., per fare carriera non sono mai scesa a compromessi, non ho mai ceduto, in altre parole non l'ho mai data”…, “nella mia carriera sono stata corteggiata da più donne e ne sono lusingata. Il motivo? La verità è che piaccio alle donne perché sono un uomo”..., Vorrei fare un appello a tutte le donne italiane. Non date il voto a Silvio Berlusconi, perché Silvio Berlusconi ci vede solo orizzontali, non ci vede mai verticali. Nonostante ciò alle politiche non supera gli sbarramenti del 4% e dell’8% ed è quindi disoccupata e pensa di dedicarsi alle opere di bene decidendo di andare a strappare il velo alle donne musulmane che a Milano festeggiavano la fine del Ramadan e conducendo una campagna tolleranza zero verso l’Islam. Impavida e anche un po’ coglionazza in quel salotto da bene che è Domenica cinque durante una discussione con l’imam di Segrate dichiara:  Maometto aveva nove mogli, l'ultima era una bambina di nove anni. Maometto era un poligamo e un pedofilo!.
Avendo capito che senza Berlusconi per lei non ci sono né messe né poltrone cerca di pilotare il suo partito verso un affiancamento al PdL non riuscendoci. Si stacca così nell’autunno 2008, assieme ad una cinquantina di membri, da La Destra e fonda il Movimento per l’Italia (MPI) apertamente berlusconiano (ah, la coerenza!). Ospite ovunque, reginetta di ogni trasmissione dove si sente libera di abbaiare tutta la sua ignoranza e la rinnovata fedeltà a B., il primo marzo 2010 viene premiata con la nomina di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Attuazione del Programma vista la perseveranza con la quale ha portato avanti le sue idee - Il voto a Silvio Berlusconi è il voto più inutile che le donne possano dare. (Daniela Santanchè, 26 marzo 2008). Alle ultime elezioni alla Provincia di Milano è riuscita a piazzare la nipotina Silvia Garnero, classe '84, che dal 6 maggio al 4 novembre 2010 non è mai comparsa nel Consiglio provinciale al quale costa circa 350.000 € l’anno.
In attesa delle prossime mosse della scaltra faina di Cuneo ricordiamo volentieri l’ultima ad Annozero : Santanchè: Lei è un giornalista da poco, infatti l'hanno mandata a New York. Zucconi: Veramente alle mie spalle può vedere la Casa Bianca che come tutti sanno si trova a Washington".

Altre frasi celebri
Sono una delle poche donne politiche italiane che non è strumento del maschio. Sono libera e indipendente nel pensiero. Anzi, credo che sia più capace io a usare Berlusconi che il contrario.
I colonnelli di Fini hanno gli attributi di velluto.
Berlusconi si è apparentato con il peggiore dei traditori, Gianfranco Fini
Noi non siamo un partito moderato, siamo un partito incazzato e con la bava alla bocca, che non darà tregua a chi tradisce i propri valori.

Il discorso di Obama sullo stato dell'Unione e le miserie della politica nostrana

Il Presidente Obama parla alla nazione e annuncia il congelamento per cinque anni di una parte della spesa pubblica, un milione di auto elettriche entro il 2015, massicci investimenti nell'innovazione, nell'istruzione, nell'energia pulita e nelle infrastutture; invita ad uno sforzo collettivo per creare nuovi posti di lavoro e per superare, con la stessa grinta con cui gli Stati Uniti risposero alla sfida spaziale dei sovietici, le incognite di un mondo che cambia. È il momento Sputnik della nostra generazione, ha dichiarato parlando per oltre un'ora di fronte al Congresso e di fronte al paese, usando per ben venticinque volte la parola  jobs, lavoro.
Ha insistito, inoltre, sull'importanza che la nuova occupazione venga da settori avanzati. Di qui gli investimenti per l'innovazione, per il miglioramento del sistema scolastico e l'ammodernamento delle infrastutture, a cominciare dall'estensione della banda larga e del wireless veloce al 98 per cento della popolazione americana.

Noi, invece, siamo alle prese con l'ultimo scandalo che coinvolge il presidente del consiglio in una brutta storia di prostituzione minorile, di ripetuti festini con donne a pagamento, di reiterati arrampicamenti sugli specchi e attacchi scomposti alla magistratura.

Obama fa leva sull'orgoglio americano, sul senso di appartenenza ad una Nazione, ha chiesto ai genitori di spegnere gli schermi e di non lasciar credere ai loro figli che il successo è quello delle starlette tv e dei campioni dello sport, ma sta nello studio, nell’impegno. Noi – dice Obama - siamo americani: guardiamo alle cose da fare, guardiamo avanti.

Il nostro, invece, dopo avere trascorso due anni del suo mandato a pensare e costruire, d'intesa con i suoi avvocati-deputati, leggi-scudo ad personam, decreti pro domo sua; dopo essersi esibito in attacchi ignobili contro la stampa libera, la corte costituzionale, la stessa presidenza della Repubblica, entra a piedi uniti in trasmissioni TV di approfondimento e al telefono offende il conduttore, gli ospiti, lo stesso programma.

LA DISTANZA FRA I DUE È ABISSALE !

Un passaggio del discorso di Obama



Telefonata di Berlusconi a L'Infedele


Mentana risponde a Berlusconi sugli insulti a Lerner


Testo del discorso di Obama sullo stato dell'Unione

27 gennaio 2011

Un boato, non una risata, vi seppellirà

    ... tutti assieme, com'è giusto!

Quando l'ultima scena dell'ultimo atto di questo spettacolo indecente e osceno - che avete messo in onda ormai da troppo tempo - sarà conclusa e il sipario sarà calato sul capocomico, sugli attori, sulle spalle, sui clown, sulle comparse, sui nani, sulle ballerine, spogliarelliste, prostitute, cubiste e eunuchi che vi hanno preso parte, allora un grande boato vi farà sprofondare tutti assieme - perchè tutti responsabili del disastro - nel fango dal quale provenite e col quale avete insozzato chiunque si sia avvicinato e poi allontanato per il ribrezzo.

Allora l'Italia riacquisterà la vista, l'udito, la memoria, la voce. Anche se poteva farlo prima di toccare il fondo.

Qualunquemente mi ha un po' deluso: peggio la realtà

Ieri ho visto Qualunquemente e sono rimasto piuttosto deluso. Cetto mi è sembrato una macchietta caricaturale del politico gaglioffo e senza scrupoli che riesce, con l'aiuto di un gruppo di sodali e la consulenza di un abietto curatore dell'immagine, a vincere le elezioni a sindaco in un piccolo comune calabro. Impresa per la quale, nella realtà, ci vuole molto meno della macchina elettorale messa in campo. Il film appare come una parodia farsesca, poco credibile, del clima presente nella politica al livello nazionale e, tuttavia, risulta indulgente nella sua volgare ingenuità rispetto a quanto quotidianamente le cronache di stampa ci raccontano sulla realtà politica, di gran lunga peggiore.
Cetto, per esempio, si limita a portare la zoccola brasiliana nel letto coniugale, insieme alla moglie e se deve andare a prostitute o sveltire il figlio, va in una casa d'appuntamento, non si crea un bordello privato in casa. Il povero De Santis viene chiuso in un angolo, sbertucciato e ammutolito in un confronto elettorale in TV con un moderatore (?) alla Minzolini. Ma il confronto, seppur truccato, c'è; non si ricorre ai videomessaggi unilaterali e autogestiti. La canea in studio c'è ma Cetto si presenta per quello che è e la stessa cosa fa il moderatore (si fa per dire). Il comizio in chiesa è una caricatura rispettosa a fronte dei compromessi intercorsi tra governo e Vaticano negli anni del sultano. La distribuzione di denaro agli incerti, la ricerca del voto negli ospizi e nelle corsie fatiscenti degli ospedali sono plateali e, tuttavia, il responso delle urne rimane incerto, addirittura il De Santis appare in testa. Finchè si scopre che nell'urna vi sono tante schede bianche che possono essere colorate ma si dimentica del trucco usato dalla politica vera di distribuire ai votanti davanti alle sezioni elettorali schede già votate da inserire nell'urna in cambio delle bianche ottenute dagli elettori nel seggio, da consegnare all'uscita perchè vengano a loro volta colorate.
Non so perchè il figlio Melo mi ha fatto pensare al Trota e mi ha fatto ridere. Forse per quella battuta - Presto io sarò sindaco per cui tu per legge vicesindaco.

Il Cetto di Albanese mi è apparso grottesco e squallido come l'Italia di oggi, superato anche dalla realtà.

Per tornare alla realtà leggi:




26 gennaio 2011

Costituzione - Resistenza - Tricolore

COSTITUZIONE RESISTENZA TRICOLORE
Le tre parole chiave, collocate in cima alla lista dai lettori di Repubblica.it che in più di centomila hanno partecipato al sondaggio per scegliere la parola dei 150 anni. 
Su 25 voci, Costituzione - Resistenza - Tricolore hanno raccolto insieme quasi il 50% delle preferenze indicando, in quest'Italia confusa e demotivata almeno tre valori irrinunciabili, almeno per una parte importante della popolazione. 
Quasi a fare da contraltare a queste indicazioni, stanno agli ultimi posti, con l'1% di preferenze, Telequiz e Festival. 
Sono dati significativi che ci aiutano a capire come nell'Italia dei telequiz e dei festival della canzone, le parole che contano sono altre: la Costituzione, come salvaguardia di legalità; la Resistenza che ha contribuito a farci diventare una repubblica democratica e libera; il Tricolore, simbolo dell'unità della nazione (anche se qualche idiota vorrebbe buttarlo nel cesso).

Di seguito i risultati del sondaggio

1. Costituzione
(20815 voti) 21%

2. Resistenza
(15590 voti) 16%

3. Tricolore
(11505 voti) 11%

4. Emigrazione
(5510 voti) 5%

5. Burocrazia
(5316 voti) 5%

6. Brigantaggio
(4234 voti) 4%

7. Tangentopoli
(4887 voti) 5%

8. Fascismo
(3727 voti) 4%

9. Trasformismo
(3532 voti) 4%

10. Famiglia
(3449 voti) 3%

11. Anni di piombo
(2827 voti) 3%

12. Calcio
(2393 voti) 2%

13. Democristiano
(2177 voti) 2%

14. Dialetti
(1886 voti) 2%

15. Sciopero
(1623 voti) 2%

16. Commedia
(1503 voti) 1%

17. Neorealismo
(1477 voti) 1%

18. Socialismo
(1385 voti) 1%

19. Femminismo
(1383 voti) 1%

20. Guerra
(1300 voti) 1%

21. Ferrari
(1183 voti) 1%

22. Concordato
(969 voti) 1%

23. Austerity
(897 voti) 1%

24. Telequiz
(562 voti) 1%

25. Festival
(253 voti) 0%

25 gennaio 2011

APRIRE GLI OCCHI: L'ITALIA MERITA DI MEGLIO



Una bella lettera di una giovane studentessa universitaria, trovata nelle pagine della posta de Il Messaggero.
Mi ha fatto riflettere sul senso di frustrazione che colpisce anche i giovani migliori del nostro Paese. Non hanno più sogni da realizzare, non hanno speranze, non hanno futuro e provano tristezza, smarrimento e vergogna per la situazione in cui si dibatte questa Italia, aggrovigliata negli scandali di un potere cieco e ottuso. 
In una fase di progressivo invecchiamento demografico, dovrebbero rappresentare la grande, irrinunciabile risorsa su cui investire per costruire un futuro degno della nostra straordinaria tradizione culturale e artistica e sono, invece, abbandonati a se stessi, trascurati e spesso additati come violenti e sovversivi.

Terribile è l'epoca in cui gli idioti governano i ciechi, di Flavia Macerola 
Buongiorno a tutti. Sono una venticinquenne, studentessa universitaria alla facoltà di chimica della Sapienza di Roma, stanca di essere ogni giorno raggiunta da notizie inerenti il nostro mondo politico che di sapore politico hanno ben poco. L'Italia è in crisi. E non mi riferisco solo a quella economica, data per sconfitta, ma che in realtà vede in ginocchio noi "comuni" italiani. Quando un ragazzo, che dovrebbe essere il futuro della sua Nazione, sogna la sua vita lontano; quando un giovane non spera neanche più in un lavoro nel suo Paese d'origine; quando si vergogna a dire da dove viene - per il timore di essere considerato parte delle maggioranza che ha votato questo governo - allora c'è un problema! Il nostro Paese va in pezzi, smembrato e colpito nella sua dignità, nel suo orgoglio e nel suo ricordo di culla di arte e cultura. Non c'è più l'Italia del Leonardo che ammaliò la Francia, del Michelangelo che tutt'ora incanta il mondo, degli scienziati, inventori o geni senza tempo. E se anche ci fosse qualcuno con capacità per diventarlo, perderebbe ogni speranza, perchè studiare non paga più! Ormai, c'è posto solo per l'Italia del chiacchiericcio e del gossip volgare. E anche i politici, giocano al rilancio di faccende scomode e scottanti. Certo è che, se chi è a capo di questo Paese assumesse un comportamento decoroso e più che ineccepibile, non offrendo il fianco, dando l'opportunità di colpire il suo tallone d'Achille, magari si potrebbero portare avanti discussioni costruttive sulla crescita di quest'Italia! Più di una volta mi è capitato di accogliere confidenze di chi, votando uno schieramento, se ne è poi sentito tradito e insoddisfatto. Sarà anche perchè, ormai, le ideologie di destra e sinistra sono solo specchietti per le allodole, infiocchettamenti per attirare le masse, ma ecco che un governo poco raccomandabile - ma molto raccomandato - e un'opposizione debole e poco risolutiva, gettano noi nel disorientamento e nella delusione più totale. Sarebbe inutile chiedere coerenza ed onestà morale ai nostri politici, dimettendosi e facendo spazio ai giovani, o per lo meno a chi ha veramente a cuore il destino di questa Nazione: nessuno venderebbe mai la gallina dalle uova d'oro! Vorrei invece parlare a tutti quelli che si sentono vittime, privati del diritto di avere gli stessi trattamenti, di ottenere un posto di lavoro per merito o di costruire concretamente una famiglia prima dei quarant'anni. Non abbiamo ancora capito che loro dipendono da noi e noi 'dobbiamo' pretendere rispetto e considerazione. Perdonate lo sfogo, ma queste sono veramente le parole di una giovane delusa, amareggiata e molto triste, perchè vede il suo Paese - di cui è stata sempre estremamente orgogliosa - essere ridicolizzato dal mondo intero, additato come patria della lussuria, della clientela e della prostituzione intellettuale. Saggio Shakespeare nel dire che terribile è l'epoca in cui degli idioti governano dei ciechi. Bene, decidiamo, allora, di aprire gli occhi: l'Italia merita di meglio.
Fonte: Il Messaggero

Il premier e il suo "postribolo"

Non va a difendersi in tribunale, non partecipa, invitato, alle trasmissioni dove manda i pasdaran tipo sgarbi e santankè, comunica alla nazione solo con videomessaggi registrati dove racconta la sua verità senza filtri e poi, per colmo, disturba le trasmissioni e insulta gli ospiti e il conduttore con volgari interventi telefonici. 
Vergogna! Questo sarebbe il miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni?

Iva Zanicchi da Santoro aveva detto: Berlusconi? proviamolo. E se non va bene gli diamo un calcio in culo.
Ancora vuole provarlo? Cosa deve farci vedere ancora Il signore dei bordelli?


Incursione di Berlusconi a l'Infedele


Berlusconi telefona a Ballarò e litiga con Floris



Il postribolo a Villa Certosa

24 gennaio 2011

Tra realtà e finzione: Una telenovela che dura da 17 anni

Surreal: A Soap Opera Starring Berlusconi  

Con quest'immagine e sotto questo titolo il New York Times pubblica una corrispondenza dell'inviata dall'Italia, Rachel Donadio, per spiegare agli americani l'ultimo scandalo in cui è coinvolto il primo ministro italiano.

Per illustrare la situazione italiana, altrimenti incomprensibile all'americano medio, la giornalista utilizza l'espressione vita parallela, parallel life, usata da Ruby nell'intervista di Alfonso Signorini a Kalispera. 
La vita parallela, sottolineata dal conduttore, è quella che si sarebbe costruita la povera extrscomunitaria, per uscire dall'esperienza drammatica di un'infanzia difficile.



Nell'Italia costruita dalla politica e dalle TV berlusconizzate c'è stato il tentativo, finora riuscito, di far coincidere la realtà con l'immagine che di essa viene data dalla TV.
I problemi, i conflitti sociali, le contraddizioni profonde di una società in crisi permanente e in progressivo invecchiamento vengono banalizzati o espulsi dal piccolo schermo, per dar vita a momenti ingannevoli e situazioni fittizie d'intrattenimento popolare con i quali si cerca di distrarre i teleutenti dalla dura realtà quotidiana e produrre l'identificazione degli stessi con il mondo sereno e dorato dei falsi miti messi in onda. Sono gli stessi strumenti della vita parallela che, in sostanza, usa la pubblicità commerciale.

In questa cornice, per anni, il premier ha potuto raccontare magnifacamente la sua favola straordinaria e irripetibile di uomo impareggiabile che si è fatto da sè e che ha voluto mettere a disposizione del Paese che ama, tutte le sue doti di uomo positivo, baciato dalla fortuna e dal genio, al fine di sollevarne le sorti e svecchiarne le strutture e le istituzioni politico-sociali.

Di quella favola, però, rimane ormai solo il racconto se è vero che - come dicono i dati ISTAT e Bankitalia coincidenti - un giovane su cinque non studia e non lavora, il 46% della popolazione si è fermato alla licenza media, più della metà delle donne italiane sono disoccupate, al Sud uno su cinque lavora in nero, il tasso di disoccupazione giovanile è al 25,4, il debito pubblico sale e sale anche l'inflazione.

Se, dunque, per il New York Times Berlusconi è prigioniero del mondo che ha creato, gli Italiani, sotto la cappa dell'imbonimento mediatico, appaiono confusi e incapaci di reagire positivamente ad una situazione politica e sociale bloccata e senza via d'uscita.
La commedia, però, sembra giunta alla sua conclusione e vogliamo augurarci che nella sua fase finale non si trasformi in farsa nè in melodramma, e tantomeno in tragedia.

23 gennaio 2011

Due voci sullo sconcerto che chiamano in causa l'Italia malata



ovvero ... il 
BORDELLO ITALIA



Sono la riflessione a voce alta di Felice Lima, un giudice che vive e amministra la giustizia in terra di mafia, e quella di Claudio Fava, politico e giornalista che in quella terra si è formato e vissuto, come suo padre, combattendo la mafia e il malcostume.
Ambedue le analisi portano alla conclusione ragionata che, per essere arrivati, come italiani, al punto in cui siamo, è l'Italia che si è prostituita al signore di Arcore. E se lui, forse, pagherà il suo conto con la legge, sarà più difficile per noi riacquistare la nostra onorabilità nel consesso delle nazioni.
Oso sperare che la maggior parte degli italiani appartanga alle prime due categorie prese in esame dal giudice, e che la maggior parte dei padri e delle madri di questo paese non assomigli ai padri e alle madri delle fanciulle in fiore, ospiti ben remunerate del bordello nazionale ad uso personale dell'utilizzatore finale.

L'inevitabile punizione della Storia di Felice Lima

Io e mia moglie siamo entrambi magistrati e prestiamo il nostro servizio da venticinque anni in Sicilia.
In passato accadeva che solo negli ambienti più torbidi del malaffare e della criminalità più odiosa i magistrati (e dunque anche noi) venissimo apostrofati con espressioni ingiuriose – tipo “sbirro”, “curnutu”, e altre – da chi, essendo un criminale, ci teneva a marcare una differenza per così dire ontologica con chi, nel suo universo di riferimento, serviva il nemico: cioè, lo Stato.
E tuttavia, anche questi criminali e anche i peggiori di loro pronunciavano le ingiurie solo quando parlavano fra loro o in ambienti in cui fosse condiviso il loro sistema diciamo così valoriale.
Perché in qualunque altro posto diverso da una suburra anche i più squallidi ceffi si riferivano ai giudici con un rispetto formale magari insincero ma consapevole del fatto che il vivere in una società vagamente civile o almeno aspirante civile o, come direbbe Cetto, qualunquemente civile, impone di fingere un certo almeno minimo rispetto per lo Stato.

Da alcuni anni a questa parte, invece, il linguaggio tipico dei più squallidi ceffi delle peggiori suburre è in uso al Capo del Governo e va in onda su tutti i mezzi di comunicazione in tutti gli orari e a preferenza in quelli di punta sulle televisioni generaliste.
Dunque, io e mia moglie ci troviamo costretti a vietare l’uso della televisione – e sommamente negli orari dei vari telegiornali – ai nostri figli adolescenti, per evitare che le loro anime semplici risultino disorientate su una delle idee che i genitori in qualche modo gli hanno inculcato: che i magistrati sono al servizio dello Stato e svolgono un lavoro onorato.
Né sarebbe sensato smentire il Presidente del Consiglio dinanzi ai nostri figli, perché sembra evidente che, se il Presidente del Consiglio, al pari di qualunque incallito criminale, dice che i magistrati sono nemici dello Stato, ogni persona semplice sarà indotta a pensare che non si possa sfuggire all’alternativa consistente nel fatto che, se il Presidente del Consiglio avesse ragione, i magistrati sarebbero davvero l’antistato, ma, se avesse torto, allora senza dubbio l’antistato sarebbe lui. Ed è difficile dire quale delle due alternative sia la peggiore.

Ciò detto, per manifestare una certa – credo legittima – indignazione per ciò che è accaduto e ancora accade, riflettevo ieri sul fatto che un uomo normale è soggetto, nel suo agire, a vari condizionamenti e a diversi freni inibitori, la cui varia efficacia dipende dalle qualità intellettuali e morali della persona.
Dinanzi alla profferta di qualcosa di disonorevole, l’uomo di animo nobile rifiuterà perché ciò che gli si propone non è giusto. L’uomo moralmente depravato rifiuterà per timore della sanzione penale. Infine, l’uomo depravato e indifferente alle sanzioni giuridiche rifiuterà per istinto di conservazione quando l’interlocutore non dia garanzie di reggere la necessaria complicità.
Dunque, nessun malavitoso psicologicamente equilibrato accetterebbe proposte criminali da chi si offrisse come complice senza dare le necessarie garanzie di tenuta. Tanto per dire, nessun lestofante compos sui farebbe accordi con una diciottenne, perché avrebbe la lucidità di rendersi conto che, anche se poi le dicesse: “Ti copro d’oro purché tu taccia”, non sarebbe affatto certo che lei tacesse.

Scoprire che il presidente del Consiglio ha instaurato con una prostituta minorenne un tipo di relazione tale da consentire alla prostituta minorenne di fargli telefonare direttamente mentre è intento in impegni di Stato all’estero (in Francia) per chiedergli di intervenire presso una Questura per farla liberare e che il Presidente del Consiglio ha ritenuto di telefonare direttamente alla Questura chiedendo la liberazione della ragazza, aggiungendo all’inqualificabilità del suo comportamento anche la assurda menzogna di spacciare la prostituta per la nipote di un capo di stato estero (Mubarak) è veramente sconcertante, perché colloca il Presidente del Consiglio in una catalogazione ulteriore e inferiore rispetto ai tre tipi umani sopra illustrati.

L’esistenza di un tipo umano come questo – indifferente ai precetti morali, indifferente ai precetti della legge e indifferente all’evidenza del rischio di un ricatto, prima, e di una svergognatura mondiale, poi, da parte della inverosimile complice prostituta minorenne – è possibile solo in presenza di una condizione psicologica molto gravemente compromessa, ma anche, purtroppo, a una particolare condizione della vita politica, civile e sociale del paese ospitante. Ed è questo che vorrei sottolineare.

In un paese normale, chi si proponga per servire lo Stato, comprende come ovvio il suo dovere di adeguare se stesso alle esigenze del servizio.
Dunque, chi, per esempio, si dedichi a fare il magistrato, comprende da subito di dovere smettere di frequentare – ove mai gli fosse capitato in precedenza di farlo – persone di malaffare, gente coinvolta in crimini e maggiormente in crimini orribili perché connessi a fatti di mafia e/o ad abuso di funzioni pubbliche.
Il caso del nostro presidente del Consiglio e dei suoi sodali da lui collocati nei vari ruoli funzionali alle sue esigenze (direzioni di telegiornali, Consigli Regionali, Parlamento della Repubblica) si caratterizza per il fatto che questi pensano che è lo Stato che, se vuole essere servito da questo “utilizzatore abituale”, deve adeguare le sue leggi alle esigenze dell’utilizzatore.

Dunque, da più di quindici anni, assisto da magistrato al costante mutare delle leggi del mio Paese per adeguarle alle esigenze di una persona che non considera sé stesso onorato dall’incarico ottenuto, ma il Paese beneficiato dal fatto che lui, fra una lap dance di una minorenne e dei consigli sull’autoerotismo da lui dati ad altra prostituta (in quel caso per fortuna almeno maggiorenne: la signora D’Addario, che ha registrato questi preziosi suggerimenti mentre gli venivano dati da Capo del nostro Governo e rappresentante del nostro Paese), dedica un po’ del suo tempo a occuparsi delle cose dello Stato. Senza trascurare, ovviamente, di coltivare il più possibile, nella gestione di quelle, i suoi affari personali.

Il Popolo Italiano ha ritenuto possibile violentare per anni la verità e la giustizia per portare avanti un patto scellerato con una persona che, in cambio della palesemente vana promessa di sogni sempre più mirabolanti per un avvenire radioso e sempre più “futuro”, giorno per giorno esige e ottiene da ogni tipo di cittadino, operaio, professionista, essere umano e, soprattutto, istituzione favori sempre più impegnativi e insostenibili e sempre più deplorevoli e illegali, per soddisfare la sua fame di denaro, di gloria e di sesso.

Applicando l’analisi fatta sopra ai popoli, si deve dire che, dinanzi alla profferta di un millantatore che, in cambio di vane promesse, chiede la consegna di tutto intero lo Stato, delle sue istituzioni e della sua intrinseca dignità, un popolo ricco di valori morali rifiuta perché la cosa è moralmente inaccettabile. Un popolo rispettoso delle leggi rifiuta perché la costituzione non lo consente. Un popolo depravato e irrispettoso di ogni tipo di legge rifiuta perché si rende conto di trovarsi dinanzi a un truffatore bravo solo a fare il piazzista/imbonitore.
Il popolo italiano – come il Capo del suo Governo – appartiene a un quarto tipo inferiore e peggiore rispetto ai tre appena descritti. Lo spettacolo che è sotto gli occhi di tutti e, purtroppo, di tutto il mondo, è l’inizio della punizione che la storia – come ha sempre fatto in tutti i tempi – sta iniziando a dare a un popolo tanto scellerato. E il paradosso è che tutto ciò che è già sotto gli occhi di tutto non è che una piccolissima parte di ciò che, continuando a trattare così lo Stato e le sue istituzioni, ci toccherà di subire e vedere.

Quanto alla logica che sta dietro alla capacità di un capo di governo di mentire tanto spudoratamente in pubblico su ogni cosa che lo riguarda, essa è certamente quella illustrata da Adolf Hitler nel suo Mein Kampf: “La Grande Bugia è una bugia così enorme da far credere alla gente che nessuno potrebbe avere l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”.
Ma la tesi non è fondata: perché si creda a bugie tanto squallide e vergognose non è necessario che esse siano “grandi”; è necessario che siano dette a un popolo che, per ragioni meschine e disonorevoli, è disposto a fingere di credere a tutto.

La tragedia epocale di questo Paese non è nel fatto che il Capo del suo Governo sia una persona impresentabile e improponibile, amico intimo e frequentatore abituale di persone che vanno dai Previti (condannato con sentenza definitiva per crimini più che deplorevoli), ai Dell’Utri (condannato in primo e secondo grado per fatti di mafia), alle D’Addario, Ruby, Minetti, Mora, Mangano e altre decine e decine, che in qualunque altro paese non avrebbero non il telefono, ma neppure l’indirizzo di un Capo di Stato, ma nel fatto che l’intero Paese ha costantemente e sistematicamente ridotto se stesso, le sue istituzioni, le sue leggi, le sue strutture culturali, politiche e sociali a una condizione nella quale ciò che sta accadendo può materialmente accadere. Fonte: Blog Uguale per tutti

Il silenzio dei padri per le notti di Arcore di Claudio Fava 
Non solo il cavaliere, non solo le ragazzine, non solo le maitresse e gli adulatori, non solo gli amici travestiti da maggiordomi, le procacciatrici di sesso, i dischi di Apicella e la lap dance in cantina: in questa storia da basso impero ci sono anche i padri. E sono l’evocazione più sfrontata, più malinconica di cosa sia rimasto dell’Italia ai tempi di Berlusconi. I padri che amministrano le figlie, che le introducono alla corte del drago, le istruiscono, le accompagnano all’imbocco della notte. I padri che chiedono meticoloso conto e ragione delle loro performance, che si lagnano perché la nomination del Berlusca le ha escluse, che chiedono a quelle loro figlie di non sfigurare, di impegnarsi di più a letto, di meritarsi i favori del vecchio sultano. I padri un po’ prosseneti, un po’ procuratori che smanacciano la vita di quelle ragazze come se fossero biglietti della lotteria e si aggrappano alle fregole del capo del governo come si farebbe con la leva di una slot machine…

Insomma questi padri ci sono, esistono, li abbiamo sentiti sospirare in attesa del verdetto, abbiamo letto nei verbali delle intercettazioni i loro pensieri, li abbiamo sentiti ragionare di arricchimenti e di case e di esistenze cambiate in cambio di una sveltina delle loro figlie con un uomo di settantaquattro anni: sono loro, più del drago, più delle sue ancelle, i veri sconfitti di questa storia. Perché con loro, con i padri, viene meno l’ultimo tassello di italianissima normalità, con loro tutto assume definitivamente un prezzo, una convenienza, un’opportunità.

Ecco perché accanto ai dieci milioni di firme contro Berlusconi andrebbero raccolti altri dieci milioni di firme contro noi italiani. Quelle notti ad Arcore sono lo specchio del paese. Di ragazzine invecchiate in fretta e di padri ottusi e contenti. Convinti che per le loro figlie, grande fratello o grande bordello, l’importante sia essere scelte, essere annusate, essere comprate. Dici: colpa della periferia, della televisione, della povertà che pesa come un cilicio, della ricchezza di pochi che offende come uno sputo e autorizza pensieri impuri. Balle. Bernardo Viola, voi non vi ricordate chi sia stato. Ve lo racconto io. Era il padre di Franca Viola, la ragazzina di diciassette anni di Alcamo che, a metà degli anni sessanta, fu rapita per ordine del suo corteggiatore respinto, tenuta prigioniera per una settimana in un casolare di campagna e a lungo violentata. Era un preludio alle nozze, nell’Italia e nel codice penale di quei tempi. Se ti piaceva una ragazza, e tu a quella ragazza non piacevi, avevi due strade: o ti rassegnavi o te la prendevi. La sequestravi, la stupravi, la sposavi. Secondo le leggi dell’epoca, il matrimonio sanava ogni reato: era l’amore che trionfava, era il senso buono della famiglia e pazienza se per arrivarci dovevi passare sul corpo e sulla dignità di una donna.

A Franca Viola fu riservato lo stesso trattamento. Lui, Filippo Melodia, un picciotto di paese, ricco e figlio di gente dal cognome pesante, aveva offerto in dote a Franca la spider, la terra e il rispetto degli amici. Tutto quello che una ragazza di paese poteva desiderare da un uomo e da un matrimonio nella Sicilia degli anni sessanta. E quando Franca gli disse di no, lui se l’andò a prendere, com’era costume dei tempi. Solo che Franca gli disse di no anche dopo, glielo disse quando fece arrestare lui e i suoi amici, glielo urlò il giorno della sentenza, quando Filippo si sentì condannare a dodici anni di galera.

Il costume morale e sessuale dell’Italia cominciò a cambiare quel giorno, cambiò anche il codice penale, venne cancellato il diritto di rapire e violentare all’ombra di un matrimonio riparatore. Fu per il coraggio di quella ragazzina siciliana. E per suo padre: Bernardo, appunto. Un contadino semianalfabeta, cresciuto a pane e fame zappando la terra degli altri. Gli tagliarono gli alberi, gli ammazzarono le bestie, gli tolsero il lavoro: convinci tua figlia a sposarsi, gli fecero sapere. E lui invece la convinse a tener duro, a denunziare, a pretendere il rispetto della verità. Tu gli metti una mano e io gliene metto altre cento, disse Bernardo a sua figlia Franca. Atto d’amore, più che di coraggio. Era povero, Bernardo, più povero dei padri di alcune squinzie di Arcore, quelli che s’informano se le loro figlie sono state prescelte per il letto del drago. Ma forse era solo un’altra Italia. Fonte: l'Unità

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