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14 novembre 2010

LE PAROLE CHE USIAMO (o che qualcuno usa per noi)

Oggi voglio riflettere e fare riflettere qualche amico sull'importanza delle parole. Attraverso le parole e l'uso che ne facciamo, elaboriamo il nostro pensiero e percepiamo la realtà fuori di noi. Per questo dobbiamo analizzare seriamente le parole chiave che ci vengono imposte dai potenti mezzi di comunicazione e il modo di adoperarle, per evitare l'assuefazione e il conformismo. 
Mi servirò per questo di due importanti contributi che sottopongo all'attenzione e alla valutazione dei miei lettori. 
Quello di Michela Murgia, in La custodia delle parole e l'altro di Gustavo Zagrebelsky, La neolingua del Cavaliere

Di questi due contributi sul tema, riproduco alcuni stralci e rinvio i più interessati ai testi integrali e al video dell'intervento del Professor Zagrebelsky al convegno che si è tenuto a Firenze, dal 15 al 17 ottobre 2010, sugli effetti del berlusconismo in campo sociale, economico e culturale, oltre che politico.  Società e Stato nell’era del Berlusconismo


Sottovalutarne il potere è l'errore più grossolano che possa capitare di fare a una persona che aspiri a rimanere libera, eppure è questo che succede di continuo. Puoi costruirti un bunker per il pericolo atomico, ma non ci sono posti sicuri contro le parole. Non è la stessa cosa scrivere "morto tragicamente" o "ucciso" su una targa commemorativa, ma è difficile che il defunto si alzi a protestare. Non è la stessa cosa scrivere su una etichetta che il prodotto è "al cioccolato" oppure "al gusto di cioccolato", ma non ci sono statistiche su quanti notino davvero la differenza. Se c'è scritto "con il 40% di grassi in meno", chi si chiede "ma in meno di cosa"? Le persone non sono preparate a difendersi dal potere creativo del linguaggio, e ignorano o sottovalutano la sua potenzialità di generare realtà.
Per questo chi possiede il potere di creare e diffondere le parole ha il controllo sul mondo: può far passare un'invasione per "guerra preventiva" e far sì che nessuno se ne lamenti; può spacciare una banale influenza per "pandemia" e scatenare insieme panico e business sui vaccini; può definire "ritorno dei capitali" un mero condono fiscale agli evasori, passando per salvatore delle finanze pubbliche; può apostrofare come "i nostri ragazzi" truppe di strapagati militari mandati a far da spalla alle guerre a casa altrui, e farci tenerezza. Oppure può vendere mediaticamente il dissenso politico come "odio sociale".
Ci vuole poco: basta pronunciare da un qualunque medium di massa l'equivalenza dissenso=odio per un numero di volte sufficiente, ed ecco che hai reso il dissenso moralmente riprovevole, quando non addirittura perseguibile per legge, perché se l'espressione del dissenso diventa incitamento all'odio, va da sè che divenga punibile.  Michela Murgia

Nella lingua del nostro tempo, si nota la presenza sovrabbondante di un lessico che non sarà certo quello di Schiller ma è forse piuttosto quello di Berlusconi, dei suoi e dei loro mezzi di comunicazione che si esprimono come lui. E noi abbiamo cominciato a parlare come loro.
Negli anni appena trascorsi è stata condotta vittoriosamente una battaglia semantica contro la dittatura del "politicamente corretto", accusato di conservatorismo, ipocrisia e perbenismo. I tabù linguistici sono caduti tutti. Perfino la bestemmia è stata «sdoganata» perché qualunque parola deve essere «contestualizzata». I contesti sono infiniti. Così ogni parola è infinitamente giustificabile.
Oggi è politicamente corretto il dileggio, l´aggressione verbale, la volgarità, la scurrilità. È politicamente corretta la semplificazione, fino alla banalizzazione, dei problemi comuni. Sono politicamente corretti la rassicurazione a ogni costo, l´occultamento delle difficoltà, le promesse dell´impossibile, la blandizia dei vizi pubblici e privati proposti come virtù. I cittadini comuni, non esperti di cose politiche, sono trattati non come persone consapevoli ma sudditi, anzi come plebe. Cosicché le posizioni sono ormai rovesciate. Proprio il linguaggio plebeo è diventato quel «politicamente corretto» dal quale dobbiamo liberarci, ritrovando l´orgoglio di comunicare tra noi parlando diversamente, non conformisticamente, seriamente, dignitosamente, argomentatamente, razionalmente. Gustavo Zagrebelsky
La neolingua del Cavaliere di Gustavo Zagrebelsky
La neolingua dell'età berlusconiana (video) di Gustavo Zagrebelsky
La custodia delle parole di Michela Murgia

INTERVISTA a MICHELA MURGIA

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