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09 marzo 2011

Il Mediterraneo: ponte o barriera tra i popoli?

Nelle settimane scorse abbiamo assistito al mutare repentino della situazione geopolitica del Nord Africa e alla caduta, come birilli, dei vecchi raìs sotto i colpi di una rivolta popolare che si è estesa a macchia d'olio in tutta l'area del Maghreb ed oltre.
In Libia lo scontro cruento è ancora in corso perché il sistema politico strutturatosi attorno al colonnello Gheddafi è duro a cadere e intende vendere cara la pelle.
Mentre le giovani popolazioni del Maghreb abbattono i loro vecchi tiranni che già si preparavano a lasciare ai figli l'eredità del potere corrotto, e chiedono democrazia, lavoro e migliori condizioni di vita, gli Stati dell'Europa civile e democratica sembrano guardare con sorpresa e timore ai sommovimenti in corso in quell'area, che mettono in discussione i vecchi assetti politici ed economici.
L'Italia, in particolare, che con gli Stati maghrebini coltiva stretti rapporti politici ed economici, è stata presa in contropiede e si mostra assai tentennante ad abbandonare al loro destino i vecchi referenti. Mentre occorrerebbe, con realismo e lungimiranza, iniziare un avvicinamento serio alle forze nuove che hanno soppiantato i vecchi regimi, per orientarne e guidarne il cammino verso la democrazia. Il nostro governo sembra, invece, preoccupato quasi esclusivamente di contenere la pressione che masse di profughi nordafricani esercitano sulle nostre coste, e poco o niente dell'opportunità per il nostro Paese di rinsaldare i vincoli di collaborazione e solidarietà con quelle popolazioni che si affacciano prepotentemente alla ribalta della storia.

Se la politica degli Stati è lenta e talvolta miope, specie quando si chiude nel proprio orticello, è la cultura che spesso apre le strade dell'innovazione e del cambiamento.
Mi è capitato sottomano in questi giorni, visitando il sito del CENSIS, il Sondaggio che precedeva di un mese la Conferenza internazionale Mediterraneo: Porta d’Oriente tenutasi a Palermo nel mese di maggio 2010.
La Fondazione Roma Mediterraneo ha promosso la realizzazione della Conferenza con l’obiettivo di fornire un contributo originale al dibattito in corso, tramite il coinvolgimento di esperti, studiosi, imprenditori, uomini di cultura. Dal Mediterraneo orientale all’Egitto, alla Mesopotamia, all’Asia minore, alla Grecia, fino a Roma, qui si è dipanato il cammino di popoli, di culture, di civiltà che hanno segnato la storia dell’intera umanità e che sono la madre di questa nostra Europa. Così si è espresso il presidente della Fondazione Roma, Emanuele, aprendo i lavori della conferenza, aggiungendo che La Sicilia è una testa di ponte avanzata dell’Europa verso l’Africa e parte dell’Asia.
Il Mediterraneo deve costituire per l’Unione europea un’area geo-politica prioritaria all’interno dello scacchiere internazionale - ha detto Emanuele -, e l’Italia deve spingere fortemente in questa direzione, assai più di quanto ha fatto finora.

Dal Sondaggio di cui sopra si rileva che il 49,1% degli italiani (con un picco del 62,8% tra i residenti al Sud) manifesta un prevalente sentimento di appartenenza al Mediterraneo. Mentre per oltre il 57% dei rispondenti l’area mediterranea è destinata a giocare un ruolo sempre più determinante nello scenario globale. Gli italiani  individuano rilevanti possibilità di sviluppo economico per la regione mediterranea, strategicamente caratterizzata, per un verso, dalla stabilità europea, per l'altro dalle grandi potenzialità di sviluppo dei paesi che si affacciano alla sponda sudorientale del Mare Nostrum
In un ambito di fattiva collaborazione e integrazione, la regione, contraddistinta da un'importante eredità storica e culturale, dalla bellezza dei paesaggi e da un clima particolarmente favorevole, potrebbe produrre una spinta propulsiva sul piano economico, sociale e culturale nei confronti della vecchia Europa.

Cinque sono i pilastri della nuova cooperazione euromediterranea, secondo Emanuele: sicurezza internazionale, immigrazione, ambiente, partnership economica, formazione e cultura.
Con questi persupposti il Mediterraneo potrebbe tornare ad essere un laboratorio politico-culturale dove sperimentare un modello alternativo all’accumulazione incontrollata del capitale e alla finanziarizzazione dell’economia perché si possano costruire le condizioni per un sistema economico che operi a vantaggio della produzione e dei bisogni fondamentali delle persone.

In questi termini, camicie verdi permettendo, andrebbe costruito l'approccio con quel mondo, apparentemente tanto lontano, ma a noi sostanzialmente così vicino.

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