Fino a pochi giorni fa il presidente del Consiglio non perdeva occasione per prendersela con le intercettazioni e chiedere un bavaglio contro la stampa. "Non è possibile - diceva - vivere con il terrore di usare il telefono". Eppure, secondo la procura di Milano, è stato proprio lui a trarre il massimo vantaggio dalla pubblicazione di una conversazione, non ancora trascritta e depositata: il colloquio in cui l'ex segretario dei Ds dice "Allora, siamo padroni della banca?" I pm hanno notificato l'avviso di chiusura indagini al fratello del premier e altre tre persone. Uno, Roberto Raffaelli, è l'ex titolare di una importante azienda di intercettazioni telefoniche. Gli altri due sono un amico di Raffaelli e un imprenditore, Fabrizio Favata, già socio di Paolo Berlusconi. Favata è accusato anche di tentata estorsione per aver cercato di ottenere soldi da Raffaelli in cambio del proprio silenzio. Ma dietro tutta la vicenda si staglia l'ombra del presidente del Consiglio. Secondo Favata, infatti, il nastro gli fu fatto sentire ad Arcore la notte di Natale del 2005. Poi il Giornale pubblicò la notizia e all'improvviso i sondaggi che davano il centrodestra in pesante svantaggio rispetto all'Unione cominciarono a risalire. Le politiche del 2006 finirono in sostanziale pareggio. Anche perché quella conversazione pose definitivamente fine al mito della diversità della sinistra. Da il Fatto Quotidiano
Non sono, dunque, le intercettazioni in assoluto che non gli piacciono, ma solo quelle che ci consentono di conoscere e capire i suoi metodi operativi e quelli dei suoi amici.
Quelle che mettono in difficoltà i suoi avversari, anche se ottenute in modo illecito, gli vanno benissimo! Disposto anche a pagarle!
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