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12 febbraio 2011

Profondamente divisi verso la ricorrenza dell'Unità d'Italia

Lo stato di questa povera Italia, immiserita, rattrappita e divisa, è evidenziato plasticamente dalla diatriba che a poco più di un mese dalla data della ricorrenza (17 marzo) contrappone presidenza della repubblica, rappresentanze politiche, del governo, del mondo del lavoro e dell'industria, delle regioni, delle province e della scuola.


In un paese normale la questione non avrebbe motivo di porsi. Nel 150° anniversario dell'unità d'Italia un governo serio e responsabile avrebbe dovuto per tempo predisporre un preciso calendario delle manifestazioni fissando la data del 17 marzo 2011 festa nazionale.

Le cose invece vanno diversamente. Il governo, preso com'è dai problemi personali del premier, non decide. Approfittando del disagio espresso dalla presidente di Confindustria (motivato esclusivamente sul piano economico) il solito ministro padano approfitta strumentalmente per mandare in vacca la festa che i suoi padani mal digeriscono, con la scusa della crisi che ci consiglia di non bruciare una giornata lavorativa. Da parte sua, la ministressa dell'istruzione, italiana ma di profondi sentimenti padani, decide che in quel giorno ci saranno lezioni regolari consigliando agli insegnanti di dedicare quelle ore all'approfondimento della storia del Risorgimento. Anche su questo argomento (unitario) i sindacati confederali mostrano la loro diversità. 
Volete che il presidente della provincia autonoma di Bolzano, in mezzo a tanto marasma, non approfitti per dire la sua? Loro sono austriaci, sono sudtirolesi e questa festa non gli appartiene. Benchè risarciti con un pacchetto speciale di provvidenze, il loro cuore batte altrove e di quest'Italia se ne impipano. Hanno tutti i torti?

Siamo, dunque, in un bel bailamme: ministri patriottici contro ministri padani, presidi contro ministressa della scuola, CISL e UIL contro CGIL, presidenza della repubblica contro presidenza della provincia di Bolzano.

Non si poteva arrivare all'appuntamento in una condizione peggiore e vengono in mente i versi dell'inno nazionale ancora di grande attualità, checché ne pensino Bossi e i suoi padani:
Noi fummo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.

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