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22 marzo 2012

L'iniquità del governo in carica

Togliere 1/2 pollo a quanti ne hanno uno, per consentire a chi ne ha 1000 di mangiarne 500, non è mai stata equità. Men che meno oggi che milioni di italiani quel pollo non ce l'hanno più! 

Ciò che disturba davvero è la supponenza dei cosiddetti tecnici - in primis del capo del governo - che smantellano con l'accetta diritti acquisiti cercando di convincerci che questo è l'unico modo per ampliare la platea dei tutelati. 
Con la supposta equidistanza dai partiti, il cui voto in parlamento però è loro indispensabile, stanno portando a compimento il programma di macelleria sociale che non è riuscito al peggiore governo di destra della storia repubblicana. 
E poi usano il guanto di velluto quando si tratta di risanare la RAI che interessa al padrone di Mediaset, quando si tratta di vendere le frequenze disponibili che il padrone di Mediaset aveva deciso di regalarsi, quando si tratta di mettere seriamente mano alla riforma della giustizia che il plurindagato e processato padrone di Mediaset non può lasciare assolutamente in mani altrui.  

Un governo che si dice di risanamento, di cura, ma che il suo bisturi – tutto politico – affonda nel corpo vivo dei lavoratori: dai tagli economici a quelli delle più elementari tutele. Allora, l’assalto proprio al simbolo della garanzia del diritto al lavoro che l’articolo 18 rappresenta non è un caso. E il fatto che il ministro Elsa Fornero, col suo eloquio al birignao esaltato dagli algidi sorrisi d’ordinanza, pretenda di spacciarlo per modernizzazione è solo esercizio di televendita, funzionale all’incalzante dittatura di un capitalismo che fa cassa sullo sfruttamento di chi lavora e di chi è licenziato

Il leader del Pd potrebbe affermare che non è possibile cancellare la più importante forma di tutela del lavoro dipendente se contemporaneamente non si ridimensionano i privilegi delle categorie sociali antagoniste. Se non si svuotano di ogni potere monopolistico gli ordini e le associazioni professionali, se non si argina la prepotenza di Confindustria e se non diventa possibile licenziare per motivi economici anche i manager delle grandi imprese. Se non si elimina una volta per tutte la miriade di forme contrattuali che oggi consentono ai datori di lavoro di praticare le più becere forme di sfruttamento dei propri dipendenti. Se non si istituisce uno schema organico di assicurazione pubblica contro la disoccupazione corredato da interventi efficaci a sostegno della formazione professionale e del ricollocamento in posizioni dignitose, perché i lavoratori, anche i più svantaggiati, siano messi in condizione di maturare la capacità, gli incentivi e la possibilità materiale di adattarsi ai cambiamenti della domanda di lavoro

Ma, vedrete, non sarà in grado di farlo. E abbozzerà. 

La sostanziale abrogazione dell'art. 18, annunziata nel piano del governo sul lavoro, al di là delle chiacchiere sulla tutela dei lavoratori da comportamenti discriminatori, si risolve nello smantellamento, puro e semplice della tutela pubblica contro il licenziamento illegittimo, in violazione della costituzione e della stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che esige (art. 30) la tutela dei lavoratori contro ogni licenziamento ingiustificato. Il problema non è che possono aumentare i licenziamenti, come paventano alcuni, in una situazione già difficile per l'occupazione, il problema è che cambia la natura del rapporto di lavoro. ()... la dignità del lavoratore ed il rispetto dei suoi diritti costituzionali, diventeranno merce di scambio da inserire nella contabilità dei costi e ricavi. 

L'iniquità di questo governo mi è apparsa lampante con la riforma delle pensioni, il suo primo attacco ai diritti del mondo del lavoro che ha fatto piangere lacrime di coccodrillo alla ministra Fornero, non ancora adusa all'english style di Monti. In particolare mi colpì il modo indegno e sfrontato con cui, per fare cassa, si tagliavano per almeno due anni gli adeguamenti, seppur parziali, delle pensioni al costo della vita.

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