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27 febbraio 2012

Come si fa a non leggere e riflettere sull'esaustiva pagina di Franco Cordero in Repubblica di oggi?

Il suo stile scientemente involuto, l'erudizione somma, il lessico ricco, preciso e inconsueto possono renderlo ostico ai più. Ma la vivacità del pensiero, l'ironia e l'indignazione intellettuale ne fanno un pensatore e uno scrittore affascinante. Le sue analisi possiedono il timbro della saggezza ingenua delle favole per bambini, giovevoli specie agli adulti.  

Tutti gli scudi del Cavaliere - di Franco Cordero 
L’Ex-premier è imputato a Milano quale corruttore in atti giudiziari: una parte congeniale, visti i precedenti, stavolta tintinnano 600mila dollari all’avvocato londinese David Mills, esperto in labirinti fiscali nonché servizievole testimone. Lo racconta il predetto, confesso in Inghilterra e Italia, sicché alla difesa resta solo l’arma del perditempo, tanto da estinguere i reati. Monsieur B. aveva ricusato l’intero collegio: è la nona volta e soccombe ancora, impassibile. Le sue guerre forensi sono materia da stomaco forte, dove onore, verità, belle figure dialettiche contano poco. Se l’asserito reato esista e sia ancora punibile, doveva dirlo il Tribunale. 
L'ha detto: esiste e nei suoi calcoli risulta estinto dal tempo; era punto controverso. In lingua meno tecnica, l’impenitente corruttore schiva la pena e gli resta il marchio: fosse dubbio il fatto, sarebbe assolto; non se ne vanti, quindi. Avere schernito Dike con i versi della scimmia è titolo da compagnia equivoca: infatti vi gode un meritato culto, patrono con aureola; Kronos mangia i delitti. 
L’analisi comincia dalla persona. Esistono italiani intolleranti della serietà: preferiscono Crispi a Cavour; detestano Giolitti; liquidano De Gasperi; amano i buffoni, specie quando emergano aspetti sinistri. Mussolini li incanta con le smorfie al balcone e sotto la divisa da primo maresciallo dell’Impero: vola, nuota, balla, scia, miete, batte il passo romano, farnetica glorie militari; dopo vent’anni resterebbe a vita nella sala del mappamondo se non muovesse guerra a tre imperi.  
Berlusco Magnus è catafratto nella sicumera degl’ignoranti: sguaiato megalomane, ha fantasia fraudolenta, menzogna estrosa, occhio sicuro nel distinguere i lati peggiori dell’animale umano; vìola allegramente ogni limite. Le sue gesta stanno in quattro verbi: corrompe, falsifica, froda, plagia (mediante ipnosi televisiva, allevandosi una massa adoperabile); cervelli e midolla sono materia plastica. Due mosse strategiche dicono cos’abbia in mente: appena salito al potere, homo novus, propone guardasigilli l’avvocato che gli combinava ricchi affari loschi (il capolavoro è la baratteria con cui s’impadronisce della Mondadori comprando una sentenza); e degrada a bagatella il falso in bilancio, importantissimo nella diagnostica penale. In due legislature, padrone delle Camere, attua quel che sarebbe appena immaginabile in monarchie piratesche: governo personale, quasi lo Stato fosse roba sua; brulicano voraci faune; i convitati spolpano l’Italia. L’effetto non tarda. Fanno testo i numeri forniti dalla Corte dei conti: 60 miliardi l’anno nel giro d’affari corrotti; e un’evasione fiscale calcolabile in 100-120 miliardi; invano il Consiglio d’Europa raccomanda misure contro la tenia economica (verme nient’affatto solitario, visto come gavazzano P3, P4 et ceterae); il governo non batte ciglio. Metà dell’intera patologia europea fiorisce qui. Dove porti la politica del laissez manger, è presto detto: traslocando nel novembre 2011, sotto l’assalto dei mercati, l’Olonese lascia un debito pubblico pari a 1.905.012 (miliardi d’euro) ossia il decuplo dell’annua emorragia malaffaristica; aveva governato otto anni e mezzo, «uomo del fare». I conti tornano. 
Estinzione del reato, dunque, e se l’è sudata: incasserebbe i quattro anni inflitti a Mr Mills da Tribunale e Corte d’appello se le Camere affollate da uomini e donne del sì non votassero un malfamato lodo che vieta i giudizi penali nei suoi confronti, quia nominatur leo, strapotente capo del governo; quando va in fumo, dichiarato invalido, gli servono un privilegio dell’impedimento d’ufficio a comparire nell’aula. Così passano settimane, mesi, anni. Era latta anche questo scudo: finalmente compare ma nominor leo, quindi concede al massimo un giorno alla settimana e il dibattimento, illo tempore sospeso, deve ripartire davanti a un collegio diverso; il tutto basta appena, essendosi Sua Maestà accorciati i termini della prescrizione, con relativa amnistia occulta. Caso mai non bastasse, aveva pronte due leggi da manicomio: l’imputato ricco allunga finché vuole i dibattimenti arruolando testimoni a migliaia, e sul processo pende una mannaia; scaduto il termine, gli affari penali svaniscono. 
Sembrano incubi d’un cattivo sonno. No, è vergognosa storia recente. Come Dio vuole, sabato 12 novembre 2011 esce dal Palazzo avendo condotto l’Italia a due dita dalla bancarotta, ma non pensiamolo depresso: cova revanche; arrotano i denti dignitari, sgherri, domestici d’ambo i sessi, infuriati dalla prospettiva d’una ricaduta nel nulla. 
Mercoledì 22 febbraio nelle tre ore del colloquio col successore tocca argomenti caldi quali Rai e giustizia: le cosiddette «carriere separate» ossia un pubblico ministero governativo, che dorma o azzanni, secondo gli ordini; non dimentichiamo chi voleva installare in via Arenula. Gli spiriti animali restano integri. Lo confermava l’energico sostegno al piano delle Olimpiadi, come se opere colossali, talora finte, non avessero divorato abbastanza denaro; particolare pittoresco, sedeva a banchetto qualche gentiluomo del papa. La Corte dei conti (16 febbraio) chiede due misure dal senso chiaro: riconfigurare comme il faut il falso in bilancio; e un regime equo della prescrizione, l’attuale essendo criminofilo. 
Ogni tanto lamenta d’avere speso somme enormi in parcelle. Parliamone: ai bei tempi penalisti d’alta classe giostravano nel merito delle cause, fatto e diritto, sdegnando i cavilli procedurali; dura il ricordo d’avvocati giuristi quali Arturo Carlo Jemolo o Alfredo De Marsico, morti quasi poveri dopo una lunga vita in cattedra e sui banchi giudiziari. 
Erano sapienti ma disadatti al mestiere, commentano eroi del Brave New World, scambiando sogghigni porcini. L’immagine viene da Orwell, nella cui molto istruttiva Fattoria degli animali comandano maiali umanoidi dal freddo aplomb manageriale: una specie importante; chiamiamola verres erectus. Siamo salvi dal default. Deo gratias. Rimane una questione grave: quanto mordano nel codice genetico gli ultimi vent’anni; anzi, trenta, se v’includiamo l’antipedagogia televisiva. 

2 commenti:

  1. Anonimo28.2.12

    Fantastico. Grazie, non ho comperato il giornale e però ne ho sentito parlare di questo "pezzo" e mi sarebbe spiaciuto perdermelo. grazie ancora di averlo pubblicato, cerca cerca con google ci sono arrivata :)

    ciao, anna

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    Risposte
    1. La tenacia spesso è premiata. Continua a leggermi, troverai sempre qualcosa di utile. Ciao

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