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Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

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Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

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23 agosto 2015

A TE, MATER VETUSTA (alle persone più care i miei frammenti più intimi)

Sollecitato dalla mia cara nipote Matilde, rendo fruibili a tutti i miei versi sparsi, raccolti e salvati in questo post sotto il titolo A te, Mater vetusta
Mi auguro che qualcuno li legga e ne apprezzi almeno la sincerità.

Prefazione di Matilde Fagotto
Difficile trasferire su carta - o su di una pagina virtuale, potremmo dire - la profonda emozione che mi coglie sfogliando il libriccino di poesie del caro zio Vito. Non sono un'esperta in materia, e tanto meno voglio apparire melensa, ma quei versi hanno da sempre la capacità di toccare alcune corde del mio cuore, e sono convinta che meritino una diffusione maggiore di quella che la modestia dell'autore ha loro concesso finora. E dunque, perché non farli rivivere attraverso le pagine di questo blog?
Natura e sentimenti - personalissimi eppure universali - sono qui declinati e intrecciati di volta in volta a rappresentare inquietudini e gioie, paure e coraggio, caducità e sublime bellezza che sembra destinata a non aver mai fine: dal tormentato rapporto con la terra madre, al profondo legame con la figlia, la sua "dolce bambina"; dalla schietta e toccante analisi di un vissuto sofferto, allo slancio vitale verso un futuro ignoto ma carico di nuovi auspici.
"A te Mater vetusta" é una raccolta che costituisce un piccolo ma significativo tassello di una natura umana estremamente sensibile, un dono per gli affezionati lettori di questo spazio e per chi vi si imbatterà casualmente.
Con la viva speranza che l'autore si decida a regalarci ancora qualcuna delle sue riflessioni in versi, auguro a tutti voi una buona lettura!

MATER VETUSTA
A te, mater vetusta, me redùce
calda l'eco di cantilene antiche.
Plaga assolata, tu mi desti vita         
d'incanto aprendo agli occhi miei la luce.
Risento stridule quelle cicale:
il canto rauco al cuore si figge
mentre col palpito azzurro si fonde
del mare, memore, che ti recinge.
Terra di miti e d’un sogno di luce, 
dimmi che tornano le tartarughe
quando la rupe d’Eraclea s'indora!
Dimmi le sabbie del Belice riarse,
solcate ancora da scarabei egizi!
Niun mostro omai tra Scilla e Cariddi.

SERA DI MAGGIO
Scende attesa la sera nel sereno
e perdura la luce del tramonto
che accende le balze aspre del monte
scavando solchi d’ombra nel terreno.
Sale denso il profumo delle rose,
dura a lungo la zagara fragrante
mentre gli uccelli s'attardano nei canti
aspettando la lieve notte nera.
Fanno un concerto di mille suoni, quanti,
tutti intonati alla malinconia,
come ogni sera han messo a punto in tanti
gli strumenti per la sinfonia.
Solo le piante piegano le fronde
in un applauso silenzioso e vero;
esse soltanto colgono il mistero
che accompagna il momento del tramonto,
e le campane dell’Avemaria.

A ROBERTA
Esterrefatto, muto, sonnolento,
ricordo il giorno freddo dell’addio;
insieme a me pranzasti e poi scrivendo
sulla mia agenda ed implorando Dio,
mi afferrasti ché non scappassi via.
T'accompagnai, era Sabato, all'ora 
di disegno: la destra nel taschino
e l'altra riscaldavi nella mia.
Dovetti comperarti cartoline
con bimbi che facevan l'occhiolino,
quasi pegno del mio ripensamento.
Ora star qui, senza di te, detesto
e mi divora notte e dì, lo sento, 
il rimpianto di te, il mio tormento.

PAURA DI BIMBA
Un brivido brucia la pelle,
t'afferra pei polsi,
ti stringe alla gola,
ti toglie le forze.
Il sangue raggela di colpo,
il cuore non batte,
poi pulsa più forte,
imporpora il viso
e scioglie d’un tratto
di lacrime calde
la limpida fonte.

E LA TERRA TREMÒ...
Squarci ne lacerarono le membra
e la terra patì con affanno
e lanciò ululati di morte
e rigurgitò bava schiumosa
ed ebbe sussulti inauditi.
Cielo e mare le furono solidali
e scatenarono forze selvagge
sfogando una rabbia incontenibile
sull'orgogliosa miseria dell'uomo.

SONO STANCO
Sono stanco 
di camminare
per plaghe desolate,
aride, abbandonate.
Ma anche se ritrovassi
i fiori, i colori, i suoni,
il deserto rimarrebbe nel mio cuore.

VIVO GIORNATE VUOTE
Vivo giornate vuote,
inutili, noiose:
chi ha rubato alla mia vita
il senso?

CAMMINO SENZA META
Cammino senza meta
per strade fatte
da altri
che non so dove portano.
Ma almeno la notte
vorrei riposare
e non pensarci.                                          

NON SO PERCHÉ SCRIVO
Non so perché scrivo:
tutto il dolore del mondo
le mie parole
non possono contenerlo;
neanche il mio male
ci sta intero.
                                                                                   
IL MIO CUORE
Il mio cuore
è come quel muro sgretolato,
grezzo, cadente:
solo una parvenza
di nuovo
gli darebbe l'intonaco.

L'AMORE E' COME LA LUNA
L'amore è come la luna:
risplende, sorride lontana,
ti fa sognare;
ma chi la raggiunge
non trova che terra.

SEMBRO UN RELITTO
Sembro un relitto
che ha toccato il fondo,
una larva d’uomo alla deriva
che è riemersa inerte, vuota e priva
di senso.
Mi sballottano
senza meta i venti
e le onde sconvolgono
i pensieri, la mente vaga
senza scopo e i piedi
non hanno direzione né sentieri.
In certi momenti,
disperato, prego l'onde
che coprano il mio corpo
e lo affidino al nulla più profondo.
Ma poi mi sembra di riprender fiato
e spero nel futuro e scopro il pianto.

POSARE IL CUORE
Posare il cuore
in un angolo,
fuggire per mete
lontane,
disfar la valigia:
sognare
di essere giunto
al traguardo.

OGGI MI TRADIRÒ
Oggi mi tradirò perché, sognando
mi perderò negli occhi tuoi smarrendo
il ben dell’intelletto e, sospirando,
ti chiederò di starmi ancora accanto.

DOMANI MENTIRÒ
Domani mentirò perché, parlando,
pronuncerò parole senza senso;
ma sento che dirò, in un lamento:
“Non ti scordar di me, t’ho amato tanto!”.

IL VOLO
Evviva, evviva!
Il volo
verso verdi orizzonti
ho già spiccato.
E chi potrà fermarmi!
Volano
mente e cuore,
a stento la ragione
li riprende.
E’ un attimo
e poi via, lontano,
per sentieri inesplorati,
dalle remote densità dell’abisso,
oltre la lieve chiarità
della gioia.
Io sono qui e palpito,
in mille anfratti
mi cerco e mi trovi,
mi perdo
e mi ritrovano. 
Le parole non dicono,
non spiegano:
è la vita che in me scorre, 
che a me torna per mille
rigagnoli e torrenti
irruenti; è la vita
che riprende.
Mi riverbero
e via ancora per sentieri
più vorticosi,
sopra abissi ignoti.
Il carico ho buttato
e volo! 
Fallo anche tu,
librati sulle tue ali,
reggono, se vinci
la vertigine
del vuoto.

SOGNO D’ESTATE
Fresco un ruscello
t'accarezza di notte le ciglia,
agile svetta e zampilla 
fra luci e colori
d'immagini nuove
e d'antiche promesse.

SCALPITANO CAVALLI
Scalpitano cavalli,
al vento le criniere;
folate sconvolgono
il fumo sui comignoli:
seduto l'uomo fissa
lontano punti neri,
sorride, il vento
gli carezza i pensieri.

DOLCE SIRENA
Dolce sirena del cuor mio
randagio, portami lontano
in volo planare
sulle gelide acque
lacustri dove libellule
danzano felici!

TRA CIANE E ARETUSA
Tra Ciane e Aretusa
stasera
la Luna si veste
d'argento
nel mare d'Ortigia.

MUSICA LE PAROLE
Musica... 
le parole, 
quando sgorgano
chiare, acqua fresca
di sorgente dal colle
limpida fluente
al mar 
che la riceve dolcemente...


Postfazione di A. B. 
Tristezze intessute di luci, velate di emozioni. Desiderio di esporsi lasciandosi andare, sorvegliato dall'insopprimibile urgenza di capire, mantenendo misura e distacco per mettere a fuoco. Rapporto con il passato, non solo nostalgico, e insieme voglia di vivere il presente aggrappandosi alle sensazioni suscitate dalla realtà, per altri, forse, non altrettanto positiva. Più aperta, immediata, serena nel dolore “A Roberta”, in cui domina incontrastato il sentimento, a discapito di quella  “misura” sempre mantenuta.
Dove conduce la continua fuga?  Qual è l’approdo? A. B.

          Breve nota sull'autore
Vito Raia è nato a Menfi nel 1946. Il terremoto del Belice, che lo ha visto testimone attento e critico di fatti e misfatti ormai insanabili, ha segnato profondamente la sua vita. Si è laureato in Lettere a Palermo, discutendo la tesi “Ricerche sulla situazione socio-culturale di Menfi”. Si considera discepolo di Giusto Monaco di cui ha sempre ammirato, sin dagli anni universitari, l'amore per la civiltà classica, la profonda umanità e lo stile impareggiabile. Ha insegnato per quasi un ventennio in istituti tecnici del Trentino e successivamente si è trasferito a Siracusa dove ha deciso di interrompere, almeno per qualche tempo, il suo peregrinare. Sente, infatti, sempre più potente, il legame allo scoglio di Ortigia dove il destino lo ha fatto approdare, naufrago, in cerca della “mater vetusta”.   
Queste povere, piccole cose, tessere in frantumi di un mosaico impossibile, intende donare ad Ortigia ospitale, miniatura affascinante, emblematica, della mitica madre. 

08 febbraio 2014

Ricordando Rosario Giacomarra, collega e amico

Questa vecchia foto, fortunosamente recuperata da mia nipote Matilde tra tante cianfrusaglie, mi ritrae in mezzo ad una scolaresca dell'ITCeG di Tione di Trento, in gita nel territorio di Paestum. 
Come nella Recherche di Proust, essa ha dato la stura a tanti ricordi lontani e mi ha richiamato alla mente l'amico e collega esemplare Rosario Giacomarra, a destra nella foto. 
Insieme, con molta imprudenza devo dire, avevamo accettato di accompagnare in gita questa classe tutta di ragazze e ci eravamo accampati nella casa di proprietà dei familiari di una delle alunne. 

Con Rosario ci eravamo conosciuti a Tione, ambedue insegnanti presso l'ITC 'Einaudi', lui di tedesco ed io di lettere italiane. Abitavamo all'Hotel Milano con trattamento di pensione completa. Personaggio estroso Rosario, molto preparato, con una cultura profonda non priva di erudizione, nascondeva spesso la sua timidezza e inadeguatezza a rapportarsi con gli altri dietro un atteggiamento scontroso e duro e una parlata incerta e sottotono che mostrava chiarissima la sua origine siciliana. Ogni situazione che viveva lo spingeva a confrontarsi con i suoi autori amati citandoli. Nutriva una forma di allergia per la politica per la quale mostrava un vistoso agnosticismo. Leggeva molto e usava la radio per ascoltare soprattutto le stazioni straniere in onde medie. Conosceva tante lingue antiche e moderne, oltre al Tedesco che era la materia di insegnamento. Le sue conoscenze storiche erano straordinarie e si muovevano agilmente dalla storia antica alla contemporanea. 

Lo ritrovai a Riva del Garda, dopo il mio ritorno dalla Sicilia in Trentino, docente di tedesco al Liceo Maffei. Non era facile mantenere un rapporto d'amicizia con lui; era una spanna sopra gli altri per conoscenza e cultura, dotato del senso dell'umorismo e, talvolta, di un'ironia pungente. Era diventato più irascibile negli ultimi anni: non sopportava la superficialità e l'approssimazione di tanti suoi colleghi; con gli studenti era di un rigore antico, ma poi sapeva comprenderli e giustificarli. Sembrava un uomo d'altri tempi, un apolide, cittadino del mondo. 
Aveva, infine, comprato casa nel centro di Riva del Garda dove mostrava di volersi stabilire definitivamente. E lì, a Riva lo colse il male che lo portò alla morte nella sua Alimena. Spirito libero e indipendente, ha lasciato più poveri quanti lo hanno conosciuto e stimato.

Dalla nota dell'estroso Zanzani traggo la riflessione che condivido in pieno, che accompagna il noto scherzo poetico del caro Rosario sul corpo umano.
Come tutti sanno, pochi giorni orsono a Mario Vargas Llosa è stato assegnato il Nobel per la letteratura. Ma non è di questo straordinario autore che intendo parlare, vi offrirò invece la lettura di una poesia di Rosario Giacomarra che mi è parsa molto bella.   
Rosario Giacomarra è stato uno di quegli italiani geniali che vivono nascosti tra le mille rughe del nostro bizzarro paese e dei quali ci si accorge quando sono già morti. 
Fu quasi un autodidatta, ma parlava latino, greco, francese, inglese, tedesco, spagnolo, olandese, turco e russo, oltre al suo bel dialetto. 
Io non lo conoscevo, però dopo aver letto questa sua poesia sul libriccino che mi hanno regalato gli amici delle Madonie che gli hanno dedicato il concorso letterario "Alimena sotto le stelle", non ho potuto rinunciare a presentarvela. È una lirica folgorante. 
Allorchè fu creato il corpo umano
presentò ciascun organo il suo piano
per diventar del corpo il capitano.
- Trasmetto forza, a tutti dò una mano,
lo stomaco disse, e il corpo è sano:
tocca a me dunque fare il capitano.
- Siam noi, le gambe, chi fa andar lontano
l'intero corpo, siamo noi, e invano
pretende farne ogni altro il capitano.
E quando dopo tutti toccò all'ano
far le proposte esso espose il piano
per diventar di tutti il capitano.
Che gran risata fece il corpo umano!
Allora, irato per il gran baccano:
- Non faccio più lo stronzo, in italiano
l'ano parlò, se non son capitano!
L'intero corpo in uno stato strano
ben presto si trovò: facea l'indiano
ogni organo del corpo e a capitano
per viver tutto il corpo scelse l'ano.
Non serve dunque un fesso sovrumano,
ma ogni fesso è buono, ogni villano
che sappia far lo stronzo è capitano. 
Lo scherzo poetico di Giacomarra spiega molto bene che a volte non è il migliore a comandare.

Leggi anche:
Il ricordo del prof, in ARCHIVIO TRENTINO 

Giacomarra: sempre vivissimo il ricordo di un prof generoso

Alimena sotto le Stelle della Letteratura, dedicato alla memoria del prof. Rosario Giacomarra

E infine:
Un genio italiano, in Cronache dalla campuria a cura di Giovanni Zanzani

21 dicembre 2013

Un regalo di Natale simpatico, curioso e originale


Come un regalo, di per sé insignificante, può assumere - per chi lo riceve - un valore straordinario. 

Non occorre che sia necessariamente costoso o alla moda, è necessario che ci ricordi alla persona cara e susciti in lei piacevoli sensazioni. 


Questa è la lettera che la scrittrice inglese Sylvia Townsend Warner scrisse all'amica e collega Alyse Gregory per ringraziarla della scatola di fiammiferi ricevuta in dono per il Natale del 1946. 

«Carissima Alyse,
Solitamente si inizia una lettera di ringraziamento con qualche paragone sgraziato, dicendo per esempio, “Non ho mai ricevuto una sciarpa così rossa” o “Questo è il cavallo più grande che abbia mai ricevuto a Natale”. Ma la tua scatola di fiammiferi non può avere paragoni, perché non ho mai ricevuto una scatola di fiammiferi in tutta la mia vita. Francobolli, sì, puntine da disegno, certo, gomitoli di corda, sì sì, decisamente troppo spesso; ma una scatola di fiammiferi mai. Sono cose così affascinanti, ben fatte come scriccioli, e che quantità di ingegno e scaltrezza umana ci è voluta nella loro costruzione: se fosse una normale scatola con coperchio non sarebbe conveniente neanche la metà.
Questa qui è particolarmente ben fatta, affascinante e ingegnosa, e si apre e si chiude come se l’avesse costruita Chippendale. [un ebanista inglese del XVIII secolo, famoso per l'accuratezza e la grazia dei suoi mobili.]
Ma la cosa che mi piace di più della mia scatola di fiammiferi è che è vuota. Ho spesso pensato come sarebbe bello ricevere una casa vuota in Norvegia, come mi piacerebbe camminare in quelle camere nude con il profumo del legno, che in fondo è il riparo naturale dell’uomo, o comunque il più congeniale. E quando ho aperto la tua scatola di fiammiferi, che ora è la mia scatola di fiammiferi, e ho visto quella bella superficie rettangolare, pulita e dal dolce profumo, è stato esattamente come se la mia casa in Norvegia fosse diventata realtà; con in più il vantaggio di avere la misura giusta per tenerla in mano. Ci ho subito chiuso dentro la mia immaginazione, ed è ancora lì, che ascolta il vento tra gli abeti fuori. Sedendomi lì dentro tra pochi giorni sentirò la campana luterana chiamarmi e invitarmi ad andare e cantare inni luterani, mentre la moglie del pastore guarda distrattamente il marito in un pergolato di alberi sempreverdi e si chiede se si ricorderà di mettere il pepe nel ripieno d’oca; ma non andrò, sarò troppo felice di restare seduta nella casa che Alyse mi ha regalato per Natale.
Ah, devo dirti che ho terminato il mio libro, iniziato nel 1941, che è stato in pericolo centinaia di volte, ma che infine è concluso. Così posso dedicarmi completamente a godermi la mia scatola di fiammiferi.
P.S. C’è ancora così tanto da dire… presa dalla mia gioia per la forma e la consistenza mi sono dimenticata di lodare il disegno sul retro. Non ho mai visto una così gradevole somiglianza con un riccio, e il vulcano in fondo è magnifico».

Mi servo di questo post per fare gli auguri di Natale a quanti mi conoscono e mi vogliono bene con alcune considerazioni finali: immagino che Alise Gregory volesse invitare delicatamente l'amica a smettere di fumare. Questo particolare mi fa tornare alla mente il mio primo casuale incontro con Pier Luigi, colui che sarebbe diventato mio cognato. Fumavo e gli offrii una sigaretta che lui non rifiutò come avrebbe fatto un comune non fumatore. Non l'accese ma continuò sotto i miei occhi a sciorinarla fra le dita fino a farne uscire tutto il tabacco mantenendo l'involucro vuoto. Alla mia manifestazione di meraviglia, si limitò a rispondere che ne aveva fatto l'uso per lui più idoneo.
Per inciso: la lettera di cui sopra data 23.12.1946, vigilia del mio primo compleanno.

Grazie per la scatola di fiammiferi - pubblicato su post.it

16 febbraio 2013

Perché sto seguendo il Festival di Sanremo


Perché la Formula Fazio funziona: dà modo di ascoltare voci nuove e ben coltivate; offre musiche e testi ben selezionati; evita la sfilata di gnocche, gratuita e fine a se stessa; è straordinariamente innovativa pur mantenendo un legame positivo con la tradizione. 

Perché il tandem Fazio-Littizzetto è efficace, a tratti persino educativo. 

Perché tiene lontani per questa settimana da una campagna elettorale torbida e avvelenata: per fortuna, il venditore di piazza per antonomasia è fuori concorso e messo all'angolo; le sue mercanzie appaiono sempre più per quello che sono, improbabili patacche; le sue TV del cav... rimangono, almeno per una settimana, alla finestra. 

Perché si respira, finalmente, un po' d'aria pulita. 

So bene che fra pochi giorni si tornerà al clima arroventato che conosciamo; so bene che l'esito delle prossime elezioni è incerto quanto mai (ci darà, forse, un parlamento profondamente rinnovato a dispetto del porcellum) e assai difficile la formazione di un governo che ci tragga fuori dai guai. Temo, anzi, che torneremo presto alle urne. 

Ma godiamoci questa pausa felice con due momenti indimenticabili del Festival di Sanremo. 




04 marzo 2012

Ciao Lucio

Te ne vai con i tuoi angeli e le tue rondini dopo avere conosciuto la profondità del mare e il dramma dello stare al mondo; ci hai accompagnato per cinquant'anni con le tue canzoni ma la tua musica rimarrà con noi mentre tu raggiungerai le stelle.  

La Chiesa istituzionale ti concede funerali in San Petronio ma non vuole che nelle sue navate risuonino le tue note.  
Sono certo che esse riecheggeranno altissime in tutte le piazze e strade d'Italia.  



Certo, nessuno pensa di mettere un juke-box sull'altare di San Petronio o una pianola nel confessionale. Però fatico a comprendere quale danno produrrebbe alla dimensione spirituale dell'evento la presenza di un violinista che accogliesse l'ingresso della bara con gli accordi di 4 marzo 1943. La rigidità dei principi rimane un dono finché non si trasforma nell'incapacità di sintonizzarsi sul sentimento comune, su quella voce d'angelo che per sempre ci canterà "aspettiamo che ritorni la luce - di sentire una voce - aspettiamo senza avere paura domani". da Funeral party di Massimo Gramellini su La Stampa 



Quasi un testamento spirituale, la sua ultima Henna



Roberto Vecchioni: E’ stato il cantore di ogni sfumatura dell’affettività. Nei suoi versi comprende tutto l’umano, dal dramma dello stare al mondo a quello politico e sociale. C’è il senso del riscatto, la forza della rivincita. 
Andrea Mingardi: Mi sento come se avessi giocato finora a biliardo e all’improvviso il mio compagno non c’è più. 

L'ultima intervista: Io, l'amore, la musica
Dalla e la fede: In ogni uomo vedo Gesù
Quell’anarchico - religioso di Lucio Dalla
Lucio Dalla è un peccatore: no al funerale religioso

01 marzo 2012

4 Marzo 1943 - 1 Marzo 2012: la parabola esistenziale e artistica di Lucio Dalla, un Grande della musica italiana

Io lo ricordo così ... 


Se ne va in punta di piedi, così come era vissuto, con il suo aspetto clownesco e domestico anche nei travestimenti da barbone randagio, al culmine del successo, all'inizio dell'ultimo suo tour europeo


Ci lascia 50 anni di successi e un'attività artistica senza pari. 
Le sue canzoni Itaca, Il gigante e la bambina, 4/3/1943, Nuvolari, Come è profondo il mare, Quale allegria, L'ultima luna, Stella di mare, L'anno che verrà, Piazza Grande, Ma come fanno i marinai, Balla balla ballerino, Cara, Futura, Se io fossi un angelo, Caruso, Attenti al lupo, Apriti cuore, Canzone, Tu non mi basti mai, Telefonami tra vent'anni, Due dita sotto il cielo, Malinconia d'ottobre, fino a Nanì, presentata a Sanremo con il giovane Pierdavide Carone, hanno rappresentato la colonna sonora di molte generazioni. 




Se n'è andato ma la sua musica e i suoi testi continueranno a tenerci compagnia in questi anni bui e per molto altro tempo ancora. 

Addio Lucio, la tua morte improvvisa ci addolora come quella di un familiare. 

24 febbraio 2012

Riflessioni sul tempo attraverso l'arte

Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) 

A completamento della cena avevamo mangiato un Camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della ipermollezza di quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier e, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto su cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una vista del paesaggio di Port Lligat. Sapevo che l'atmosfera che mi era riuscito di creare in quel quadro doveva servirmi come sfondo ad un'idea ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce quando, d'un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell'ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato. (Salvador Dalì)

Ogni volta che mi è capitato di osservare La persistenza della memoria di Salvador Dalì, sin dall'epoca del ginnasio quando la vidi per la prima volta raffigurata in un testo scolastico, non è stata la concezione del tempo di Bergson come durata e sedimentazione o la teoria della relatività di Einstein e, tanto meno, la rievocazione malinconica del passato perduto nella Ricerca di Proust che mi ha richiamato. 
No, no. Tra l'altro non ero ancora venuto a contatto con l'opera del grande filosofo francese né col monumentale capolavoro di Marcel Proust ai quali mi sono accostato per necessità scolastiche solo durante l'ultimo anno degli studi liceali, che successivamente ho approfondito per interesse personale oltre che per dovere professionale. 

La persistenza della memoria di Dalì continua a turbarmi ancora, come mi capitò da ragazzo la prima volta, perché produce nel mio animo una sorta di atroce straniamento: gli orologi (normali oggetti segnatempo) così deformati, dilatati, inseriti come in un'improbabile natura morta, con lo sfondo di un paesaggio sospeso e inverosimile, mi danno i brividi. Anche i toni accesi, il tronco rinsecchito e la figura centrale che mi ha sempre dato l'idea di una bestia stramazzata, producono in me sensazioni forti e dolorose. Più che alla persistenza della memoria il dipinto mi fa pensare alla fine di un mondo con i suoi punti di forza, di ordine e certezza. 
È l'immagine desolata e desolante, allucinata forse, del nostro domani. 

Qui, in Italia, viviamo in un tempo sospeso

19 febbraio 2012

Ivano Fossati dà l'addio alle scene con l'ultimo tour

Mentre il baraccone di Sanremo portava a termine il suo rito consunto, ieri al Geox di Padova oltre 2500 spettatori paganti celebravano Ivano Fossati che dava l'addio alle scene - come tutti i grandi artisti - con il suo Decadancing tour

In questo clima da tardo impero se la lingua che parliamo è in decadenza, se politica e morale sono già decadute, il lavoro manca e la cultura - la musica in particolare - ricopia se stessa fino allo sfinimento, i ragazzi guardano oltre le frontiere con speranza, e io non farei niente per trattenerli. Ivano Fossati 


Quelle che seguono sono le impressioni postate in fb da Roberta che ha assistito entusiasta al concerto di Ivano. 

Ieri al Teatro Geox di Padova si respirava poesia nelle parole e nelle note di Ivano Fossati, che si è esibito magistralmente alla chitarra, al pianoforte, all'armonica a bocca e al flauto traverso. Voce calda e avvolgente, composta e dimessa nei brevi racconti quasi in punta dei piedi, energica e vibrante nei brani musicali che hanno ripercorso in tre ore più di 30 anni di carriera. E mentre lui sembrava non voler più salutarci, il suo pubblico (più di 2500 persone) l'ha applaudito fino a farsi male alle mani quasi a non volerlo più lasciare andar via. E in quest'epoca di kermesse canore fatte sempre più spesso di riflettori abbaglianti, successi facili e canzonette di discutibile qualità, ieri a Padova abbiamo salutato un grande, e dico davvero Grande, della musica italiana. Roberta R. 
Il tour, che sta toccando tutti i maggiori teatri italiani, isole comprese, è un'occasione non solo per salutare il suo pubblico ma anche per presentare e raccontare l'album Decadancing, già anticipato dal singolo La Decadenza uscito a settembre. Il tema del singolo è la necessità dei giovani italiani costretti a dover guardare oltre confine per riuscire a trovare il proprio futuro, che invece in Italia viene loro troppo spesso negato.









06 febbraio 2012

Possiamo tornare a vedere di notte le lucciole?


Quando usiamo il termine lucciole, pensiamo a corpi in vendita ad ogni angolo che offrono l'amore a saldo, come recita la poesia di Cresy Crescenza,  e non alla lucciola della filastrocca che 
brilla di notte e nessuno sdrucciola,
di notte brilla con mille sorelle
e par che il cielo abbia perso le stelle
che son cadute tutte sul prato
e tu cammini… in un cielo stellato! 


Già nel 1975, in Scritti corsari, Pasolini sosteneva che nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel qualcosa che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque scomparsa delle lucciole.  

Ma il fotografo giapponese Tsuneaki Hiramatsu ha catturato la loro bellezza in una luce completamente nuova, utilizzando la fotografia time-lapse. Le immagini sono state scattate in tutto il Giappone, l'effetto è stato ottenuto utilizzando diverse esposizioni e aperture sulla sua macchina fotografica Nikon. Queste fotografie di Hiramatsu sono state scattate nelle zone selvagge della Prefettura di Okayama - nessuna di esse è stata catturata con i flash della fotocamera o la luce artificiale. 







Le lucciole vivono ancora e prosperano in condizioni di umidità, e possono trovarsi in tutti i continenti eccetto l'Antartide. Ma stanno scomparendo in tutto il mondo a causa dell'inquinamento dell'habitat, dell'immissione di veleni nell'atmosfera e dell'incremento del traffico. Ci sono, tuttavia, alcune cose che possiamo fare per aiutare le lucciole a fare ritorno nelle nostre zone. Lasciare un certo margine di natura selvaggia sulla nostra proprietà: alberi della foresta, letame ed erbe lunghe creano ambienti accoglienti per le lucciole. Stagni e corsi d'acqua sono fondamentali per il loro ambiente, e si può incoraggiare ulteriormente il loro numero, riducendo la quantità di luce nel nostro giardino di notte ed eliminando i fertilizzanti chimici e i pesticidi. Seguendo queste indicazioni (ed altre ancora) - come suggerisce Firefly, è possibile tornare a vedere le lucciole. 

Fonti:
Daily Mail Online
Digital Photo Blog
Firefly
Portfolio poetico
La fattoria di Nonna Sara
P.P. Pasolini - Scritti Corsari

24 gennaio 2012

In ricordo di Vincenzo Consolo

(Sant'Agata di Militello, 18 febbraio 1933 – Milano, 21 gennaio 2012)  

Vincenzo Consolo con Sciascia e Bufalino 
Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all'interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca. 
(Vincenzo Consolo, Le pietre di Pantalica, 1988) 


La narrativa di Vincenzo Consolo presenta un originale rapporto tra memoria storica e ricerca linguistica. Egli è infatti attento alle più varie possibilità di linguaggio, e questo lo conduce a una appassionata interrogazione del passato. 
La sua ricerca riguarda il mondo della Sicilia: il suo passato e il suo presente, la sua bellezza affascinante e il suo disfacimento, i suoi odori forti, la sua natura seducente portano questa contraddizione all'estremo, le danno una singolare capacità conoscitiva. 
Io ho apprezzato la sua scrittura in Retablo e nei racconti Le pietre di Pantalica, opere che conservo nelle edizioni originali del 1987 e 1988.

 

Voglio ricordarlo con questa intervista-racconto di Oreste Pivetta, pubblicato su l'Unità il 23 dicembre 2009 
Il razzismo di Milano spaventa Consolo, meglio la Sicilia, approdo per popoli diversi  
Nessun addio ancora e Vincenzo Consolo, tra qualche giorno, tornerà a Milano, "patria immaginaria" da quarant’anni, da una notte di San Silvestro, scendendo dal treno la mattina dopo, alla Stazione Centrale: primo gennaio 1968. A Sant’Agata di Militello, il paese in provincia di Messina dove è nato, ieri splendeva il sole. Immigrato, anche se nella valigia teneva una laurea, un romanzo già pubblicato, l’amicizia di tanti intellettuali. Non è la neve a tener lontano da Milano Vincenzo Consolo, ma è la paura che quella patria immaginaria che è ormai nella memoria poco alla volta si sgretoli. C’è una voce particolare del degrado: il razzismo di Milano spaventa Consolo, che ricorda quando la città era accoglienza, solidarietà, era ancora una comunità. Lo scrittore parla della Sicilia e delle sue tragedie, ma cita in fila Bossi, Calderoli, Borghezio e i loro slogan e infine Berlusconi, complici di una malattia nefasta. Dice che la Sicilia soffre di infiniti mali, ma almeno è libera dal razzismo, dalla xenofobia, perché è sempre stata un approdo per popoli diversi, ricorda i re normanni che parlavano arabo e ricorda di un viaggiatore arabo, che, partito da Gerusalemme, riattraversando la Sicilia normanna contò trecento moschee, accanto alle sinagoghe, accanto alle chiese cristiane di rito ortodosso e di rito latino. "Mi capitò a Marsiglia, nel 1978 - ricorda - di partecipare a un convegno sull’immigrazione, con Mitterand, ancora solo segretario del partito socialista francese. Raccontai della presenza maghrebina a Mazara del Vallo. I maghrebini sono tornati. Hanno occupato di nuovo le case che furono dei loro antenati nel quartiere che è diventato la casbah. Così eravamo e così siamo rimasti, abituati e aperti a presenze straniere. Non sento razzismo in Sicilia. Ci resta molto di cattivo. Ci resta la mafia, ma la mafia, come diceva Sciascia, è una palma che sale al nord. Le palme in Sicilia magari muoiono essicate dal punteruolo rosso, l’insetto che le divora". 

Vincenzo Consolo fa il pendolare tra Milano e la Sicilia. La prima volta, nel 1952, si fermò per studiare alla Cattolica (almeno fino al servizio militare). Poi si laureò a Messina. Studiava legge e leggeva romanzi acquistandoli a rate dalla Einaudi. Viveva nella pensione della signorina Colombo, proprio muro contro muro con la basilica di S.Ambrogio. Attraversava la chiesa per raggiungere più alla svelta le aule dell’università e una mattina vide sull’altare una donna molto bella e un uomo elegantissimo in frac. Qualcuno gli disse che erano Franca Rame e Dario Fo e che quello era il loro matrimonio. All’università frequentava Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco. Dopo la laurea tornò in Sicilia per insegnare in un istituto agrario. Poi si disse che quella scuola era una beffa: preparava quei ragazzi a diventare emigranti. E si chiese se non dovesse tornare anche lui emigrante. "Chiesi consiglio a Lucio Piccolo, cugino di Tomasi di Lampedusa, e a Leonardo Sciascia: l’aristocratico poeta mi suggerì di tenermi lontano dai grandi centri culturali, così nell’isolamento avrei ottenuto maggiore visibilità, Sciascia mi confidò che se non avesse avuto famiglia sarebbe partito pure lui. Lo ascoltai. Partii la seconda volta per Milano. Quarant’anni a Milano, che per me, malgrado il tramonto d’oggi, è stata la città degli illuministi, di Manzoni, di una grande siciliano come Giovanni Verga, di Elio Vittorini, che avevo conosciuto quando pubblicai il mio primo libro… La città di Salvatore Quasimodo, del lavoro, degli operai. Soprattutto con un’anima che accoglieva tutti". 

CAMBIO ANTROPOLOGICO 
Un’anima tormentata: in fondo lì comincia la strategia della tensione, in piazza Fontana: "Tenevo una rubrica per l’Ora di Palermo. Dopo la strage, mi affidarono un’intervista a Licia Pinelli. Giuseppe era di origine siciliana. Portai alcuni doni alle bambine e tra questi un angelo, lavorato dagli artigiani del mio paese". Che cosa ha corrotto Milano? "Come scriveva Pasolini, è avvenuta una mutazione antropologica. La fine del lavoro operaio ha cancellato i luoghi e i riferimenti della formazione culturale". Non solo Bossi e Berlusconi. Loro sono soltanto gli imprenditori politici che hanno colto il segno della deriva. Resta l’individualismo che genera paura. White Christmas, come succede a Coccaglio, provincia di Brescia. Nel segno della mistificazione di una storia, della tradizione tanto rivendicata, della fede. Quando anche l’arcivescovo diventa un bersaglio. Vincenzo Consolo non lascerà Milano. Altre volte l’aveva detto. Un impulso, ma il legame è forte: "Chissà, forse fra un anno, quando avrò sistemato alcuni lavori". Immaginiamo che il sindaco Moratti decida di premiare Vincenzo Consolo con l’Ambrogino d’oro. In fondo è un milanese dell’immigrazione che ha dato il suo cuore alla cultura: "Dovrei rimanere. Nella speranza di rivedere quella città che mi è sparita sotto gli occhi". 

02 novembre 2011

Il testamento di Silvio (di Fabrizio De André)

Testo riveduto corretto e strapazzato da Ellekappa

Quando la morte mi chiamerà 
solo mia moglie protesterà 
ho manomesso il mio testamento 
e le ho soffiato l'eredità 
ai suoi tre figli non lascio niente 
niente di nulla diviso a metà 

ai miei fenomeni da baraccone 
lascio un impiego da faccendiere 
insieme a un lessico da carrettiere 
che privilegi l'imprecazione 

a Capezzone la mia bandana 
a Scilipoti mezza banana 
a Minzolini, il linguagabbana 
la direzione di Panorama 

voglio lasciare a mia figlia Marina 
che se ne frega della sentenza 
il mio carisma di rara indecenza 
che al mercimonio le spiani la via 

tutta la Rai lascio al dandy panciuto 
cento salsicce e un anacoluto  
mentre a Tremonti tirchio ed arguto 
a costo zero regalo uno sputo 

sorella morte aspetta un momento 
forse ho un legittimo impedimento 
quanto sei sexy fatti palpare 
e con ardire fatti trombare  
dimmi la cifra che poi arrotondo 
fin dentro al cuore miliardi grondo 

signor becchino ho già in mente un lodo 
che mi sottragga a morte rapace 
prima che avviti quell'ultimo chiodo 
consulti Paniz Cirielli e Storace 

non seppellite 'sto capolavoro 
che ha fatto fuori futuro e lavoro 
se mi graziate vi cingo d'alloro 
poi come a Ruby vi copro d'oro 

prima di andare a marcir nella fossa 
m'inchino a Vespa, il mio scendiletto 
e i nei di Renzi e la sua wiki-rissa 
con gioia lascio all'affabile insetto 

ai Corleonesi i miei deputati 
ai Casalesi i disoccupati 
a Ignazio la Russa sei Maserati 
venti Ferrari e due croci uncinate 

quando il G-20 mi chiederà  
un attestato di serietà 
una pernacchia forse una sola 
come una tromba risuonerà 
un dito medio forse uno solo 
dal frollo Bossi germoglierà 

se questa Italia è ormai contagiosa 
e a un solo palpito dal fallimento 
per evitarmi una fama ingloriosa 
al maggiordomo gl'intesto lo schianto 

lascio a Piersilvio un Paese che muore 
che ho depredato con tutto il cuore 
io del contagio sono l'untore 
l'Europa crepi e vada al creatore 

a tutti lascio lo spread in ascesa 
e Piazza Affari che cola a picco 
solo la Fininvest vola in ripresa 
da questa crisi ne esco straricco 

lascio al Paese la corruzione 
sciolgo le lodi all'evasione 
ed una cena perbene e elegante 
lascio a Leopolda per esser galante 

quando la morte mi chiamerà 
sarò già in fuga nell'aldiquà 
sarò sparito senza pagare 
senza mai dire la verità 
vado ad Antigua a folleggiare 
vi lascio in dono la povertà 

Cari sodali della mia banda 
spolpammo insieme la stessa terra 
tessemmo in coro il medesimo inganno 
per trasformare l'Italia in Gomorra 
ma adesso Papi vi lascia soli 
perché il momento si fa ferale 
già sono in volo mille cetrioli 
al posto mio qualcun altro s'immoli.  

28 ottobre 2011

Piove su Roma... ma l'amo ugualmente

È difficile immaginare qualcosa di più rattristante di una folla di quasi diecimila persone che fa a botte per entrare in un megastore e accaparrarsi televisori, ferri da stiro, frullatori in offerta speciale. È accaduto ieri a Roma vicino a Ponte Milvio, la città è rimasta ingorgata per ore. C’era gente in coda dall’alba, c’era gente accampata, e non era una coda per il pane, era una coda per sentirsi in regola con l’identità del consumatore medio, degno di vivere in questo mondo senza sentirsi di troppo. Mi basterebbe che qualcuno (anche solo uno su diecimila) all’improvviso si fosse sentito umiliato, in quella ressa di schiavi, per avere qualche speranza in più sul nostro futuro. Mi basterebbe che qualcuno, anche uno solo su diecimila, avesse improvvisamente scartato di lato, respirato forte, e fosse fuggito ovunque pur di non rimanere lì a fare la comparsa a pagamento (pagare per apparire, pagare per esistere). Non riesco a credere che un tostapane con lo sconto, pure se in tempi di crisi nera, sia in grado di trasformare le persone in uno sciame di mosche disposte a schiacciarsi l’una con l’altra pur di posare le zampe sulla propria briciola. (L'Amaca di Michele Serra su Repubblica)
La salvano lo scetticismo e l'ironia dei suoi abitanti, anche se spesso diventano spacconeria e spavalderia, astuzia e cialtroneria.


19 ottobre 2011

Per ricordare Andrea Zanzotto

... morto ieri all'ospedale di Conegliano Veneto in seguito a collasso cardiocircolatorio.


Il 10 ottobre aveva compiuto 90 anni e il suo nome era stato caldeggiato più volte per il Nobel della letteratura. Per Giorgio Napolitano, la terra veneta e l'Italia perdono un grande figlio, un interprete sensibile dell'esperienza di vita e dei sentimenti del suo popolo, una personalità civilmente impegnata nella difesa del patrimonio culturale e dei valori nazionali della nostra Italia.



Colloquio

Per il deluso autunno, 
per gli scolorenti 
boschi vado apparendo, per la calma 
profusa, lungi dal lavoro 
e dal sudato male. 
Teneramente 
sento la dalia e il crisantemo 
fruttificanti ovunque sulle spalle 
del muschio, sul palpito sommerso 
d'acque deboli e dolci. 
Improbabile esistere di ora 
in ora allinea me e le siepi 
all'ultimo tremore 
della diletta luna, 
vocali foglie emana 
l'intimo lume della valle. E tu 
in un marzo perpetuo le campane 
dei Vesperi, la meraviglia 
delle gemme e dei selvosi uccelli 
e del languore, nel ripido muro 
nella strofe scalfita ansimando m'accenni; 
nel muro aperto da piogge e da vermi 
il fortunato marzo 
mi spieghi tu con umili 
lontanissimi errori, a me nel vivo 
d'ottobre altrimenti annientato 
ad altri affanni attento. 


Sola sarai, calce sfinita e segno, 
sola sarai fin che duri il letargo 
o s'ecciti la vita. 


Io come un fiore appassito 
guardo tutte queste meraviglie 


E marzo quasi verde quasi 
meriggio acceso di domenica 
marzo senza misteri 


inebetì nel muro. 



Opere di Andrea Zanzotto

23 maggio 2011

L'Italia s'è desta?

Sono in fase di rientro da un giro per l'Italia, che mi ha messo in contatto con un'umanità senz'altro migliore della poltica che ci rappresenta. A Malcesine, la bella cittadina sul lago di Garda, meta turistica di grande fascino, ho avuto la ventura di incontrare l'arte di Luciano Bonacini, il fotografo che rimodella con la sua macchina fotografica il corpo femminile nella cura specialissima del piccolo dettaglio e nel gioco di luci ed ombre che ne mettono in risalto i tratti più delicati. 
A Merano ho subito l'incanto di una cittadina luminosa, a misura di essere vivente, immersa nel verde, nei colori dei suoi fiori e nella gioia di vivere dei suoi abitanti. 
 
 Ciò che mi ha particolarmente colpito, però, è stata l'inattesa opportunità di partecipare alla prima  giornata di Poiesis nel piccolo centro storico di Fabriano. La cittadina medioevale, curate le ferite del terremoto del 1997, vive ogni anno la tre giorni di Poiesis da un'idea di Francesca Merloni, giovane rampollo di una famiglia di industriali che ha trovato nell'arte e nella poesia la sua migliore espressione. Quest'anno il festival è stato dedicato al 150° dell'Unità. Peciò mi è stato possibile ascoltare Giuliano Amato parlare con acume e intelligenza di identità nazionale italiana, non di tipo etnico ma culturale; seguire la performance affabulatoria, appassionata e insieme ironica, di Alessandro Bergonzoni che conquista a cominciare dal titolo, W l’Italia se è desta; ascoltare l’inedito duetto Toni Servillo-Massimo Cacciari, impegnati in una lettura filosofico-teatrale dedicata ai Patroni d’Italia, San Francesco, Giotto e Dante (un passato di cultura e spiritualità italiana che stride fortemente con il buio di questi nostri anni in cui siamo immersi); e poi ascoltare, sul fronte dell'attualità, don Ciotti, fondatore di Libera, che invita ad avere coraggio nel denunciare l'ingiustizia e l'egoismo, che spinge alla responsabilità per costruire un mondo più giusto e umano, che mostra tutta la sua rabbia di prete nel mondo condannando l'indifferenza di fronte ad un'umanità reietta e offesa e dichiarando di avere come riferimento nella sua azione il Vangelo e la Costituzione.
Tutto questo riconcilia con la vita, con il nostro passato, con la nostra identità più profonda,  umana e culturale, mentre una destra sconfitta, battuta nella sua gretta prospettiva politica, si avvia all'ultimo scontro nei ballottaggi con un atteggiamento corrivo e  violento, volto a sovvertire la volontà di cambiamento chiaramente espressa dagli elettori nel primo turno. Come tanti milioni di connazionali, mi auguro che la maggioranza dei milanesi, anche domenica prossima, premi la proposta gentile di Pisapia resistendo all'ultimo tentativo di carpirne il voto attraverso la vergognosa offerta di condoni.
Passando da Roma, ho potuto ammirare la città eterna in una splendida, luminosa domenica di maggio. Le sue bellezze artistiche e monumentali resistono ancora, per fortuna, agli assalti sconsiderati dei nuovi barbari e sembrano testimoniare ancora la possibilità del riscatto. 
Per Napoli e per il suo futuro mantengo i miei dubbi e le mie incertezze: la bella capitale del sud, oppressa da cumuli di spazzatura ma soprattutto dalla cappa criminale in cui affoga, senza vere prospettive di rinascita e sviluppo, dovrà affidarsi al coraggio di De Magistris per un ultimo tentativo (ancora possibile?) di cambiamento.
So soltanto che domani attraverserò le sue strade per raggiungere il porto ed imbarcarmi, e mi vengono i brividi!

23 aprile 2011

BUONA PASQUA ANCHE A LORO ...

ai diseredati,
ai nullatenenti,
ai tartassati dai mutui,
agli sfrattati,
agli sfruttati,
ai terremotati di oggi, di ieri, di domani, 
agli sfollati,
a quelli che dipendono dagli aiuti dei volontari,
ai barboni,
a quelli che dormono sotto un cielo di stelle perché non hanno più un tetto o non l'hanno mai avuto,
a quelli che di tetti ne hanno troppi e non sanno più sotto quale ripararsi,
ai bambini dell'Africa,
a tutti i bambini del mondo offesi dalla guerra e dalla fame,
ai disoccupati,
ai cassintegrati,
a quelli che non possono avere la cassa integrazione perché figli di un altro dio,
ai migranti,
a quelli che hanno trovato accoglienza,
a quelli ricacciati lontano, anche a quelli che il mare ricopre, 
a tutti quelli che il poco che non basta lo dividono con gli altri,
ai carcerati,
a quelli in attesa di giudizio,
a quanti innocenti sono costretti in cella,
a tutti quelli che non hanno scarpe ai piedi,
al giornalista che ha scagliato le sue a Bush rimanendo scalzo,
a quanti ogni giorno fanno fatica a mettere insieme l'indispensabile per campare.

Buona Pasqua a tutti quelli che lottano perché questo stato di cose possa presto cambiare, 
ai credenti e a quelli che la fede non hanno,
agli agnostici e agli atei,
a tutti quelli che vedono nel prossimo il fratello,
a coloro che si ricordano del fratello sempre e non quando fa comodo,
a chi fa il proprio dovere in silenzio, senza sperare in una ricompensa,
a chi sa vivere bene nell'ombra perché sa che i riflettori accecano.
Buona Pasqua anche a loro, agli accecati perché possano vedere presto la luce. 

10 aprile 2011

La mia visita al Museo del Satiro danzante e alle Cave di Cusa

Ieri, approfittando della giornata decisamente estiva, ho inaugurato la mia settimana della cultura con una visita al Museo del Satiro danzante a Mazara del Vallo e poi alle Cave di Cusa, situate tra Selinunte e Campobello di Mazara, su un pianoro vicino alla costa. (Le cave furono utilizzate per l’estrazione del materiale necessario alla costruzione dei templi di Selinunte).
Anche il Dipartimento dei Beni culturali e dell'Identità siciliana aderisce, infatti, alla XIII Settimana della Cultura. I musei, le gallerie, le aree archeologiche e le biblioteche regionali si aprono gratuitamente al pubblico, con mostre, visite guidate e conferenze dal 9 al 17 aprile 2011. Questo il programma fornito dalla Regione Sicilia.

Il Prof. Paolo Moreno in questo video racconta del recupero, restauro e restituzione alla città di Mazara del Satiro Danzante.


Mi piace aggiungere il video di Gabriele Mulè che mette in relazione il recupero del Satiro con il salvataggio di tanti migranti che attraversano su imbarcazioni di fortuna il Canale di Sicilia.
Dedicato a tanti uomini e donne che danzano nelle profondità marine.


SATIRO DANZANTE
La statua è stata ripescata nel Canale di Sicilia, nel Marzo del 1998, al largo di Mazara del Vallo. Era a circa 500 metri di profondità. Rappresenta un Satiro danzante, una delle figure mitologiche del corteo orgiastico che accompagnava Dioniso, il dio greco del vino. Lo scultore infatti ha fissato nel bronzo l’attimo in cui l’essere mitologico è sul punto di compiere un salto. La testa è abbandonata all’indietro, le ciocche dei capelli al vento e lo sguardo rivolto verso l’alto.
Nell’ottobre del 1998 le Autorità siciliane hanno affidato il Satiro all’Istituto Centrale per il Restauro che ha dedicato all’opera quattro anni di intenso lavoro, liberandolo dalle numerosi incrostazioni, dovute alle condizioni fisico-chimiche e agli organismi presenti nel fondo marino, restituendo alla statua la sua originaria bellezza e forza espressiva. È stata riportata a Mazara dei Vallo nell'ex chiesa di Sant'Egidio trasformata in museo. Duemila e quattrocento anni, sei millimetri di spessore di bronzo, centootto chili di peso, due metri e otto centimetri di altezza sono le caratteristiche di questo "bronzo" attribuito a Prassitele. È verosimile che la statua facesse parte del carico di una nave naufragata tra la Sicilia e Capo Bon in un periodo di massima diffusione del commercio antiquario nell`antichità. La qualifica di "Satiro in estasi" nacque dal confronto con le innumerevoli riproduzioni antiche su gemme e rilievi marmorei. Fin dall`epoca arcaica la ceramica ateniese illustra le Baccanti impegnate nella danza circolare; figure simili appaiono sbalzate intorno al 400 su di un cratere in lamina bronzea, dove le donne scuotono la chioma vibrante.
All'interno del Museo, oltre al Satiro, si possono ammirare altri reperti: una zampa di elefante, un'ancora, anfore, capitelli, venuti alla luce dalle acque del Canale di Sicilia.

In una incomparabile cornice naturale, tra cieli limpidi ed un mare azzurro, le grandiose rovine della potente Selinunte raccontano un periodo epico della storia di Sicilia. Il tutto in uno dei più grandi e spettacolari parchi archeologici del mondo. 
Ieri, però, ho tralasciato la visita al parco archeologico selinuntino, più volte e in occasioni diverse visitato nell'arco della mia vita. Ho preferito, di ritorno da Mazara, fermarmi alle Cave di Cusa dove sono stati estratti i possenti blocchi di calcarenite necessari alla costruzione dei templi. 
Grazie alla documentazione archeologica è stato possibile ricostruire le varie operazioni di cava: secondo le varie necessità, veniva praticata sul piano orizzontale del banco una trincea circolare, ampia lo spazio necessario (circa 50 cm) per consentire allo scalpellino poi di procedere fino alla quota necessaria. Venivano quindi inseriti cunei sul piano inferiore, e veniva provocato il distacco del blocco. Successivamente, con l’aiuto di leve, il blocco veniva sollevato e, rotolando, trasportato nel luogo in cui veniva realizzata una prima sbozzatura. Alla fine si procedeva con il trasporto che avveniva generalmente con carri trainati da buoi. Un evento traumatico - la conquista punica - determinò il momento di interruzione improvvisa del lavoro di cava. I pezzi vennero lasciati laddove erano, alcuni appena sbozzati, altri completamente finiti e già partiti per il lungo viaggio verso la destinazione.

SELINUNTE - La Città degli Dei


Cave di Cusa: foto


A conclusione di questo percorso mi è gradito consigliare un sito navigabile del parco archeologico di Selinunte e dintorni, meravigliosamente strutturato e articolato. Chi non può venire a Selinunte, chi ha voglia di tornarci in una visita virtuale, chi intende preparare il suo viaggio visiti Selinunte online e non solo.

Voglio citare, infine, un'opera di altissima poesia lirica che si svolge in una suggestiva cornice tra mito, storia e incantamento e che trae ispirazione dal ritrovamento del Satiro Danzante nelle acque di Mazara del Vallo:
La GROTTA AZZURRA E IL SATIRO DANZANTE di Evelina Maffey che ho avuto il piacere di recensire all'epoca della sua uscita.

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