Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.
Dopo la lunga pausa delle Feste di fine anno, è duro ma necessario rimettersi in cammino. Il 2013 incombe su di noi con il suo carico di incognite e di preoccupazioni. Riusciremo ad uscire dal buco nero della crisi per avviarci positivamente verso una fase di ripresa? Sapremo fra poche settimane scegliere tra le offerte di partiti e movimenti, quegli uomini e quelle donne capaci di interpretare al meglio un progetto di sviluppo per l'Italia? Vorremo sostenere un piano che assicuri giustizia sociale e sostegno solidale a quanti sono stati colpiti e travolti dalla crisi? Sapremo farci sostenitori di una lotta senza quartiere ai privilegi, alla speculazione, all'evasione e alla criminalità organizzata?
Molto del nostro futuro e di quello delle prossime generazioni dipende da noi e dalla nostra capacità di valutare lo stato presente e approntare in tempo i mezzi necessari per superarlo.
(...) Se giungeremo a smascherare questo idolo del profitto da cui tutto deve dipendere, noi faremo un grande servizio al vero bene comune, al vero profitto della società, al vero bene anche economico dell'uomo, insegnando che non è possibile risolvere i problemi del lavoro, i problemi umani se non si mettono i valori assoluti al primo posto e se non si considerano altre realtà come subordinate ad essi. (...) Carlo M. Martini
Da laico convinto ed agnostico in campo religioso, sto leggendo Il Profeta di Marco Garzonio, bella biografia ragionata di Carlo Maria Martini. Ringrazio chi me ne ha fatto dono in occasione del mio ultimo compleanno coincidente col Natale, quasi interpretando il mio interesse, da sempre nutrito, nei confronti di questo grande vescovo contemporaneo. Nel libro sto trovando spunti interessanti di riflessione per una migliore comprensione della realtà dell'uomo, che va oltre la pratica religiosa. Ho trovato sempre profetiche le parole del Cardinale Carlo Maria Martini cui già in data 5 aprile 2010 dedicavo il post LA CRISI DELLA CHIESA E IL TESTAMENTO DI CARLO M. MARTINI in seguito all'uscita in Italia dei suoi COLLOQUI NOTTURNI A GERUSALEMME.
Le sue riflessioni sulla condizione umana, la sua libertà e autenticità di pensiero non possono che affascinare aiutandoci a dare più senso al nostro cammino di uomini in questo mondo.
a quelli che dormono sotto un cielo di stelle perché non hanno più un tetto o non l'hanno mai avuto,
a quelli che di tetti ne hanno troppi e non sanno più sotto quale ripararsi,
ai bambini dell'Africa,
a tutti i bambini del mondo offesi dalla guerra e dalla fame,
ai disoccupati,
ai cassintegrati,
a quelli che non possono avere la cassa integrazione perché figli di un altro dio,
ai migranti,
a quanti hanno trovato accoglienza,
a quelli ricacciati lontano, anche a quelli che il mare ricopre,
a tutti quelli che il poco che non basta lo dividono con gli altri,
ai carcerati,
a quelli in attesa di giudizio,
a quanti innocenti sono costretti in cella,
a tutti quelli che non hanno scarpe ai piedi,
ai disperati colpiti dalle manovre disumane del cosiddetto governo tecnico,
a quanti ogni giorno fanno fatica a mettere insieme l'indispensabile per campare.
Buona Pasqua a tutti quelli che lottano perché questo stato di cose possa presto cambiare,
ai credenti e a quelli che la fede non hanno,
agli agnostici e agli atei,
a tutti quelli che vedono nel prossimo il fratello,
a coloro che si ricordano del fratello sempre e non quando fa comodo,
a chi fa il proprio dovere in silenzio, senza sperare in una ricompensa,
a chi sa vivere bene nell'ombra perché sa che i riflettori accecano.
Buona Pasqua anche a loro, agli accecati perché possano vedere presto una luce!
Buona Pasqua, infine, a quegli animaletti indifesi che quest'anno la sensibilità di tanti riuscirà a salvare dallo sterminio pasquale.
Ps: nelle ultime settimane il mio post del 23 aprile 2011 BUONA PASQUA ANCHE A LORO è stato il più cliccato, perciò ho voluto riproporlo anche quest'anno con qualche piccola modifica, poche per la verità perché la situazione non è granché cambiata, se possibile è peggiorata.
io non so quale sia la molla che ti spinga a monopolizzare spazi pubblici multimediali per diffondere il tuo messaggio.
Lo fai per far conoscere al mondo le tue verità inappellabili senza contraddittorio? Questo non lo faceva neanche Gesù Cristo che, molto spesso, accettava il confronto.
Lo fai perché, avendo una grande popolarità come cantante, pensi che i tuoi monologhi meritino lo stesso apprezzamento? Non ti sembra questa un'ambizione velleitaria?
Lo fai per toglierti qualche sassolino dalle scarpe e praticare qualche facile vendetta? Non voglio crederci, perché un buon cristiano sa che il vangelo invita a porgere l'altra guancia.
Allora perché, tu che riesci a diffondere magnificamente i tuoi ideali tramite la musica e le canzoni, vuoi scendere nella fossa dei leoni dalla quale solo Daniele si salvò miracolosamente?
Caro Adriano, la tua musica e i tuoi testi trasferiscono al vasto pubblico un messaggio immediatamente comprensibile e dai più apprezzato; le tue parole a ruota libera, invece, suonano come deliri inaccettabili e risultano incendiarie e divisive.
Tralascio, in proposito, le gravi responsabilità di una RAI allo sbando che, pur di riconquistare il grande pubblico, ti sfrutta e ti strumentalizza volgarmente.
Il mio pensiero è rivolto solo a te perché possa riflettere seriamente sugli effetti che producono le tue prediche. Io vorrei credere nella tua buona fede e perciò ti dico:
se vuoi continuare a dire qualcosa di buono e utile, fallo con la musica;
se vuoi fare, anche, qualcosa di cristiano, fallo con le opere.
Fino a quando Mediaset e Chiesa avranno i loro partiti, più o meno trasversali, i loro portavoce, più o meno autorizzati dentro il Parlamento e le Istituzioni civili, non sarà facile assicurare al Paese quella sana e laica evoluzione verso la democrazia compiuta da tutti auspicata.
Neanche il Governo cosiddetto tecnico, dell' emergenza, riesce a considerare l'opportunità di mettere all'asta le frequenze TV che il padrone di Mediaset nell'ultimo scorcio del suo governo (sì, perché per troppi anni ha sgovernato questa povera Italia!) si era - motu proprio - gratuitamente attribuito.
Neanche il Governo chiamato a risanare le finanze del Paese riesce a mettere le mani sui privilegi nel tempo garantiti alla Chiesa da governi imbelli e indegni, fino all'esenzione dell'ICI sugli immobili dalla stessa destinati ad attività commerciali produttive.
Più facile, molto più facile scaricare tutto il peso di una manovra gravosa e iniqua sulle spalle dei pensionati, degli operai, dei dipendenti pubblici, delle famiglie e, in ultima analisi, dei giovani e delle donne, le categorie sociali in nome delle quali è stata ideata.
Ha un bel dire il tecnico Monti che se lo può permettere proprio perché non deve sottoporsi al giudizio elettorale. Proprio per questa ragione ci saremmo aspettati che l'EQUITÀ fosse la sua stella polare e che mettesse mano al suo programma di salvezza nazionale attaccando proprio quei privilegi insopportabili che gridano vendetta al cospetto di Dio e degli uomini. Sfidando in questa scelta coraggiosa i veti incrociati di un Parlamento squalificato che avremmo voluto vedere con che animo avrebbe bocciato scelte sacrosante e improcrastinabili.
Ma non è andata così e ce ne rammarichiamo!
Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare!
Alla Corte dei Miracoli e alle fumose fantasticherie di questo medico (?) di cui tra l'altro in Vikipedia si legge:
Durante i suoi mandati il debito del comune di Catania non ha fatto altro che crescere, con la conseguenza che la città si trova tuttora in grave crisi finanziaria, con fornitori che aspettano pagamenti da mesi, compresa l'ENEL. Il 2 maggio 2008 è stato condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione per delle irregolarità nella concessione di contributi previdenziali da parte del Comune ai dipendenti per i danni da 'cenere nera' dell'Etna, 3 giorni prima delle elezioni comunali del 2005 che lo videro vincitore. Nel luglio 2008 risulta indagato, assieme ad altri 40 funzionari comunali, per il buco di bilancio creato durante i suoi otto anni di amministrazione. Ciò nonostante ottiene la carica di deputato che gli concede l'immunità alla condanna del 2 maggio 2008. Nel gennaio 2010 viene rinviato a giudizio, assieme ad altri 13 ex assessori di diverse giunte di centrodestra, per falso ideologico nell'inchiesta sul buco di bilancio da centinaia di milioni di euro dell'amministrazione di Catania. Nel febbraio 2011 è stato condannato a quattro mesi di reclusione per abuso d'ufficio per aver assunto l'autista della moglie, come consulente al Comune di Catania.
Ospite della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora, su radiodue, Umberto Scapagnini, deputato del Pdl ed ex medico del Premier, fa le solite apologie del divo Silvio, soffermandosi sulla vita sessuale del premier. Per come me lo ricordo, e non è tantissimo che non lo vedo, vi dico che Berlusconi a letto è uno valido. E alla domanda di Sabelli Fioretti (Ma Berlusconi è un tipo da sveltina?), Scapagnini risponde: Dipende, per me la sveltina media era tre quarti d'ora, ma lui è capace di fare ancora di più.
... noi rispondiamo con questa bella pagina di Danilo Dolci dal blog di Rossella Grenci e con il famoso Carpe Diem di oraziana memoria (che va inteso, però, nel suo senso proprio).
Tu non cercare di conoscere (non è lecito saperlo) quale destino gli Dei abbiano riservato a me e a te, o Leoconoe; e smettila di interrogare la cabala babilonese.
Quanto è meglio sopportare tutto ciò che accadrà, sia che Giove ci abbia riservato più inverni, sia che ci abbia concesso come ultimo questo, che ora sfianca il Mar Tirreno tra le opposte scogliere: sii saggia, mesci il vino e tronca la lunga speranza al breve volger della vita.
E mentre noi parliamo, il tempo invidioso già sarà fuggito: afferra il giorno che passa e fida il meno che puoi nel domani.
Rovesciando il modo di vedere di un mondo in cui la norma viene dettata principalmente dal dominio, è necessario orientarci ad operare in modo che la nuova norma sostenga e promuova la creatività di ognuno, curando quanti ancora non riescono ad assumere questa nuova concezione.
Quando nei più diversi gruppi ognuno, richiesto, riesce a individuare e attuare le condizioni necessarie per realizzare una struttura che favorisca la creatività, individuale e di gruppo, si va ben oltre “l’effetto di addizione delle forze”, ben oltre l’ottimale distribuzione spaziale e temporale dei compiti, l’invenzione di nuovi metodi o di nuove tecniche di produzione o di nuovi compiti. Via via si scoprono nei più diversi contesti, in ogni parte del mondo le essenziali condizioni necessarie: sincerità, coerenza, rispetto reciproco, imparare a empatizzare, imparare come l’emozione ci agisce, disponibilità reciproca, imparare ad ascoltare e osservare, sapere meravigliarsi, imparare a esprimersi, imparare a comunicare, imparare a riconoscere i problemi, sapere immaginare, imparare a riconoscere i profondi interessi personali e comuni, sapere osare, rispetto dei tempi di maturazione, imparare a partecipare e coorganizzarsi, imparare ad affrontare i conflitti in modo nonviolento, imparare a criticarsi, considerare la libertà = spontaneità + intelligenza + coscienza (imparando a riconoscere le conseguenze delle nostre azioni), umiltà, imparare a conquistarsi il silenzio meditativo personale e di gruppo, imparare a identificarsi, eliminare rapporti di dominio e sudditanza instaurando un clima di serenità e di speranza, gioco-musica, riconoscere il valore della pausa, valorizzazione del diverso, imparare a valutare, imparare a scegliere e decidere, riconoscere gli obiettivi, imparare a programmare-pianificare dinamicamente, humor, vedere nel lavoro un produrre necessario alla crescita e alla liberazione propria e comune, imparare anche dai piccoli, imparare dagli errori, imparare a persistere pur disponibili a cambiare attitudini, saper amare, imparare a connettersi con analoghi gruppi potenziando il fronte delle strutture che favoriscono la creatività.
Qualunque porcata andranno ad approvare con le loro maggioranze acerebrate - simili a truppe cammellate - e in combutta con le gerarchie vaticane, io, assieme a milioni di cittadini, ritengo di avere il diritto di conoscere la verità sulla mia eventuale malattia e il diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato).
Nell'ipotesi, pertanto, di una malattia gravemente invalidante che dovesse togliermi la capacità di intendere e di volere per motivi biologici, ritengo mio diritto inviolabile quello di poter lasciare una dichiarazione anticipata di trattamento a un mio congiunto o a un rappresentante legale, di cui il medico curante non potrà non tenere conto.
Documento di identità ........................................................................
NEL PIENO DELLE MIE FACOLTÀ MENTALI E IN TOTALE LIBERTÀ DI SCELTA DISPONGO QUANTO SEGUE:
IN CASO DI
• malattia o lesione traumatica cerebrale invalidante e irreversibile CHIEDO DI NON ESSERE SOTTOPOSTO AD ALCUN TRATTAMENTO TERAPEUTICO O DI SOSTEGNO (alimentazione e idratazione forzata)
DISPOSIZIONI PARTICOLARI.
• Autorizzo la donazione dei miei organi per trapianti SÌ NO
NOMINO MIO RAPPRESENTANTE FIDUCIARIO IL SIGNORE/LA SIGNORA:
Nome ................................................................................................
Li immagino i nostri militari della Finanza, osservatori sulla motovedetta italiana battente bandiera libica, costretti a scendere sottocoperta mentre i colleghi libici mitragliavano e inseguivano per ore un peschereccio italiano, colpevole di navigare nel Canal di Sicilia, in acque internazionali! Immagino quali potessero essere i loro pensieri e stati d'animo in quei frangenti come rappresentanti di un'Italia china e genuflessa davanti alle ricorrenti bizze del raìs d'oltremare.
Così come immagino con quale animo i nostri poliziotti, dipendenti del potente ministro verde degli Interni, hanno fermato e identificato come provocatori i giovani che a Venezia hanno disturbato il rito leghista avvicinandosi al corteo guidato dal sacerdote padano con il tricolore in mano.
Tutto questo mentre Adro inaugura una scuola verde, carica di simboli del carroccio (mi chiedo se hanno pensato di acquisire una foto del Presidente della Repubblica da collocare negli uffici del preside e se si sono dotati di una bandiera tricolore da esporre almeno nei giorni di festa nazionale) e il raìs nostrano va a dare manforte a Sarkò contro i Rom in quel di Bruxelles!
Mentre la Gelmini minimizza sui fatti di Adro definendoli folklore e i ministri tutti si avvicendano a definire incidente l'attacco libico al peschereccio italiano nel Canale di Sicilia (lo avevano scambiato per una carretta carica di clandestini).
Intanto Il Giornale e Libero, non avendo di meglio da fare, cercano ancora le colpe di Fini per la casa in affitto del fratello della compagna a Montecarlo.
“I poveri esistono e non sono santi, né aspirano ad esserlo.”
di Antonella Lattanzi
Titolo originale: O Evangelho segundo Jesus Cristo
Titolo italiano: Il Vangelo secondo Gesù Cristo
Autore: José Saramago
Anno: 1991
Pubblicazione usata per questo studio: 2002
Editore: Einaudi
Collana: ET Scrittori
Pagine: 410
Reparto: Narrativa straniera
Traduttore: Rita Desti
Se mi permettete un […] eccesso di presunzione, mi piace pensare che, se oggi Kafka fosse vivo e potesse scrivere, forse scriverebbe Cecità.1
Uno dei libri più belli che ho mai letto in tutta la vita è quello di cui parlerò ora. E di cui parlerò poco, perché non voglio tradire l’improvvisa sincerità di un libro che mi sconvolge la vita.
Sono nata in una famiglia cristiana, anzi cattolica, non sono credente né miscredente, e anche per questo motivo mi ritrovo perfettamente nelle parole di Saramago:
La religione e la trascendenza sono temi con i quali hanno a che fare tutte le persone, non sono riservati solo ad alcuni, e dunque io come scrittore, occupandomi della vita delle persone, mi occupo a mia volta di questi temi che hanno a che fare con la dimensione del trascendente. D’altra per quanto i miei rapporti con la religione siano, come dire, di osservatore non credente, non posso negare di avere una mentalità cristiana, non certo animista, né islamista, né buddista, né quella di nessun’altra religione.
Mentalmente io sono un cristiano, la mia è una mentalità cristiana, e dunque a questo titolo credo di potermi e dovermi occupare, come scrittore, di temi che apparentemente non dovrebbero riguardarmi ma che, dal punto di vista in cui di volta in volta mi pongo, sono tanto miei quanto di Giovanni Paolo II.2
Sono andata a scuola dalle suore per otto anni, mia madre mi ha costretto alla messa domenicale per metà della mia vita, vivo, come tutti, in un’Italia atea che spesso finge di credere in dio. L’iniziale di dio mi crea sempre problemi, non so mai se scriverla con la maiuscola o con la minuscola, e quando mia madre mi legge – Dio in maiuscolo e il dio in minuscolo – dice con aria spaventata, come se stessi sbagliando un congiuntivo. Lei non ha dubbi.
Ho avuto in odio certi comportamenti della Chiesa da sempre, ma più che comportamenti della Chiesa erano atteggiamenti del popolo falso, perbenista, cattivo, che in certe occasioni ferisce l’uomo stravolgendo le parole del dio. Ce l’avevo anche con il prete del mio quartiere, Don Franco, che lanciava messaggi di pace a noi ragazzi, da bambini, e poi lasciava che nella sua chiesa si mettesse in piedi il maggiore commercio di droga e di malavita di tutta la zona.
Diffidavo di dio e di Gesù. Quando li avevo pregati, non era successo nulla, anzi, certe volte io ho pregato la vita e dio ha risposto con la morte.
Poi è venuto Saramago, che mi ha preso dal collo e al cuore con il suo Gesù tutto umano, con un libro che è una dichiarazione di passione, anzi di com-passione, per tutti gli uomini, la stessa che unisce religiosi e non nella celebrazione dei riti funerari. È vero, è solidarietà umana, quella che ci stringe attorno ai corpi addormentati dei nostri cari.
Poi è venuto Saramago, con l’amore di Gesù per Maria di Magdala, ed era un amore vero, ed era una perdita vera. Un amore detto con parole d’amore. Un amore che mi ha accesso lacrime e brividi dentro la bocca.
Nella mia morte saranno tutte le morti di Lazzaro, sarà sempre lui a morire e non potrà essere resuscitato, implorò Maria, Anche se non puoi entrare, non allontanarti da me, tendimi sempre la mano anche quando non ti è possibile vedermi, se tu non lo facessi, mi dimenticherei della vita, o sarebbe la vita a dimenticare me. […] Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose, Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi.
Sono queste, allora, le parole che il figlio, l’agnello di dio, riserva alla donna che ama, ho pensato. E ama, Cristo, come un uomo normale, di un amore divino.
Si è detto tanto dello stile di Saramago, scrittore cittadino del mondo nato nel 1922 ad Azinhaga nel 1922, ora stabilitosi nelle Canarie (anche per questioni di censura), moglie di una spagnola, e quindi spagnolo d’adozione, romanziere, poeta, giornalista e drammaturgo portoghese, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Ho letto da qualche parte che la sua narrativapotrebbe apparire costellata di errori grammaticali. Non sono d’accordo. Non può nemmenoapparirecosì. NelVangelo, come inCecità(che “insieme aTutti i nomie aLa caverna[…], costituisce una trilogia sul tempo di oggi, uno sguardo sulle trasformazioni dell’uomo nel presente, e il mio ultimo saluto, come scrittore, al ventesimo secolo”3), come inMorte di Riccardo Reise altrove, lo scrivere di Josè Saramago è un flusso d’amore, che dal cervello nasce, nel cuore si forma, nella gola scoppia, e in pianto è sulla sua carta.
Ho amato persino l’odore, la composizione del libro di Einaudi con la storia di Saramago.Mi è vibratal’anima nel toccarne il liscio svolgersi, di pagina in pagina, sino alla fine, che ho tentato di procrastinare il più a lungo possibile, perché non potevo credere che questaenormeesperienza finisse. Sono tornata bambina quando, finito di leggerePollyanna, ho pianto per tutta la notte, perché non volevo distaccarmi da questa mia grandissima amica.
Mi sono preparata al lirismo dei momenti in cui dio e suo figlio parlano, ma poi ho scoperto che quelli sono i momenti più comici di tutto il romanzo. E ho capito, che la divinità sta nell’uomo. E ho capito, che quando dio e Cristo discorrono, è solo dio, in realtà, che parla, e non è un poesia. Ma una dichiarazione di morte. Poiché “I poveri esistono e non sono santi, né aspirano ad esserlo.”4
Dio, che per gioco vorrebbe essere un uomo, e vuole fare l’amore con Maria, la madre di Cristo, in una tinta diversa del cielo, all’alba, nel corpo turbato di un falegname che morirà crocifisso come suo figlio, e peccherà di omicidio ed egoismo ma, in fondo, solo d’amore.
Giuseppe guardò in cielo e, in cuor suo, si stupì. Il sole tarda a spuntare, non c’è, in tutto lo spazio celeste, il più pallido indizio dei toni rossi dell’albeggiare, neppure una tenue pennellata di rosa o di ciliegia non matura, niente, lungo l’intero orizzonte, a quanto i muretti del cortile gli lasciano vedere, per la totale estensione di un soffitto immenso di nuvole basse, simili a piccoli gomitoli schiacciati, tutti uguali, nient’altro che un unico colore violetto che già comincia a farsi vibrante e luminoso là dove irromperà il sole e progressivamente va scurendosi, sempre di più, fino a confondersi con ciò che, di là, è ancora notte. In vita sua, Giuseppe non aveva mai visto un sole come questo […] e [..] immaginò che il mondo stesse per finire […]. Pian piano, quasi impercettibilmente, il violetto cominciava a tingersi e ad acquistare, all’interno del soffitto di nuvole, un colore rosa pallido, che poi si arrossava, fino a scomparire, era lì e un attimo dopo non c’era più, e d’improvviso lo spazio esplose in un vento luminoso, moltiplicandosi in lance d’oro che centravano e trapassavano le nuvole che, non si sa bene né dove né quando, erano aumentate, divenute enormi, imbarcazioni gigantesche che issavano vele incandescenti e solcavano un cielo finalmente libero. A Giuseppe si aprì l’anima […]. Un alito di vento appena nato colpì allora Giuseppe in viso, gli agitò i peli della barba, gli scosse la tunica, e poi lo circondò come un mulinello nel deserto […].
Questo è il dio che in una mattina che tarda a nascere, per motivi di spazio qui ridotta del suo splendore divino, questo è il dio che albeggia tutto a un tratto in un alito di vento che prende Giuseppe nel corpo, e lo guida dolcemente a scostare la coperta e a fare l’amore con Maria. Un desiderio fisico ispirato da un cielo inumanamente, insopportabilmente, bello. Ma, anche nel momento più alto della concezione del suo unico figlio, dio non sta facendo altro che soddisfare un suo proprio bisogno. Il corpo di Giuseppe è un tramite, fra lui e la donna. Il corpo della donna è una custodia, un forno in cui il figlio si cuoce. Il corpo del figlio è un catafalco, un sarcofago in cui geme e si agita l’egoismo colonizzatore di dio.
Nel corso della mia storia con Saramago, ho preso appunti e letto, studiato e imparato, ma, all’interno del mioVangelo, non ho trovato nulla.
Nulla, dell’atteggiamento rinunciatario di Cristo, che accetta la morte come una “cosa normale”.
“Sia fatta allora in me la tua volontà” – dice Gesù a dio, ma solo perché non ho scelta. Perché tu sei dio, e io non sono altro che l’uomo nel quale hai scelto di incarnare tuo figlio. Un involucro vuoto, ma che non si darà a te senza tentare di combatterti. “Sia fatta allora in me la tua volontà”, ma “A una condizione”.
Sai bene che non puoi porre condizioni, rispose Dio con espressione contrariata, Non chiamiamola condizione, chiamiamola richiesta, la semplice richiesta di un condannato a morte, Parla, Tu sei Dio, e Dio non può che rispondere con la verità a qualunque domanda gli venga rivolta, e quindi, essendo Dio, conosci tutto il tempo passato, la vita attuale, che si trova nel mezzo, e tutto il tempo futuro, Infatti, io sono il tempo, la verità e la vita, Allora, in nome di tutto ciò che affermi di essere, dimmi come sarà il futuro dopo la mia morte, che cosa ci sarà che non sarebbe esistito se io non avessi accettato di sacrificarmi alla tua insoddisfazione, a quel tuo desiderio di regnare su altre genti e altri paesi. Dio ebbe un moto di fastidio […] e tentò, senza grande convinzione, una risposta evasiva […]
Non ho trovato nulla.
Nulla, del “dio, perdonali perché non sanno quello che fanno” del Vangelo canonico. Al contrario, in punto di morte, Gesù chiede all’uomo, a tutti gli uomini,di perdonare dio, perché non sa quello che fa.E un diavolo chiamato Pastore offre al creatore di tutte le cose la possibilità di porre fine, per sempre, al male. E un dio chiamato dittatore e tiranno si nega, e nega a noi tutti, questa paradisiaca, parossistica, meravigliosa, unica, possibilità, anche perché il bene, senza il male, non può esistere, ma soprattutto perchédio vuole il potere, e lo vuole innalzare sul sangue, e lo vuole costruire sulle urla degli uomini martirizzati.
Infatti il diavolo chiamato Pastore, che aveva accolto Gesù con sé per lunghissimi anni, e meravigliosi, disse a dio:
[…] la mia proposta è questa, accoglimi di nuovo nel tuo cielo, perdonami i mali passati per quelli che in futuro non dovrò commettere, accetta e serba la mia obbedienza, come nei tempi felici in cui ero uno dei tuoi angeli prediletti, […] E mi vuoi spiegare perché dovrei accoglierti e perdonarti, Perché se lo farai, se mi concederai adesso quel perdono che in futuro prometterai tanto facilmente a destra e a manca, allora il male finirà qui, oggi, non ci sarà bisogno che tuo figlio muoia, […] dovunque impererà il bene e io canterò, nell’ultima e umile fila degli angeli che ti sono rimasti fedeli, a quel punto fedele più di ogni altro perché pentito, io canterò le tue lodi, tutto si concluderà come se non ci fosse stato, tutto comincerà a essere come se fosse sempre stato così, Hai davvero un gran talento per irretire le anima e perderle, […] Non mi accetti, non mi perdoni, Non ti accetto, non ti perdono, ti voglio come sei e, se possibile, anche peggiore di adesso […]. Che non si dica che un giorno il Diavolo non ha tentato Dio […] Non guardò Dio, ma disse, come rivolgendosi a un pubblico invisibile, Ci vediamo, l’ha voluto lui.
È questa la veratentazionedel diavolo, una tentazione buona, quindi!
Per questo demonio, non provo nessuna avversione.
In questo cristo, io sono credente, nel cristo dell’uomo, io sono persino cristiana.
A mio avviso, non si può definire blasfemoIl Vangelodi Saramago, come invece ha fatto la Chiesa portoghese, che per un arco di tempo molto lungo ha esercitato una sorta di censura sul Premio Nobel, che spettava allo scrittore viaggiatore, ma che non gli venne assegnato sino al 1998. Non si può definire blasfemoIl Vangelo Secondo Gesù Cristo, perché l’unica volta nella mia vita in cui ho creduto veramente in dio e in cristo è stato leggendo questo splendido romanzo. Un romanzo che davvero mi ha cambiato la vita, che mi ha aperto gli occhi, che ha innalzato la visuale dei miei orizzonti, come mai, forse, nessuno prima.
A metà tra lo storico e il letterario (“C’è un modo di scrivere che sta al di là della contingenza”5), Vangelo “apocrifo” e testimonianza stessa della civiltà portoghese, ma soprattutto di quella del tempo di Cristo, il romanzo di Saramago – nipote di nonni illetterati, che secondo lo scrittore sono gli uomini più saggi che abbia mai conosciuto – racconta la storia dell’uomo, e dell’Uomo, un crocifisso come tanti che vagava per le strade della Galilea adoperandosi solo per essere felice, per donare felicità agli uomini, e che non voleva accettare il fardello impostogli da dio. Un dio che lo gabba e lo illude di poter esercitare il libero arbitrio in prima persona – ma non per l’uomo è la scelta, la scelta è solo del dio – e che infine, come un cattivo da favola, squarcia le nubi sopra le tre croci non per gridare all’uomo questo è mio figlio, ma solo per ridere in faccia a Gesù, brutalmente manipolato.
Gersù muore, muore, e quando la vita comincia ad abbandonarlo, all’improvviso, il cielo sopra il suo capo si spalanca e appare Dio, vestito come sulla barca, e la sua voce risuona per tutta la terra, Ti sei il mio diletto figlio, in te ho riposto la mia gratificazione. Allora Gesù capì di essere stato portato all’inganno come si conduce l’agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo, dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto.
Un uomo che cammina felice e spensierato, vivo e pulsante, sinchè non incontra dio. E gli tocca la morte. E gli tocca l’egoismo di dio. E gli tocca la volontà del padre di tutte le cose.
Non puoi andare contro la volontà di Dio, No, ma è mio dovere tentare […].
E allora Gesù, tentando, perde per sempre.
Un Cristo conscio del male che la sua morte porterà tra gli uomini, un cristo che chiede perdono ai suoi fratelli, un cristo che eredita i dolori e le colpe del proprio padre terreno, insieme ai sandali e alla scodella nera del diavolo, un cristo che nasce pieno di umori, senza nessun bue o asinello a scaldarlo, e nemmeno una stella cometa, e nemmeno un magio. Un Cristo ingannato, che moltiplica i pani e i pesci, ma che cerca disperatamente un modo per sfuggire al piano diabolico di Dio. Un Gesù che bacia Giuda, ma solo per ringraziarlo di quello che ha fatto per lui.
Un cristo segnato da una condanna perenne – Tu sei mio figlio –, una condanna senza appello che l’uomo conosce in mezzo a un mare in tempesta, “come se fosse andato nel deserto alla ricerca di Dio”, per quaranta giorni e quaranta notti, assistendo impotente ai diabolici piani di dio.
L’unico Dio sono io, io sono signore e tu sei mio figlio, Moriranno a migliaia, A centinaia di migliaia, Moriranno centinaia di migliaia di uomini e donne, la terra si riempirà di urla di dolore, di grida e di rantoli di agonia, il fumo degli arsi vivi offuscherà il sole, il loro grasso sfrigolerà sulle braci, il puzzo sarà un tormento, e tutto avverrà per colpa mia, Non per colpa, ma per causa tua, Padre, allontana da me questo calice, Che tu lo beva è la condizione per il mio potere e la tua gloria, Non desidero questa gloria, Ma io voglio questo potere.
Perché dio sacrifica il figlio non per salvare l’uomo, ma per ampliare all’infinito il suo regno.
Allora il Diavolo disse, Bisogna proprio essere Dio per amare tanto il sangue.
Un romanzo che dedica poco spazio alla Passione, e molto di più all’infanzia, alla passione, e alla vicenda umana di Cristo (poiché Gesù è un involucro inerme del potere di dio), un romanzo che, svelando certe verità storiche che il vangelo ha consegnato distorte al nostro presente infinito – tutti i condannati morivano in croce, per esempio –, e rivisitando in maniera – come dire –plausibiletutte le storie raccontate nel Vangelo canonico, rivela a mio avviso un vero tocco divino, sovrannaturale, grazie al quale io non riesco a non credere che quella narrata da Josè Saramago sia la vera storia di Gesù, di dio e del diavolo. E della Madonna, che non crede a suo figlio. E di Maria Maddalena, vera amante di Cristo, riamata di un amore umanissimo, ma mortalmente divino.
“Gesù muore, muore”, allora, e, quando muore, mentre il mio cuore strappato si sparge sopra la terra bagnata dal suo stesso sangue, e il sangue si raccoglie nella stessa scodella nera del diavolo (Pastore è, infatti, il vero padre putativo del Cristo, e lo ama di puro amore, e ama tutti gli uomini, al contrario di dio), quando muore, quando crepa Gesù, è il figlio del falegname ad esalare l’ultimo respiro terreno, non mai l’agnello, non il figlio di dio.
[…] e quando il primo chiodo, sotto il brutale colpo del martello, gli perderò il polso nello spazio fra le due ossa, il tempo retrocesse in una vertigine istantanea, e Gesù provò il dolore che aveva sentito suo padre, si vide come aveva veduto lui, crocifisso a Sefforis, poi l’altro polso e, immediatamente, la prima lacerazione delle carni quando il patibolo cominciò a essere issato a strattoni verso la cima della croce, l’intero peso sostenuto dalle fragili ossa, e fu quasi un sollievo quando gli spinsero le gambe verso l’alto e un terzo chiodo gli attraversò i calcagni, adesso non c’è più niente da fare, c’è solo da attendere la morte.
Gesù muore, allora, e, quando muore, il mio cervello si sparge dentro il ventre vivo del Golgota, accompagnando la morte dell’uomo come un canto divino. Mentre il diavolo si china a raccogliere il sangue di Cristo, e il mondo non finisce nemmeno questa volta. Le donne piangono la perdita del piccolo dio buono. Cristo se ne va, tentando di non mietere vittime.
Oltre il tutto, fuori dal tutto, Dio ride, vestito come un ricco ebreo, di sopra le nuvole cupe.
In questo Gesù, in questo uomo, io credo.
In questo Gesù, io mi sono innamorata. Io amo Josè Saramago.
Bibliografia di Josè Saramago6
Poesia
* 1966 - I poemi possibili (Os poemas possíveis)
* 1970 - Probabilmente allegria (Provavelmente alegria)
* 1975 - L’anno mille993 (O Ano de 1993)
Teatro
* 1979 - La notte (A Noite)
* 1980 - Cosa ne farò di questo libro? (Que Farei Com Este Livro?)
* 1987 - La seconda vita di Francesco d’Assisi (A Segunda Vida de Francisco de Assis)
* 1993 - In Nomine Dei (In Nomine Dei)
* 2005 - Don Giovanni, o Il dissoluto assoluto (Don Giovanni ou O dissoluto absolvido)
Cronache
* 1971 - Deste Mundo e do Outro
* 1973 - A Bagagem do Viajante
* 1974 - As Opiniões que o DL teve
* 1976 - Os Apontamentos
Romanzi
* 1947 - Terra do pecado
* 1977 - Manuale di pittura e calligrafia (Manual de pintura e caligrafia)
* 1980 - Una terra chiamata Alentejo (Levantado do chão)
* 1982 - Memoriale del convento (Memorial do convento)
* 1984 - L’anno della morte di Ricardo Reis (O ano da morte de Ricardo Reis)
* 1986 - La zattera di pietra (A jangada de pedra)
* 1989 - Storia dell’assedio di Lisbona (História do cerco de Lisboa)
* 1991 - Il Vangelo secondo Gesù Cristo (O Evangelho segundo Jesus Cristo)
* 1995 - Cecità (Ensaio sobre a cegueira)
* 1997 - Tutti i nomi (Todos os nomes)
* 2001 - La caverna (A caverna)
* 2002 - L’uomo duplicato (O homem duplicado)
* 2004 - Saggio sulla lucidità (Ensaio sobre a lucidez)
* 2005 - Le intermittenze della morte (As intermitências da morte)
* 2005 - Il più grande fiore del mondo (A Maior Flor do Mundo)
Altri
* 1978 - Oggetto quasi (Objecto quase)
* 1981 - Viaggio in Portogallo (Viagem a Portugal)
GUSTAVO ZAGREBELSKY, ospite di Serena Dandini, parla di uomini, istituzioni, leggi, costituzione, res publica, patria, giustizia con la semplicità e la leggerezza di chi, nel corso della propria attività giurisdizionale e d'insegnamento, ha maturato una concezione della vita e dell'uomo elevata e profondamente laica. Commentando il suo bel libro "Scambiarsi la veste" tratta amabilmente ma con autentica passione di politica e religione, di Chiesa e Stato e valuta l'importanza della reciproca autonomia nei rispettivi ambiti.
Ascoltandolo è come se una brezza d'aria fresca e pulita ci invadesse, facendoci affrontare più sereni e temprati la quotidianità spesso avvelenata da conflitti, mascalzonate, volgarità e immoralità di ogni genere e natura. A chi si fosse perso l'intervista di Serena Dandini a Gustavo Zagrebelsky a Parla con me, fornisco il link.
Scambiarsi la veste - Stato e chiesa al governo dell'uomo - di Gustavo Zagrebelsky
Come può la Chiesa aspirare a valere per tutti e non ridursi a credenza e dottrina morale valide solo per chi le professa? Come può esigere di essere riconosciuta come depositaria di verità universali da tradurre in norma morale anzitutto, ma, dove possibile, anche giuridica, imperativa per tutti i membri della società? In breve: in che modo la dottrina cattolica può essere concepita in termini di unicità e universalità quando la fede cattolica è diventata una fede solo particolare? "Non c'è laicità né quando la religione, al singolare o al plurale, si ingerisce nelle cose dello Stato, facendo dello Stato un affare di religione, né quando lo Stato si ingerisce nelle cose della religione, facendo della religione un affare di Stato. Laicità significa divieto di intromissioni, quale che ne sia il contenuto, essendo irrilevante se ostili o benevole. Quello che conta è la non ingerenza. Se si guarda alla storia, questa concezione dei rapporti tra politica e religione appare come un'eccezione, per di più recente, in una vicenda storica plurimillenaria, in cui si intrecciano conflitti e connivenze: conflitti per la pretesa della religione di diventare politica e della politica di diventare religione o, quantomeno, per la pretesa dell'una di piegare l'altra alle proprie finalità; connivenze nel darsi reciproci sostegni, offrendo doveri religiosi a sostegno di obbligazioni civili, e obbligazioni civili a sostegno di doveri religiosi".
Uscirà anche in Italia, il 23 aprile prossimo, il nuovo film di Alejandro Amenabar, Agorà. Sembrava che non sarebbe mai arrivato nelle nostre sale, a causa di pressioni da parte del Vaticano. Ed in effetti la chiesa cattolica avrebbe più di un motivo per opporsi a questo film. Agorà racconta, infatti, la storia vera di Ipazia di Alessandria, filosofa e scienziata pagana del 4° secolo d. C., trucidata barbaramente dai cristiani su istigazione del vescovo Cirillo.
Amenabar aveva già messo alla prova la pazienza d'oltretevere con Mare Dentro, potente racconto sulla disabilità e l'eutanasia. Ora il regista osa ancora di più. Descrive il modo in cui il Cristianesimo ha preso piede, schiacciando violentemente pagani ed ebrei, predandone i beni e cancellandone la cultura. Poco prima della morte di Ipazia fu infatti distrutta dai cristiani la Biblioteca di Alessandria, una delle sette meraviglie dell'antichità, e gli ebrei della città furono massacrati ed esiliati.
In molti si sono indignati perchè questo film aveva trovato distribuzione in tutto il mondo tranne in Italia. Dopo sei mesi di mobilitazione su facebook e per le strade, e la raccolta di 10.000 firme, finalmente Agorà ha trovato distribuzione in Italia, grazie alla Mikado.
Oggi questa mobilitazione dal basso continua con l'obiettivo di ottenere anche in Italia lo stesso successo di pubblico. Gli amministratori della pagina di Agorà hanno creato un evento dall'esplicito titolo "Facciamo conoscere Agorà ed Ipazia agli Italiani".
Qualcuno penserà che il Vaticano oggi abbia altri problemi a cui pensare. Ma la violenza perpetrata dai preti odierni ha forse la sua matrice nella cancellazione delle donne libere e intelligenti.
Nell' Alessandria d'Egitto del 391 dopo Cristo, la filosofa Ipazia, ultima erede della cultura antica e forse, in quanto donna, massima espressione di una lunga evoluzione civile e di una libertà di pensiero che non si rivedrà più fino all'epoca moderna, viene travolta dalla crisi di un mondo, quello pagano, che non ha saputo ripensarsi, trovandosi così impreparato di fronte al nascere - e presto al dilagare - di movimenti religiosi sempre più fanatici e intolleranti. Fra questi i "parabolani", la setta cristiana che arriva a distruggere la biblioteca del Serapeo, dove Ipazia lotta insieme ai suoi discepoli per salvare la saggezza del Mondo Antico. Con ostilità implacabile, il vescovo Cirillo attacca senza sosta "l'eretica" Ipazia, fino a condannarla a morte.
Adriano Petta, alla presentazione di "IPAZIA, vita e sogni di una scienziata del IV secolo d.C.", scritto in collaborazione con Antonino Colavito, parla di Ipazia e dei tempi in cui visse, dell'oscurantismo di allora, e di quello attuale. Sul libro Margherita Hack ha detto "Ipazia è una lezione da non dimenticare, è un libro che tutti dovrebbero leggere". Io aggiungo: Agorà è un film assolutamente da vedere!
"L'umanità di oggi è simile al popolo di Israele quando era schiavo del faraone d'Egitto. Siamo schiavi del non senso, della via vuota, della stupidità".
"Credo che la chiesa debba farsi comprendere, innanzitutto ascoltando la gente, le sue sofferenze, le sue necessità, i problemi, lasciando che le parole rimbalzino nel cuore, lasciando che queste sofferenze della gente risuonino nelle nostre parole. In questo modo le nostre parole non sembreranno cadute dall'alto, o da una teoria, ma saranno prese per quello che la gente vive. E porteranno la luce del Vangelo, che non porta parole strane, incomprensibili, ma parla in modo che tutti possono intendere. Anche chi non pratica la religione, o chi ha un'altra religione".
"La crisi del ruolo della donna nella società è il crocevia di molti altri problemi sociali, umani e religiosi del nostro tempo".
"Ostentare ricchezza, potere, sicurezza, salute, attivismo, sono tutti espedienti per esorcizzare l'angoscia del tempo che ci sfugge dalle mani".
"Non puoi rendere cattolico Dio. Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo. Nella vita ne abbiamo bisogno, è ovvio, ma non dobbiamo confonderli con Dio".
Queste citazioni appartengono ad un grande uomo di Chiesa, all'emerito Cardinale Carlo Maria Martini che a 83 anni, ammalato di Parkinson, sente ormai la morte vicina ma parla e scrive ancora con appassionato tormento e con l'obiettivo straordinariamente attuale di rendere la Chiesa di Cristo sempre più vicina all'uomo che soffre. Il suo continua ad essere un monito e un messaggio al clero e ai laici del nostro tempo, a rinnovarsi attingendo alla fonte viva del Vangelo che va sempre reinterpretato e vissuto alla luce dei bisogni dell'uomo in carne e ossa. In ciò sta la sua modernità e la sua grandezza!
Un monito e un messaggio, anche per una chiesa cattolica in crisi di vocazioni da molto tempo, sempre meno capace di rappresentare un riferimento per i cristiani nel mondo, adesso nell'occhio del ciclone per i numerosi casi di pedofilia scoppiati al suo interno e regolarmente tacitati dalle gerarchie vaticane che, piuttosto che riconoscere umilmente lo stato delle cose e prendere seri e adeguati provvedimenti per fermare lo scandalo, sembrano volersi arroccare in un atteggiamento vittimistico di difesa ad oltranza del proprio ruolo e dei propri valori, profondamente appannati, additando i "nemici" della chiesa come responsabili dell'aggressione" e minimizzando le gravi responsabilità dei preti pedofili col sostenere che il fenomeno non colpisce soltanto la chiesa.
In questo tentativo giustificatorio le gerarchie vaticane ottengono e gradiscono, solo in Italia, il sostegno da parte di un governo e di un presidente del consiglio che tutto rappresentano tranne che una convinta e coerente adesione ai valori e ai principi cristiani, e da un partito come la Lega, che dopo aver negato platealmente ogni principio cristiano di solidarietà con gli ultimi, si mette a sostenere, contro una legge dello Stato, l'indisponibilità a facilitare l'aborto farmacologico allo scopo di ingraziarsi la benevolenza della chiesa di Roma.
Una chiesa, fortemente screditata nel mondo, stringe dunque un'intesa con un governo altrettanto screditato, ambedue desiderosi di salvaguardare e consolidare il proprio potere arcaico senza voler cogliere le novità che esprime una società in fermento e in profonda trasformazione.
Una posizione, questa, lontanissima dal messaggio evangelico!
Messaggio evangelico che ritroviamo luminoso nei "Colloqui notturni a Gerusalemme" del cardinale Carlo Maria Martini che, a due anni dalla loro pubblicazione, appaiono sempre di più come il testamento spirituale di un grande vescovo, tutto da leggere e ripercorre nella sua lunga esperienza di studioso e pastore; che in altra epoca, forse, gli avrebbero procurato il rogo come eretico!