Informazioni personali

La mia foto
Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

Benvenuto nel mio blog

Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

Se vuoi scrivermi, usa il seguente indirizzo: mieidee@gmail.com

03 gennaio 2009

Valle del Belice '68 - Per non dimenticare

Il 15 gennaio non si ebbe l'immediata sensazione della gravità del fatto dato che a quel tempo la zona interessata non era considerata critica dal punto di vista sismico. Il terremoto venne sottovalutato nella sua entità al punto che molti quotidiani riportarono la notizia di pochi feriti e qualche casa lesionata.
La realtà si manifestò in tutta la sua terribile evidenza solo quando giunsero i primi soccorsi in prossimità dell'epicentro approssimativamente posto tra Gibellina, Salaparuta e Poggioreale: le strade erano state quasi risucchiate dalla terra. In conseguenza di ciò molti collegamenti con i paesi colpiti erano ancora impossibili ventiquattro ore dopo il violento sisma. Ciò rese ancora più confusa l'opera dei soccorritori, già poco coordinati, e gli interventi furono del tutto frammentati.
Nei giorni seguenti visitarono la zona il presidente della repubblica Giuseppe Saragat e il ministro dell'interno Paolo Emilio Taviani. Furono impegnati nei soccorsi più di mille vigili del fuoco, la Croce Rossa, l'esercito. Il pilota di uno degli aerei impegnati nella ricognizione della zona dichiarò di avere visto "uno spettacolo da bomba atomica [...] Ho volato su un inferno".






Dalle 13.29 di domenica 14 gennaio alle 23.20 di lunedì 15, sedici violente scosse di terremoto distruggono gran parte della valle del Belice, un triangolo fra Palermo, Marsala e Agrigento. I paesi di Gibellina, Montevago e Salaparuta sono rasi al suolo, cancellati. Gravemente danneggiati Poggioreale, Salemi, Santa Ninfa, Santa Margherita Belice, Roccamena. I morti si contano a centinaia: 133 a Gibellina, 122 a Montevago, decine e decine altrove per un totale di 351 vittime. I sinistrati superano i centomila, per quattro, cinque giorni a migliaia si aggirano fra le macerie alla ricerca di congiunti dispersi e per salvare qualcosa rimasto indenne nello scempio. Le cronache dei sei inviati della Gazzetta sono talmente strazianti che spesso vengono riproposte. Vi sono casi di gente estratta viva dalle macerie dopo quattro giorni. La storia della piccola ‘Cuccureddu’, unica superstite di un’intera famiglia salvata dopo 60 ore, fa il giro delmondo. Il dramma della Sicilia commuove tutta la comunità. Aiuti e soccorritori arrivano da ogni parte d’Italia e d’Europa. Sono soprattutto giovani e, di nuovo, molti sono i tanto disdegnati ‘capelloni’ subito denominati ‘angeli delle macerie’. Il 20 gennaio, in un caos indescrivibile fra uomini e mezzi inviati per i soccorsi senza alcun coordinamento, la valle del Belice viene investita da una pioggia torrenziale, la temperatura scende notevolmente ed il fango finisce l’opera di distruzione. Numerosi accampamenti e tendopoli, approntate dall’Esercito, gli unici a dimostrare un minimo di organizzazione, vengono spazzate via dalla furia del vento. E’ una persecuzione. Il 24, gli inviati della Gazzetta, annunciano che in Sicilia è in corso un vero e proprio esodo: In ventimila sono già emigrati e la mafia compra terra e bestiame per due soldi. Ma non saranno solo i mafiosi a macchiarsi di sciacallaggio.

Io ero a letto, nella mia casa di Menfi appena ricostruita e abitata da una settimana. Avevo finito di tradurre, la sera prima, il libro VI delle Naturales Quaestiones di Seneca, il De terremotis, per il 2° esame di Lingua e letteratura latina che dovevo sostenere alla facoltà di lettere di Palermo con il compianto Professor Giusto Monaco.
Gli argomenti del grande filosofo stoico mi avevano convinto quando sosteneva che “Lo sbigottimento è generale, quando le case scricchiolano e si annuncia il crollo. Allora ciascuno si precipita fuori e abbandona i suoi penati e si affida all’aria aperta: a quale nascondiglio guardiamo, a quale aiuto, se il globo stesso prepara rovine, se ciò che ci protegge e ci sostiene, su cui sono situate le città e che alcuni hanno detto essere il fondamento del mondo, si apre e vacilla? Dunque, non c’è nessuna differenza se è una pietra a schiacciarmi o una montagna intera a stritolarmi, se mi cade addosso il peso di una sola casa e io spiro sotto il piccolo mucchio delle sue rovine polverose o l’intero globo terrestre fa sparire la mia persona, se esalo l’ultimo respiro alla luce e all’aperto o nell’immensa voragine delle terre che si spalancano, se sono portato nell’abisso da solo o in compagnia di un seguito numeroso di popoli che cadono insieme con me; non mi importa affatto che attorno alla mia morte ci sia un gran clamore: essa è ovunque altrettanto grande. Quindi, facciamoci coraggio contro questa catastrofe che non può essere né evitata né prevista, e smettiamo di dare ascolto a costoro che hanno rinunciato alla Campania e che sono emigrati dopo questo evento e dicono che non rimetteranno mai piede in quella regione: infatti, chi assicura loro che questo o quell’altro terreno poggia su fondamenta più solide?”

L’argomentazione mi era sembrata ragionevole e apprezzabile analizzandola a freddo, ma quando le scosse hanno fatto sussultare prepotentemente il mio letto e gli infissi hanno crocchiato e i lampadari hanno traballato, ho dimenticato quei consigli razionali e in un battibaleno ero vestito e pronto a lasciare la casa insieme ai miei sulla mia vecchia FIAT 500.
Forse Seneca aveva ragione perché rimanendo a casa non mi sarebbe successo nulla, mentre attraversando le strade del paese piene di calcinacci, detriti e macerie, tra gente che si muoveva all’impazzata, qualche guaio avrei potuto averlo.

A 41 anni dall'evento disastroso, molte case sono state ricostruite, tanti affaristi hanno speculato sulla calamità ricostruendo la 2° e 3° casa, anche quella che non c'era; altri aspettano ancora di vedere sorgere il proprio tetto.

3 commenti:

  1. Sono trascorsi oltre 40 anni e la ricostruzione non è ancora ultimata. Incredibile! Anch'io ho sentito le scosse ma da una zona non direttamente interessata. Solo paura, dunque, e pochi danni. Ricordare, comunque, fa bene.

    RispondiElimina
  2. Anonimo4.1.09

    Caspita che coincidenza che fosse proprio quella la traduzione che avevi fatto!!

    RispondiElimina
  3. Anonimo5.1.09

    Proprio così, si trattava del De terremotis di Seneca del quale ho riportato i passi che mi avevano colpito nella traduzione italiana. Continua a visitare il mio blog, un abbraccio.

    RispondiElimina

Stai per lasciare un commento? Lo leggerò volentieri ma ti chiedo per correttezza di firmarlo. In caso contrario sarò costretto a cestinarlo.
Ti ringrazio, Victor

Il miglior motore di ricerca