Informazioni personali

La mia foto
Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

Benvenuto nel mio blog

Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

Se vuoi scrivermi, usa il seguente indirizzo: mieidee@gmail.com
Visualizzazione post con etichetta musica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta musica. Mostra tutti i post

30 dicembre 2016

RLM - 40 anni fa. Una grande avventura al servizio della città



Il 28 Dicembre 2016, per iniziativa di Sino Quartararo e con il patrocinio della Pro Loco di Menfi, nell'Auditorium dell'Istituzione Culturale Federico II si è tenuta la rievocazione di Radio Libera Menfi, a quarantanni dalla sua fondazione col titolo 40 anni fa. Una grande avventura al servizio della città. L'evento, curato nei dettagli dall'impeccabile Gioacchino Mistretta e presentato dalla giovane Rosy  Abruzzo, ha visto la partecipazione di un pubblico numeroso e assai interessato. I vari collaboratori dell'emittente sono stati invitati sul palco a dare la loro testimonianza mentre sullo schermo scorrevano documenti interessanti, ormai storici, relativi a diverse fasi e rubriche curate da RLM. La serata è stata allietata grazie alla riproposizione di brani musicali in voga all'epoca, eseguiti magistralmente da Sino Quartararo e Leo Marchese. E' stata una bellissima manifestazione, assai partecipata, che ha avuto il merito di riportarci piacevolmente indietro di alcuni decenni. Ma RLM non deve rimanere solo un memoriale, potrebbe in qualche modo risorgere dalle sue ceneri. Pensiamoci! 


Era il 15 ottobre 1976 quando iniziarono le prove sperimentali di RADIO LIBERA MENFI sulla frequenza 98,200 mhz. L’idea di aprire la radio fu di alcuni giovani che s’interessavano di musica già da un bel po’ di tempo: Sino Quartararo, Saverio Piccione, Baldassare Bivona, Pippo Graffeo, Rosario Callaci, Giuseppe Gagliano. Poi si sono aggiunti: Bilello Francesco, Liborio Ferraro e Marco Bursi. Radio Libera Menfi ha rappresentato un momento importante per Menfi, la libertà, la trasgressione e la capacità del mondo giovanile del post ’68 d’interpretare la realtà di quel momento storico. Punto di forza della radio era l'interattività con gli ascoltatori che vennero coinvolti direttamente dando loro la possibilità di intervenire nel corso dei programmi apportando opinioni e commenti, oppure di scegliere brani musicali di loro gradimento; vengono cosi impostati programmi dedicati a varie fasce di utenza centrando la programmazione su vari argomenti (culturali, storici, rubriche varie, cabaret e musicali (Rock, musica italiana, folklore locale etc.) o sociali (politica in primis).
Quelli furono anni stupendi, di spensieratezza, d’entusiasmo e di straordinaria professionalità per quei ragazzi meravigliosi e per tutti i componenti la radio.
Il loro unico interesse è stato quello di garantire un servizio sociale a tutta la collettività convinti, com'erano, che il mezzo radiofonico era un bene comune che poteva essere utilizzato da tutti: famiglie, commercianti, liberi professionisti o semplici cittadini. Li sosteneva solo il loro grande entusiasmo e l’infinita voglia di fare, tipica dei giovani di quel tempo che, ahimè, raramente si riscontra nei giovani d’oggi.
Da un post su FB di Sino Quartararo

A me è stato dato il compito di rievocare sinteticamente la figura di Nino Ardizzone e la rubrica "Lignati siciliani" che andava in onda la domenica mattina. E l'ho fatto, all'incirca,così: 
"Cu pigghia lu turcu è so" era l'espressione con cui Nino Ardizzone soleva stigmatizzare il comportamento di quanti, in un contesto di illegalità diffusa, si appropriano di tutto ciò che capiti loro per le mani infischiandosi dei diritti altrui. A quel punto inarcava il sopracciglio in modo interrogativo e atteggiando il viso ad una smorfia faceva presagire una scarica di altre espressioni colorite. Il suo eloquio era pungente e, spesso, sarcastico. Con lui ogni domenica mattina intrattenevo i radiascoltatori su temi di carattere sociale e sulle disfunzioni che gli stessi denunciavano tramite telefono. 
La radio svolse allora un importante servizio sociale, contribuendo alla ricostruzione della vita comunitaria in un comune in parte disintegrato dagli effetti del sisma. I danni provocati dal terremoto e quelli successivi prodotti dagli uomini sono stati un altro argomento di discussione nella rubrica domenicale. "E ci nni vosiru trantuluna pi ghittari 'n terra lu campanaru di l'assiccursu!" Altra immagine di Nino che insieme a me criticava fortemente l'opera di demolizione di edifici che avrebbero potuto essere restaurati. Ma all'epoca in un centro rurale come il nostro risultò più agevole demolire e attendere la successiva ricostruzione.
Per quanto mi riguarda, la mia collaborazione con RLM rimase concentrata soprattutto negli anni 1980-83, il periodo in cui rientrai a Menfi avendo ottenuto l'incarico d'insegnamento c/o la sezione staccata di Menfi del Liceo Scientifico. Avevo la metà degli anni che mi ritrovo ora e furono per me anni molto densi e attivi perché curai con i miei studenti la messa in scena di alcune opere teatrali con discreto successo mentre riempivo le mattinate domenicali conducendo assieme al compianto Nino Ardizzone la rubrica di lagnanze in cui si denunciavano i disservizi, gli scandali, i ritardi delle amministrazioni relativamente alla ricostruzione post-terremoto ecc. Indimenticabile la battaglia condotta per la collocazione dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti. In quel periodo, spesso, venivano trasmessi in tempo reale i consigli comunali, motivo per cui i consiglieri e gli amministratori dovevano stare attenti a quello che dicevano. Furono anni di impegno civile e di lotta al fine di realizzare un cambiamento considerato possibile. Ricordo certi dibattiti e confronti con esponenti politici locali, condotti nella sede della radio. Spesso i partecipanti volevano concordare gli argomenti ma quando le risposte viravano verso il consueto politichese era giocoforza riportarli alla concretezza della realtà.
A riascoltarmi, mi ha fatto impressione più della vivacità argomentativa, che non mi è mai mancata, la velocità nell'esposizione; da anni parlo più lentamente riflettendo di più su ciò che dico.


23 agosto 2015

A TE, MATER VETUSTA (alle persone più care i miei frammenti più intimi)

Sollecitato dalla mia cara nipote Matilde, rendo fruibili a tutti i miei versi sparsi, raccolti e salvati in questo post sotto il titolo A te, Mater vetusta
Mi auguro che qualcuno li legga e ne apprezzi almeno la sincerità.

Prefazione di Matilde Fagotto
Difficile trasferire su carta - o su di una pagina virtuale, potremmo dire - la profonda emozione che mi coglie sfogliando il libriccino di poesie del caro zio Vito. Non sono un'esperta in materia, e tanto meno voglio apparire melensa, ma quei versi hanno da sempre la capacità di toccare alcune corde del mio cuore, e sono convinta che meritino una diffusione maggiore di quella che la modestia dell'autore ha loro concesso finora. E dunque, perché non farli rivivere attraverso le pagine di questo blog?
Natura e sentimenti - personalissimi eppure universali - sono qui declinati e intrecciati di volta in volta a rappresentare inquietudini e gioie, paure e coraggio, caducità e sublime bellezza che sembra destinata a non aver mai fine: dal tormentato rapporto con la terra madre, al profondo legame con la figlia, la sua "dolce bambina"; dalla schietta e toccante analisi di un vissuto sofferto, allo slancio vitale verso un futuro ignoto ma carico di nuovi auspici.
"A te Mater vetusta" é una raccolta che costituisce un piccolo ma significativo tassello di una natura umana estremamente sensibile, un dono per gli affezionati lettori di questo spazio e per chi vi si imbatterà casualmente.
Con la viva speranza che l'autore si decida a regalarci ancora qualcuna delle sue riflessioni in versi, auguro a tutti voi una buona lettura!

MATER VETUSTA
A te, mater vetusta, me redùce
calda l'eco di cantilene antiche.
Plaga assolata, tu mi desti vita         
d'incanto aprendo agli occhi miei la luce.
Risento stridule quelle cicale:
il canto rauco al cuore si figge
mentre col palpito azzurro si fonde
del mare, memore, che ti recinge.
Terra di miti e d’un sogno di luce, 
dimmi che tornano le tartarughe
quando la rupe d’Eraclea s'indora!
Dimmi le sabbie del Belice riarse,
solcate ancora da scarabei egizi!
Niun mostro omai tra Scilla e Cariddi.

SERA DI MAGGIO
Scende attesa la sera nel sereno
e perdura la luce del tramonto
che accende le balze aspre del monte
scavando solchi d’ombra nel terreno.
Sale denso il profumo delle rose,
dura a lungo la zagara fragrante
mentre gli uccelli s'attardano nei canti
aspettando la lieve notte nera.
Fanno un concerto di mille suoni, quanti,
tutti intonati alla malinconia,
come ogni sera han messo a punto in tanti
gli strumenti per la sinfonia.
Solo le piante piegano le fronde
in un applauso silenzioso e vero;
esse soltanto colgono il mistero
che accompagna il momento del tramonto,
e le campane dell’Avemaria.

A ROBERTA
Esterrefatto, muto, sonnolento,
ricordo il giorno freddo dell’addio;
insieme a me pranzasti e poi scrivendo
sulla mia agenda ed implorando Dio,
mi afferrasti ché non scappassi via.
T'accompagnai, era Sabato, all'ora 
di disegno: la destra nel taschino
e l'altra riscaldavi nella mia.
Dovetti comperarti cartoline
con bimbi che facevan l'occhiolino,
quasi pegno del mio ripensamento.
Ora star qui, senza di te, detesto
e mi divora notte e dì, lo sento, 
il rimpianto di te, il mio tormento.

PAURA DI BIMBA
Un brivido brucia la pelle,
t'afferra pei polsi,
ti stringe alla gola,
ti toglie le forze.
Il sangue raggela di colpo,
il cuore non batte,
poi pulsa più forte,
imporpora il viso
e scioglie d’un tratto
di lacrime calde
la limpida fonte.

E LA TERRA TREMÒ...
Squarci ne lacerarono le membra
e la terra patì con affanno
e lanciò ululati di morte
e rigurgitò bava schiumosa
ed ebbe sussulti inauditi.
Cielo e mare le furono solidali
e scatenarono forze selvagge
sfogando una rabbia incontenibile
sull'orgogliosa miseria dell'uomo.

SONO STANCO
Sono stanco 
di camminare
per plaghe desolate,
aride, abbandonate.
Ma anche se ritrovassi
i fiori, i colori, i suoni,
il deserto rimarrebbe nel mio cuore.

VIVO GIORNATE VUOTE
Vivo giornate vuote,
inutili, noiose:
chi ha rubato alla mia vita
il senso?

CAMMINO SENZA META
Cammino senza meta
per strade fatte
da altri
che non so dove portano.
Ma almeno la notte
vorrei riposare
e non pensarci.                                          

NON SO PERCHÉ SCRIVO
Non so perché scrivo:
tutto il dolore del mondo
le mie parole
non possono contenerlo;
neanche il mio male
ci sta intero.
                                                                                   
IL MIO CUORE
Il mio cuore
è come quel muro sgretolato,
grezzo, cadente:
solo una parvenza
di nuovo
gli darebbe l'intonaco.

L'AMORE E' COME LA LUNA
L'amore è come la luna:
risplende, sorride lontana,
ti fa sognare;
ma chi la raggiunge
non trova che terra.

SEMBRO UN RELITTO
Sembro un relitto
che ha toccato il fondo,
una larva d’uomo alla deriva
che è riemersa inerte, vuota e priva
di senso.
Mi sballottano
senza meta i venti
e le onde sconvolgono
i pensieri, la mente vaga
senza scopo e i piedi
non hanno direzione né sentieri.
In certi momenti,
disperato, prego l'onde
che coprano il mio corpo
e lo affidino al nulla più profondo.
Ma poi mi sembra di riprender fiato
e spero nel futuro e scopro il pianto.

POSARE IL CUORE
Posare il cuore
in un angolo,
fuggire per mete
lontane,
disfar la valigia:
sognare
di essere giunto
al traguardo.

OGGI MI TRADIRÒ
Oggi mi tradirò perché, sognando
mi perderò negli occhi tuoi smarrendo
il ben dell’intelletto e, sospirando,
ti chiederò di starmi ancora accanto.

DOMANI MENTIRÒ
Domani mentirò perché, parlando,
pronuncerò parole senza senso;
ma sento che dirò, in un lamento:
“Non ti scordar di me, t’ho amato tanto!”.

IL VOLO
Evviva, evviva!
Il volo
verso verdi orizzonti
ho già spiccato.
E chi potrà fermarmi!
Volano
mente e cuore,
a stento la ragione
li riprende.
E’ un attimo
e poi via, lontano,
per sentieri inesplorati,
dalle remote densità dell’abisso,
oltre la lieve chiarità
della gioia.
Io sono qui e palpito,
in mille anfratti
mi cerco e mi trovi,
mi perdo
e mi ritrovano. 
Le parole non dicono,
non spiegano:
è la vita che in me scorre, 
che a me torna per mille
rigagnoli e torrenti
irruenti; è la vita
che riprende.
Mi riverbero
e via ancora per sentieri
più vorticosi,
sopra abissi ignoti.
Il carico ho buttato
e volo! 
Fallo anche tu,
librati sulle tue ali,
reggono, se vinci
la vertigine
del vuoto.

SOGNO D’ESTATE
Fresco un ruscello
t'accarezza di notte le ciglia,
agile svetta e zampilla 
fra luci e colori
d'immagini nuove
e d'antiche promesse.

SCALPITANO CAVALLI
Scalpitano cavalli,
al vento le criniere;
folate sconvolgono
il fumo sui comignoli:
seduto l'uomo fissa
lontano punti neri,
sorride, il vento
gli carezza i pensieri.

DOLCE SIRENA
Dolce sirena del cuor mio
randagio, portami lontano
in volo planare
sulle gelide acque
lacustri dove libellule
danzano felici!

TRA CIANE E ARETUSA
Tra Ciane e Aretusa
stasera
la Luna si veste
d'argento
nel mare d'Ortigia.

MUSICA LE PAROLE
Musica... 
le parole, 
quando sgorgano
chiare, acqua fresca
di sorgente dal colle
limpida fluente
al mar 
che la riceve dolcemente...


Postfazione di A. B. 
Tristezze intessute di luci, velate di emozioni. Desiderio di esporsi lasciandosi andare, sorvegliato dall'insopprimibile urgenza di capire, mantenendo misura e distacco per mettere a fuoco. Rapporto con il passato, non solo nostalgico, e insieme voglia di vivere il presente aggrappandosi alle sensazioni suscitate dalla realtà, per altri, forse, non altrettanto positiva. Più aperta, immediata, serena nel dolore “A Roberta”, in cui domina incontrastato il sentimento, a discapito di quella  “misura” sempre mantenuta.
Dove conduce la continua fuga?  Qual è l’approdo? A. B.

          Breve nota sull'autore
Vito Raia è nato a Menfi nel 1946. Il terremoto del Belice, che lo ha visto testimone attento e critico di fatti e misfatti ormai insanabili, ha segnato profondamente la sua vita. Si è laureato in Lettere a Palermo, discutendo la tesi “Ricerche sulla situazione socio-culturale di Menfi”. Si considera discepolo di Giusto Monaco di cui ha sempre ammirato, sin dagli anni universitari, l'amore per la civiltà classica, la profonda umanità e lo stile impareggiabile. Ha insegnato per quasi un ventennio in istituti tecnici del Trentino e successivamente si è trasferito a Siracusa dove ha deciso di interrompere, almeno per qualche tempo, il suo peregrinare. Sente, infatti, sempre più potente, il legame allo scoglio di Ortigia dove il destino lo ha fatto approdare, naufrago, in cerca della “mater vetusta”.   
Queste povere, piccole cose, tessere in frantumi di un mosaico impossibile, intende donare ad Ortigia ospitale, miniatura affascinante, emblematica, della mitica madre. 

25 febbraio 2014

Oggi voglio parlare di Pippo Pollina

Nel giorno in cui il PD, Berlusconi e il Parlamento affidano il Governo dell'Italia a Matteo Renzi, presentandocelo come l'ultima risorsa per questo Paese disastrato (salvo buttarlo a mare se fallirà), non riuscendo a stemperare la mia grande delusione venata di pessimismo, preferisco pensare ad altro e, per distrarmi, accetto di riproporre questa intervista telefonica a Pippo Pollina, pubblicata da un'amica comune su laspeziaoggi.it.






Pippo Pollina parla di sé, di politica e di musica, di Claudia Bertanza 
Giuseppe Pollina, in arte Pippo, (Lo sconosciuto che all’estero adorano) ha da poco pubblicato un nuovo cd, “L’appartenenza” ed è in tour con il Palermo Acoustic Quintet. A giorni arriverà in Italia (il 27 febbraio a Torino,  Teatro Dopo Lavoro Ferroviario, il 28 a Cattolica, Teatro della Regina, il 1° marzo a Verona,  Teatro Nuovo e il 2 marzo a Firenze Teatro Puccini). Lo raggiungo telefonicamente mentre sta tornando a casa sua, a Zurigo, per un giorno di riposo. Prima di venire in Italia, lo aspettano Salisburgo (il 25) e Innsbruck (il 26). Pippo è soddisfatto, il tour sta andando molto bene. 
Signor Pollina, lei vive fuori dall’Italia ormai da 30 anni. Tornerebbe a vivere qui?
No, decisamente. La vedo molto brutta per l’Italia, ma non tornerei soprattutto perché ormai la mia vita è qui, ci sono ragioni strettamente personali e poi sono abituato a un altro modo di vivere. 
E se i suoi figli decidessero di trasferirsi in Italia?
Augurerei loro buona fortuna, non mi sentirei di sconsigliarglielo. Se vogliono farlo, lo facciano pure. 
Perché, secondo lei, in Italia non riesce a “sfondare” del tutto?
Non ho un pubblico abbastanza numeroso da consentirmi di fare “il salto”, sono poco adatto e poco tipico per il grande pubblico. La mia sensibilità attrae una minoranza, ma la cosa positiva è che il mio è un pubblico fedele, non volubile come spesso accade in Italia. La fedeltà è più caratteristica del pubblico del Nord Europa, ma il mio pubblico, una volta che mi conosce, non mi lascia più. 
Zurigo, la sua città adottiva, le ha tributato, nel maggio scorso, una 3 giorni di concerti per i suoi 50 anni. A Palermo non ha organizzato nulla: potrebbe pensarci per i suoi 55 o 60 anni?  
No, è ancora lontano nel tempo per pensarci. Comunque non ci sono rimasto male, a Palermo ho un pubblico di 400-500 persone, troppo poche per un’organizzazione come quella di Zurigo, non c’erano i presupposti.
Parliamo di Sanremo. Lei si presentò alle selezioni, ma le sue canzoni furono bocciate. Vista la qualità delle canzoni, considerata bassa, le sarebbe piaciuto partecipare comunque o è felice che sia andata così?
Confermo la bassa qualità delle canzoni. In realtà a me non sarebbe realmente piaciuto partecipare, ma ho pensato, consigliato anche dai miei musicisti, che potesse essere utile, funzionale al mio successo in Italia. Ma sapevo già che non sarei passato, a Sanremo vai se sei in un certo giro, se conosci le persone giuste. 
Lei ha fatto molti duetti. C’è un artista con il quale le piacerebbe duettare?
Sì, Leonard Cohen. Altri al momento non me ne vengono in mente. Ci sono tanti bravi artisti, ma ho in mente solo lui. 
Se oggi dovesse scrivere un disco come “Ultimo volo” (opera dedicata alla strage di Ustica) c’è un avvenimento della storia italiana a cui vorrebbe dedicarlo?
No, non c’ho mai pensato. A certi dischi pensi quando hai del materiale, quando ti fanno una proposta. Certo nella storia italiana c’è tanto di cui scrivere e cantare, ad esempio tutto il discorso sulla Trattativa Stato-mafia. 
Ci dice qualcosa del suo ultimo disco?
E’ una sorta di riepilogo, che avevo in mente già da qualche tempo. Dopo la festa per i miei 50 anni, ho deciso che era il momento di scriverlo, è assieme un inizio e una fine. E “appartenenza” è una parola importante. Questo è un disco importante. 
Tra le canzoni che ha scritto, ce n’è una di cui va particolarmente fiero? E una di cui si vergogna?
Né l’una né l’altra. Ho canzoni che mi piacciono di più e altre che oggi non riscriverei, ma non faccio particolari diversificazioni tra loro.  
Parliamo di politica. Lei è di sinistra. Si riconosce nella sinistra di oggi?
No. Ho sempre votato i partiti minori, come Democrazia Proletaria, poi ho aderito al progetto della Rete (con Orlando, Dalla Chiesa, Fava), progetto che durò poco. Dopo essere stato del tempo senza votare, ho votato poi Rivoluzione Civile. Ma perdo sempre.  
Cosa ne pensa del Governo Renzi?
Mi ricordo un’intervista a Matteo Renzi di qualche tempo fa, in cui diceva  che gli sarebbe piaciuto diventare Presidente del Consiglio, ma solo tramite elezioni. Per me basta già questo, per presentarlo. Poi per carità, speriamo faccia cose buone per l’Italia. 
Qualche tempo fa ha gettato nello sconforto i suoi fan di FaceBook, annunciando un ritiro dalle scene temporaneo, che qualcuno scambiò per definitivo. E’ sempre di quell’idea?
Certamente. Finito questo tour, che durerà un anno e mezzo, mi prenderò una pausa, non so quanto lunga. Il giorno in cui mi ritirerò (e succederà) lo farò senza fare grandi annunci, almeno all’inizio. Credo siano scelte personali, da non sbandierare. Poi, siccome sicuramente qualcuno si chiederà dove sono finito, allora lo dirò.  
Pippo è in viaggio, la linea è un po’ disturbata, lo ringrazio, lo saluto e gli auguro in bocca al lupo per il tour. E gli dico che spero che il suo ritiro definitivo dalle scene sia ancora molto lontano nel tempo. (Claudia Bertanza)






Leggi anche:
Pippo Pollina - L’Appartenenza
pippopollina.com

20 febbraio 2013

Se non voti ti fai del male

Di questa canzone del Molleggiato condivido quasi tutto: il titolo, il refrain, il giudizio negativo sulla politica del nostro tempo, la corruzione, la distruzione del paesaggio; la posizione assunta contro il femminicidio, contro le pale eoliche, il leghismo secessionista, il condono tombale. 
La conclusione mi lascia piuttosto perplesso: il qualunquismo politico e l'endorsement all'onda nuova che avanzerebbe come un ciclone, l'onda populista figlia cieca della protesta rabbiosa che nella storia non ha prodotto mai niente di buono. 

Occorre sicuramente - come canta Celentano - andare a votare individuando la formazione che abbia un progetto chiaro e coerente per il futuro, in linea con le nostre aspettative e interessi. Occorre fare lo sforzo di rintracciare un partito non personale e liste con donne e uomini che meritano la nostra fiducia. Non seguire l'onda lunga, capace di distruggere ma non di edificare dalle macerie. 

CAMBIARE = RINNOVARE - NON DISTRUGGERE



16 febbraio 2013

Perché sto seguendo il Festival di Sanremo


Perché la Formula Fazio funziona: dà modo di ascoltare voci nuove e ben coltivate; offre musiche e testi ben selezionati; evita la sfilata di gnocche, gratuita e fine a se stessa; è straordinariamente innovativa pur mantenendo un legame positivo con la tradizione. 

Perché il tandem Fazio-Littizzetto è efficace, a tratti persino educativo. 

Perché tiene lontani per questa settimana da una campagna elettorale torbida e avvelenata: per fortuna, il venditore di piazza per antonomasia è fuori concorso e messo all'angolo; le sue mercanzie appaiono sempre più per quello che sono, improbabili patacche; le sue TV del cav... rimangono, almeno per una settimana, alla finestra. 

Perché si respira, finalmente, un po' d'aria pulita. 

So bene che fra pochi giorni si tornerà al clima arroventato che conosciamo; so bene che l'esito delle prossime elezioni è incerto quanto mai (ci darà, forse, un parlamento profondamente rinnovato a dispetto del porcellum) e assai difficile la formazione di un governo che ci tragga fuori dai guai. Temo, anzi, che torneremo presto alle urne. 

Ma godiamoci questa pausa felice con due momenti indimenticabili del Festival di Sanremo. 




04 marzo 2012

Ciao Lucio

Te ne vai con i tuoi angeli e le tue rondini dopo avere conosciuto la profondità del mare e il dramma dello stare al mondo; ci hai accompagnato per cinquant'anni con le tue canzoni ma la tua musica rimarrà con noi mentre tu raggiungerai le stelle.  

La Chiesa istituzionale ti concede funerali in San Petronio ma non vuole che nelle sue navate risuonino le tue note.  
Sono certo che esse riecheggeranno altissime in tutte le piazze e strade d'Italia.  



Certo, nessuno pensa di mettere un juke-box sull'altare di San Petronio o una pianola nel confessionale. Però fatico a comprendere quale danno produrrebbe alla dimensione spirituale dell'evento la presenza di un violinista che accogliesse l'ingresso della bara con gli accordi di 4 marzo 1943. La rigidità dei principi rimane un dono finché non si trasforma nell'incapacità di sintonizzarsi sul sentimento comune, su quella voce d'angelo che per sempre ci canterà "aspettiamo che ritorni la luce - di sentire una voce - aspettiamo senza avere paura domani". da Funeral party di Massimo Gramellini su La Stampa 



Quasi un testamento spirituale, la sua ultima Henna



Roberto Vecchioni: E’ stato il cantore di ogni sfumatura dell’affettività. Nei suoi versi comprende tutto l’umano, dal dramma dello stare al mondo a quello politico e sociale. C’è il senso del riscatto, la forza della rivincita. 
Andrea Mingardi: Mi sento come se avessi giocato finora a biliardo e all’improvviso il mio compagno non c’è più. 

L'ultima intervista: Io, l'amore, la musica
Dalla e la fede: In ogni uomo vedo Gesù
Quell’anarchico - religioso di Lucio Dalla
Lucio Dalla è un peccatore: no al funerale religioso

01 marzo 2012

4 Marzo 1943 - 1 Marzo 2012: la parabola esistenziale e artistica di Lucio Dalla, un Grande della musica italiana

Io lo ricordo così ... 


Se ne va in punta di piedi, così come era vissuto, con il suo aspetto clownesco e domestico anche nei travestimenti da barbone randagio, al culmine del successo, all'inizio dell'ultimo suo tour europeo


Ci lascia 50 anni di successi e un'attività artistica senza pari. 
Le sue canzoni Itaca, Il gigante e la bambina, 4/3/1943, Nuvolari, Come è profondo il mare, Quale allegria, L'ultima luna, Stella di mare, L'anno che verrà, Piazza Grande, Ma come fanno i marinai, Balla balla ballerino, Cara, Futura, Se io fossi un angelo, Caruso, Attenti al lupo, Apriti cuore, Canzone, Tu non mi basti mai, Telefonami tra vent'anni, Due dita sotto il cielo, Malinconia d'ottobre, fino a Nanì, presentata a Sanremo con il giovane Pierdavide Carone, hanno rappresentato la colonna sonora di molte generazioni. 




Se n'è andato ma la sua musica e i suoi testi continueranno a tenerci compagnia in questi anni bui e per molto altro tempo ancora. 

Addio Lucio, la tua morte improvvisa ci addolora come quella di un familiare. 

29 febbraio 2012

Perché consiglio i concerti di Pippo Pollina

- perché le sue canzoni fanno bene al cuore;

- perché i suoi amici sono i miei amici;

- perché l'arte, quando è tale, non può avere padroni
e non si prostituisce.  

In questo senso, e con immutata fiducia, vi comunico quindi le date del mio prossimo tour italiano nell'intima speranza di vedere tantissimi di voi in teatro. Il teatro, quel luogo dove si celebra la memoria, e che gli assassini delle coscienze stanno cercando di cancellare dal vocabolario comune di una società volgare e piegata dalla viltà. (P.P.)



Con queste parole Pippo Pollina chiude la nota in Facebook con cui annuncia il suo tour di  primavera in Italia, dopo aver denunciato la crisi, anche della cultura e delle arti, in cui affoga il nostro Paese. 

Il tour di Pippo che partirà il 26 marzo da FAENZA (RA), in Sicilia toccherà LICATA (AG) il 28 Marzo e PALERMO il giorno successivo. 
Il concerto abitare il sogno: un viaggio di musica e parole lungo 30 anni darà a Pippo l'opportunità di fare riferimento ad episodi e aneddoti tratti dal suo racconto autobiografico Abitare il sogno, scritto in collaborazione con Franco Vassia. Ma, soprattutto, di offrirci un'antologica della sua straordinaria produzione musicale, accompagnato dalla sua chitarra, dal suo pianoforte e dal sax di Gaspare Palazzolo.  





 


Voglio citare di Pippo un'altra nota, ospitata nel mio blog il 20 maggio 2010, in cui poesia e rimpianto per cose e persone di un tempo che fu diventano un unicum armonico.  
Quello che mi manca 
Sono donne e uomini. Sono pietre sicure su un cammino pieno di vento e di bugie distese al sole. Sono gli interpreti di utopie vecchie come il mattino che verrà. Sono gli occhiali di osso scuro di Pier Paolo Pasolini e le sue eresie in bianco e nero, le sue parole prestate all'arte senza un perchè... È il canto della terra di Mercedes Sosa, madre di ogni madre, voce dei disperati e di ogni dolore che recita la pioggia al contraio nei barrios sperduti dell'America latina... (Pippo Pollina)

19 febbraio 2012

Ivano Fossati dà l'addio alle scene con l'ultimo tour

Mentre il baraccone di Sanremo portava a termine il suo rito consunto, ieri al Geox di Padova oltre 2500 spettatori paganti celebravano Ivano Fossati che dava l'addio alle scene - come tutti i grandi artisti - con il suo Decadancing tour

In questo clima da tardo impero se la lingua che parliamo è in decadenza, se politica e morale sono già decadute, il lavoro manca e la cultura - la musica in particolare - ricopia se stessa fino allo sfinimento, i ragazzi guardano oltre le frontiere con speranza, e io non farei niente per trattenerli. Ivano Fossati 


Quelle che seguono sono le impressioni postate in fb da Roberta che ha assistito entusiasta al concerto di Ivano. 

Ieri al Teatro Geox di Padova si respirava poesia nelle parole e nelle note di Ivano Fossati, che si è esibito magistralmente alla chitarra, al pianoforte, all'armonica a bocca e al flauto traverso. Voce calda e avvolgente, composta e dimessa nei brevi racconti quasi in punta dei piedi, energica e vibrante nei brani musicali che hanno ripercorso in tre ore più di 30 anni di carriera. E mentre lui sembrava non voler più salutarci, il suo pubblico (più di 2500 persone) l'ha applaudito fino a farsi male alle mani quasi a non volerlo più lasciare andar via. E in quest'epoca di kermesse canore fatte sempre più spesso di riflettori abbaglianti, successi facili e canzonette di discutibile qualità, ieri a Padova abbiamo salutato un grande, e dico davvero Grande, della musica italiana. Roberta R. 
Il tour, che sta toccando tutti i maggiori teatri italiani, isole comprese, è un'occasione non solo per salutare il suo pubblico ma anche per presentare e raccontare l'album Decadancing, già anticipato dal singolo La Decadenza uscito a settembre. Il tema del singolo è la necessità dei giovani italiani costretti a dover guardare oltre confine per riuscire a trovare il proprio futuro, che invece in Italia viene loro troppo spesso negato.









Finalmente chiude Sanremo

Il festival più orrendo, banale, porno, ignorante, immorale, blasfemo, muffo, inutile, vergognoso, scemo che si ricordi (per citare Natalia Aspesi che cita gli opinionisti più accreditati). 

Hanno vinto tre giovani donne Emma, Arisa e Noemi (la bionda, la bruna, la rossa). Chissà che l'anno prossimo non si presentino assieme, con l'acronimo NEA! Sempre che il festival abbia una prossima edizione. 

Per me è stata la saga della scempiaggine, del vuoto a perdere, dell'approssimazione più spinta, delle farfalle in vetrina, delle prediche insulse e fuori contesto, delle foche in platea che fanno il verso alle foche sul palco. La vetrina perfetta di un paese in crisi - anche d'identità - e di un servizio pubblico allo sbando. 

Fatta eccezione per la serata dedicata agli ospiti stranieri, quando si è ascoltata buona musica con interpreti d'eccezione, di questa passerella del cattivo gusto si salva soltanto la performance di Rocco Papaleo e l'analisi finale, tra il comico e il sarcastico, di una straordinaria Geppi Cucciari. Su Celentano ho detto alla prima puntata, nient'altro da aggiungere.  


Resteranno, come al solito, le code polemiche e l'analisi dei dettagli nei contenitori rai del toto-pensiero che tutto mastica e ricicla. 


20 febbraio 2011

Vince al festival Roberto Vecchioni, celebreremo il 150° dell'Unità, ma questa rimane ancora un'Italia di m....

Non sono mai stato un nazionalista patriottardo, non ho mai avuto la pretesa di essere nato nel Paese più bello del mondo
Pur essendo consapevole della grandezza del nostro patrimonio culturale (artistico e scientifico, meno della nostra complessiva vicenda storica), della bellezza del nostro paesaggio, degli esempi dei grandi che, fulgidi, costellano il nostro passato, ho sempre pensato che da ogni cultura ci fosse sempre qualcosa da imparare. E mi sono, perciò, considerato cittadino del mondo, aperto e disponibile verso quanto di buono veniva da fuori. E più volte nella mia vita ho criticato l'italietta in cui vivevo, sbiadita immagine di un passato glorioso.

Ma di fronte al presente di un'Italia infognata negli scandali di chi la governa; di un presidente del consiglio che, pur di continuare a fuggire dai giudici, si dice deciso a riformare la Consulta e il Csm, che dopo aver baciato la mano del dittatore libico, dichiara di non volerlo disturbare nel momento della disgrazia; di un drappello di ministri leghisti che vota contro l'istituzione della giornata celebrativa del 150° dell'Unità mentre uno di loro vorrebbe anche abolire il 1° Maggio - Festa del Lavoro; di un ministro del partito di maggioranza che, insofferente alle domande di un giornalista, comincia a scalciarlo e poi  accusa quello di dargli calci e lo fa allontanare dalla sala; di un parlamento costituito da troppi indegni figuri, ondivaghi, che cercano di posizionarsi nel modo migliore, mossi soltanto dal proprio personale tornaconto; di giornali e TV diventati strumenti di disinformazione, calunnia e diffamazione (e mi fermo qua per poter tirare il fiato e consentire di farlo anche a chi mi legge); di fronte a tanta sconcia indecenza, dicevo, ci sarebbe da disperare se non vedessimo nelle piazze sollevarsi un'onda di sdegno; se non ascoltassimo con felice commozione la performance di Roberto Benigni a Sanremo; se non scoprissimo che la poesia di Vecchioni ha toccato il cuore degli Italiani.

Tutto questo é accaduto e accadrà ancora. E vedremo ancora, insieme alle donne, tanti uomini in piazza; ascolteremo l'incitamento, talvolta confuso ma appassionato nella sua leggerezza, di Benigni; sentiremo cantare dai ragazzi e dalle mamme ai loro piccoli chiamami ancora amore finché questo Paese, che ha ormai toccato il fondo, non avrà risalito la china per poter gridare, gridare un FINALMENTE !!! lungo e forte come un boato. 


Perché, tutto sommato, quest'Italia in cui siamo nati, noi l'amiamo! A dispetto e vergogna di quanti la infangano, anche dall'alto dei loro scranni.


Leggi anche Don giovanni all'inferno e Benigni in paradiso, di Eugenio Scalfari


Roberto Vecchioni vince il festival di Sanremo


Se non ora quando? Adesso!

19 febbraio 2011

Roberto Vecchioni e Roberto Benigni oltre Sanremo (due video)

Una straordinaria lezione di storia, un'ammonizione a chi vuole dividere, una dichiarazione d’amore verso l'umanità


Roberto Vecchioni al Festival di Sanremo canta Chiamami Ancora Amore: un canto che è un'invocazione.
Roberto Benigni al Festival di Sanremo canta l'Inno di Mameli: una marcia che diventa una meditazione.



Dai commenti al video in YouTube:
Conosco a memoria le canzoni di Roberto Vecchioni da quando ero un ragazzino sbarbato, che si guadagnava così le ironie dei compagni di classe per gusti così ricercati. Sarebbe straordinario se questa canzone vincesse il Festival, perché significherebbe che i prodotti commerciali preconfezionati e imballati dai mercanti della peggiore TV possono talvolta stufare addirittura il grande pubblico… Sarebbe un segno prezioso, una ragione in più per credere che la maledetta notte sta davvero per finire.

Questa canzone mi ha fatto venire i brividi.. Le lacrime.. E' una canzone profondissima, forse troppo per Sanremo dei giorni nostri.. Dove vince chi è sfornato da Amici.. E chi dopo 3 anni è già bello che dimenticato...

Il testo della canzone contiene le parole che io vorrei dire tutta la vita ai miei figli per affrontare la vita perché le idee sono voci di madre che credevano di aver perso
Grazie Roberto, abbiamo bisogno tutti delle tue canzoni per riempire i vuoti del cuore.

Vecchioni, poeta che ci incanti con le tue parole, tu che sfiori con la tua voce le celate emozioni del nostro animo, io ti ringrazio.
Alla tua musica solamente infatti io posso associare la maggior parte dei momenti più felici della mia vita. Mi hai cullata con le tue canzoni nella macchina quando andavo in vacanza con i miei, accarezzandomi dolcemente le orecchie, coprendo il suono del motore.
Spero che tu vinca e auguro a tutti di aprirti il cuore, poichè provino la gioia che provo io udendoti.




Dai commenti ai video in YouTube:
L'Inno, alla fine, cantato in quel modo, immaginando quel giovane ... m'ha fatta piangere. Non me l'aspettavo. Benigni dà sempre un senso più alto alle cose. Che tristezza questa Italia di oggi... Non c'è dignità vera, solo sopportazione. Ci vorrebbe davvero un nuovo risorgimento, ma senza sangue.

Non mi sembra vero che Benigni canti con quel tono, però comunque questa cosa mi fa riflettere, perchè il nostro paese potrebbe essere molto bello, se non ci fosse questa politica corrotta e se i giovani potessero capire l'importanza della cultura (lo dice una di 14 anni).

Grazie Grandissimo Roberto per la lezione che ci hai dato.Spero che presto molti di noi si sveglino dal sonno e incomincino a sognare un'Italia diversa degna dei padri che l'hanno creata.

Hai visto con che sdegno e superbia la prima fila guarda e struscia le mani invece di applaudire? Non hanno ne dignità ne un millesimo dell`orgoglio dei grandi di cui ha parlato Benigni. Ne tantomeno l`intelligenza per poter capire di cosa si parlava. indottrinati, venduti. Una decadenza e una malinconia vedere questi uomini e queste donne, si sentono i nuovi nobili, scelti da Dio. Intoccabili. Non devono dar di conto a nessuno. Quando anche a noi mancherà il pane forse ci sveglieremo.

22 gennaio 2011

Non so come ne usciremo

Non so se, come e quando ne usciremo ma, a vedere lo stallo e l'arrocco, mi sa che siamo messi molto male. Se questi nostri politici - si fa per dire - pensassero seriamente che le loro scelte e decisioni non rimangono sul piano del privato ma interessano il paese e contribuiscono a crearne il futuro, forse sarebbero molto più attenti a quello che fanno, dicono e propongono. Mi chiedo, adesso, quale futuro ci stiano preparando; come sia possibile che l'Italia normale, quella della gente comune, quella che vota e produce la tanto proclamata sovranità popolare, non entri nei loro pensieri e nel loro fare. A pensarci bene sarebbero lì per questo, delegati a gestire la cosa pubblica nell'interesse di tutti, in particolar modo dei meno fortunati. Assistiamo, invece, ad un pubblico, inverecondo mercimonio  di corpi e anime, di sogni e illusioni, di utilità e prebende.

Come potrà questo paese devastato da una classe politica indegna risalire la china? Quando potremo dire che abbiamo toccato il fondo per iniziare la risalita? Quali sono le colpe di noi cittadini che ci sforziamo di rispettare le leggi e siamo colpiti anche da quelle che non conosciamo - la legge non ammette ignoranza - per essere costretti a sopportare uno spettacolo indegno e rivoltante che sembra senza fine? 

Chi ha la forza e l'autorevolezza per dire: ADESSO BASTA! E non mi riferisco ad un uomo della provvidenza - non serve, abbiamo già dato e visto cosa può produrre. Quale autorità - intendo - quale istituzione democratica, quale organismo istituzionale, quale componente sociale può indicarci la via per uscire dalle sabbie mobili?

Come me, tante cittadine e cittadini sono smarrite/i e deluse/i, e non intravedono la luce all'orizzonte.
Forse, nell'attesa, assumendoci le nostre responsabilità, potremo riflettere su questa bella e profetica canzone di Battiato. Ascoltala, come se fosse stata scritta solo ieri.

26 dicembre 2010

Le COINCIDENZE di Sebastano Gulisano



Un racconto natalizio per pochi amici, di un autore che voglio far conoscere ad altri amici. Spero che non se l'abbia a male. Grazie Seba!

"Com’è andata venerdi?" Me l’ha chiesto più d’uno, magari scusandosi di non potere (prima) o di non avere potuto (dopo) esserci, ché la bambina malata, un impegno improvviso, la neve, il ghiaccio, il freddo, la pioggia a dirotto, il traffico impazzito… Nessuno me l’ha scritto, ma era come se in ogni messaggio, in ogni mail ci fosse un non detto… Ma che t’è saltato in mente di scegliere venerdì 17?! ’A Sebastià, vabbè non essere superstiziosi, ma cosa ti costava scegliere un altro giorno?!

Mica avevo chissà quali opzioni: potevo scegliere fra giovedì e venerdì. Ho scelto quest’ultimo perché, magari, non tutti l’indomani dovevano alzarsi presto per andare a lavorare, ché al Baffo della Gioconda avremmo fatto tardi. Dunque meglio venerdì. 17. Ma, appunto, io non sono superstizioso e venerdì 17 non mi fa né caldo né freddo. E poi è un pregiudizio solo italiano, fuori dai nostri confini il giorno da evitare è venerdì 13 e nell’era della “realizzazione” del villaggio globale, nell’epoca di internet, le superstizioni locali sono destinate a sparire, a essere soppiantate da quelle globali, a diventare segni identitari di sparute sette segrete antiglobalizzazione come i seguaci di Baal, gli adoratori di Massimo Ciancimino, gli adepti di Marco Pannella o i fan di Umberto Balsamo.
Se Halloween è riuscito a soppiantare persino la festa dei Morti, che dalle mie parti (Sicilia), prima dell’avvento delle televisione a colori, portavano i regali alle bambine e ai bambini (altro che Santa Claus e la Befana!), volete che stia lì a preoccuparmi di una stupida superstizione che serve a far soldi (allo Stato) col gioco del lotto?
Suvvia!
E poi, alzi la mano chi ha più di cinquant’anni e non ricorda Tranks God, it’s friday. Vabbè, io non sono credente, non mi è mai piaciuta la disco music e quel film non l’ho manco visto. Però  - direbbe  Guccini - "è venerdì, perdio!" È l’antipasto della Febbre del sabato sera. L’anticamera del fine settimana. Il preludio di Sex and drug and rock’n’roll. È il massimo della trasgressione.

In realtà, i segni premonitori del Venerdì Nero c’erano tutti. Occorreva saperli cogliere. Sarebbe bastato andare oltre le apparenze e non sottovalutare le coincidenze. Anche se quella domenica l’autobus non passava e alla metro ci sono dovuto andare a piedi.
Che c’entra la domenica? C’entra. Era domenica pomeriggio e avevo deciso di andare a trovare Riccardo, Gisella e Nicoletta, così ho attraversato quella discarica a cielo aperto che una tabella indica come «Parco Pettazzoni» per arrivare su via di Porta Furba e prendere il 409 fino all’Arco di Travertino. Però non avevo biglietti e il bar tabacchi di fronte alla fermata era chiuso, così m’è toccato dirigermi verso la fermata precedente, su via di Torpignattara, e provare in un altro bar tabacchi che, però, i biglietti li aveva terminati. A quello successivo, su via Rovetti, praticamente a due passi da casa – ma avevo percorso un paio di chilometri per arrivarci – ho trovato gli agognati «titoli di viaggio» e mi sono diretto alla fermata. Il tratto di via di Torpignattara tra la Casilina e via Rovetti era chiuso per feste natalizie, con le bancarelle in mezzo alla strada, le persone a fare compere e le luminarie viola a invogliare lo shopping. Per farla breve, era evidente che da lì il 409 non sarebbe passato e quindi sarebbe stato inutile aspettarlo su via di Torpignattara, ma dovevo tornare alla fermata di Porta Furba, dove prima c’era un sacco di gente in attesa.
Arrivo che non c’è più nessuno. Penso che l’autobus sia appena passato e mi dispongo psicologicamente all’attesa. Poi noto un cartello bianco affisso sotto la tabella gialla: «Fermata soppressa. Il servizio riprenderà dopo le ore 22». Ma come?! – dico fra me e me – Nel periodo in cui facevano i lavori il 409 che veniva dall’Acqua Bulicante deviava sulla Casilina, poi imboccava via Filerete, girava per via Aicardi e arrivava a Porta Furba. Non potevano far così anche ora? "Ma chi sono quegli intelligentoni che, all’Atac, organizzano le modifiche dei percorsi?!" Mi ritrovo a esclamare a voce alta. «Ha proprio ragione a definirli “intelligentoni”, me lo lasci dire: io all’Atac ci lavoro» mi fa eco una voce, alle mie spalle. Mi volto. La «voce» ha una faccia cordiale e un fisico asciutto da trentacinquenne infilato in una divisa da autista d’autobus. Facciamo la strada insieme e, come spesso capita fra sconosciuti, si finisce col discutere del tempo (sul calcio non potevo interloquire, non essendo tifoso di Roma o Lazio. Anzi: non essendo tifoso). Così vengo a sapere, strada facendo, che "è prevista una settimana di freddo intenso, con le temperature che, di notte, potrebbero arrivare anche a meno sei". Azz!
La cosa, a pensarci, non mi dispiace nemmeno, ché prima del meno sei c’è lo zero e – chissà – potrebbe anche nevicare e ci potrebbe scappare qualche scatto interessante. Male che vada, qualche scatto per documentare l’evento.
Incosciente. A cinque giorni dall’unica presentazione pubblica di  Porcilandia, mi metto a sperare che nevichi. Incosciente. Smidollato.
Senza contare che non ci voleva molto a capire che quello non era un semplice autista d’autobus, ma lo sciamano meteorologico dell’azienda dei trasporti che, per ripagarmi del mio senso civico (quando mai s’è visto uno col biglietto su una tratta di tre fermate fuori dalle rotte dei controllori?!), mi avvisava che sarebbe stato il caso di rinviare la presentazione del libro verso giornate meno infauste. Però, non potendo dirmi: «Salve, sono lo sciamano dell’Atac, farebbe bene a spostare l’appuntamento di venerdì 17 a un giorno meno sfigato», s’è vestito da autista e m’ha regalato le previsioni meteorologiche. A buon intenditor…
Ma non ho inteso. Pensavo alle foto. Così come non ho colto nemmeno il successivo segno premonitore.
Mercoledì, fra le mail, ne ho trovato una di Daniela che mi annunciava una delle cene a sorpresa delle Irregolari proprio per Venerdì 17. Ero dispiaciuto, ché erano fra il pubblico potenziale del Baffo e, invece, era possibile che con le loro leccornie mi sottraessero altri potenziali “porcilandesi”.
Anche lì, mi sarebbe bastato riflettere sul fatto che, da quando sono venute a stare a «Torpigna», le due volte che sono stato alle loro cene è piovuto a dirotto. Ed erano giorni normali, di quelli con date anonime di cui non gliene frega niente a nessuno, non soggetti a «disgrazie» o «disastri», giorni sui quali non grava alcuna «maledizione». Figurarsi cosa sarebbe potuto succedere di Venerdì 17. Quando, senza bisogno di essere credenti, chiunque sa che il diluvio universale si scatenò «il 17 del secondo mese»: mica c’è bisogno di avere letto la Bibbia, basta cercare su Wikipedia.
Non occorreva essere Einstein o Nostradamus per sommare la profezia dello sciamano dell’Atac con le precedenti piogge “Irregolari” e prevedere l’inevitabile catastrofe del Venerdì 17. Invece niente. Nisba. Sordo come una campana e cieco come Simone Martini, il protagonista di Almost blue.
Che c’entra Almost blue? C’entra, eccome! Dovete sapere che quando, nel 2000, ho iniziato a bazzicare la rete, quello era il mio nick, con l’aggiunta dell’anno di nascita: almostblue58. Amo quella canzone. Specie la versione live a Tokio di Chet. E mi piaceva la descrizione, in apertura del romanzo che l’ha reso famoso, con cui Lucarelli ne raccontava la percezione da parte di Simone. Anche se quella è la versione in studio, quella di Let’s get lost. 
 
"Il suono del disco che cade sul piatto è un sospiro veloce, che sa appena un po’ di polvere. Quello del braccio che si stacca dalla forcella è un singhiozzo trattenuto, come uno schioccare di lingua, ma non umido, secco. Una lingua di plastica. La puntina, strisciando nel solco, sibila pianissimo e scricchiola, una o due volte. Poi arriva il piano e sembrano le gocce di un rubinetto chiuso male e il contrabbasso, come il ronzio di un moscone contro il vetro di una finestra, e dopo la voce velata di Chet Baker, che inizia a cantare Almost blue.
A starci attenti, molto attenti, si può sentire anche quando prende fiato e stacca le labbra sulla prima a di almost, così chiusa e modulata da sembrare una lunga o. Al-most-blue… con due pause in mezzo, due respiri sospesi da cui si capisce, si sente che sta tenendo gli occhi chiusi.
Per questo mi piace Almost blue. Perché è una canzone che si canta a occhi chiusi."

Occhi chiusi, appunto. Solo uno con gli occhi chiusi poteva infilare nel suo romanzo i poliziotti protagonisti di quello di Lucarelli. Senza tenere conto che era Venerdì 17 anche quando è arrivato nelle sale cinematografiche il film di Alex Infascelli tratto dal romanzo: Venerdì 17 Novembre 2000. Anche di novembre, il mese dei defunti. Un cult della sfiga. Infatti il film è stato un mezzo flop, al botteghino, anche se ha collezionato un bel po’ di premi.
Con un simile precedente – altro che segni premonitori! – vai a sceglierti Venerdì 17??? Ebbene sì. Eppoi era dicembre, mica novembre. Sebbene i due mesi siano pericolosamente confinanti. Ma, appunto, non ho pregiudizi e, dunque, non ho nulla da temere.
Da quando Sua Innocenza è trapassato e lei è rimasta disoccupata, Vera Storia mi si è appiccicata come un francobollo su una cartolina. Dice che, per redimersi, vuole diventare la Vera Storia di Sebastiano Gulisano. Le ho spiegato che non mi serve una biografa, ché con la scrittura me la cavo discretamente, ma non c’è stato verso di scollarmela di dosso. Peggio dell’edera col palo della luce davanti a casa di Emiliano e Antonella. Con la differenza che né i francobolli né l’edera stanno li a rinfacciarti nulla: Ti sei divertito a fare nevicare a Roma dopo 25 anni, nel tuo romanzetto? Ti sei sentito profetico quando, venerdì 12 febbraio, è nevicato davvero? Pensavi di essertela cavata, eh?! Be’, beccati la neve a Roma venerdì 17 dicembre, così impari!
Perfida.

A me le superstizioni fanno un baffo, mi scivolano addosso come gocce di pioggia su un’incerata; gli vado incontro col sorriso beffardo e le braccia aperte al “nemico” come la giovane manifestante immortalata il 14 dicembre di fronte a un celerino incazzato e pronto a manganellarla. O come lo studente cinese davanti ai carrarmati a Tian An Men. E le “piglio” di santa ragione. Come quella volta che il motore della 127 decise di spirare sull’A1, poco prima del casello di Chiusi-Chianciano. Gianfranco e Riccardo, quando seppero, stettero a sghignazzare e a sfottermi ferocemente, per settimane.
Qualche era geologica fa, in una delle redazioni che ho frequentato, c’era un nome che non si poteva pronunciare. I superstiziosi, quando proprio dovevano nominarlo, lo chiamavano «L’Innominabile». Non era parente dell’Innominato del Manzoni, né apparteneva alla stessa categoria di persone. Era un collega, anzi un amico. Aveva trovato posto in un quotidiano nazionale dopo che un neoassunto era morto in seguito a un tumore fulminante. Dicevano. E si toccavano scaramanticamente. Se ne raccontavano anche altre, ma questa le oscurava tutte. Ricordo, però, che – coincidenze, solo coincidenze – quando telefonava in redazione c’era qualche quadro che si stancava di stare appeso alla parete, piegandosi alla legge di Newton. Ricordo anche quella volta che venne a trovarci, in redazione, e ci fu il black out. Solo da noi. Altrove la luce c’era. Solo da noi mancava. Era giorno di chiusura, nel senso che il giornale – un mensile – doveva andare in tipografia. Ma i materiali erano tutti nei computer. E senza energia elettrica erano diventati inviolabili.
Ricordo anche quella volta che, con Gianfranco, pubblicammo per la prima volta un’inchiesta su un settimanale nazionale. Per un errore redazionale, le firme diventarono tre. La terza era la sua, dell’Innominabile. Beccammo due querele. Il giorno dell’udienza preliminare arrivammo a Roma, da Catania, di prima mattina e, prima di prendere la coincidenza che ci avrebbe portato in tempo nella città in cui aveva sede il tribunale competente a giudicare i nostri “reati”, comprammo un settimanale nazionale, ché c’era da dimostrare un dettaglio legato alla data d’uscita in edicola dei settimanali. Durante il viaggio ci mettemmo a sfogliarlo e a leggere qualche articolo. Finché non arrivammo alle pagine di scienze. C’era un pezzo sul ritorno del colera. Firmato dall’Innominabile. Gianfranco ebbe un sussulto. Io ridevo. Alla fine, a malincuore, acconsentii a disfarci della pubblicazione, che lasciammo sul sedile del treno regionale; all’arrivo comprammo un altro settimanale da esibire al magistrato. Manco a dirlo, ci rinviarono a giudizio. Me e Gianfranco, ché L’Innominabile aveva immediatamente scritto al giornale per segnalare l’errore e all’udienza produsse la copia della rivista in cui veniva riportata la rettifica.
Il giorno appresso, sul Messaggero, leggemmo una notizia che ci lasciò basiti: quel treno regionale era deragliato lungo la via del ritorno. Né vittime, né feriti, per fortuna. Abbiamo rischiato di provocare una strage? Ma no! Davvero credete a ’ste cose?! Lo sanno tutti quanto siano obsoleti treni e rete ferroviaria. Mica c’entra l’articolo sul ritorno del colera scritto dall’Innominabile.
Io, infatti, non ci credo. Così, anni dopo, quando alla Festa dell’Unità di Modena trovai un Suo libro (“Suo” di Lui, sì) che m’interessava, non esitai nemmeno un attimo a comprarlo. Coincidenza volle che, sull’A1, mentre tornavamo a Roma, poco prima dello svincolo di Chiusi-Chianciano la fedele 127 decise di fondere il motore, dopo dieci anni di onorato servizio. Quando arrivò il carro attrezzi, il meccanico fu così gentile da prenderci a bordo, la mia compagna e me. C’era da decidere dove farci lasciare: lei voleva andare in stazione (era domenica sera e c’era sciopero dei treni), io preferivo l’albergo proprio all’uscita dello svincolo. Passò la mia opzione. Non intendevo correre il rischio di restare in una sperduta stazioncina appenninica, ché il tipo ce ne aveva proposta una che stava lungo il suo percorso, una dove fermavano solo i treni locali, che di domenica sono ridotti e, in più, c’era lo sciopero. E poi avevo il “piano di riserva”. Gabriele era andato a Parma, a vedere Parma-Lazio. Gli telefonai dall’hotel, lo ragguagliai sinteticamente della disavventura e gli chiesi se, tornando, potesse passare a recuperarci. Bien, siamo salvi.
Poco prima di mezzanotte squillò il telefono in camera. Una persona chiedeva di me. Al telefono. E chi poteva chiedere di me, se nessuno sapeva che stavo in quell’albergo? Era Gabriele. Gli era rimasto il numero sul cellulare, fra le telefonate in arrivo. Che fortuna! Chiamava per avvertirmi che non sarebbe potuto passare quella sera, ma l’indomani mattina. Aveva fuso il motore. Anche lui. La macchina nuova del padre. Nuova. Aveva fuso il motore.
L’indomani, in redazione, si discuteva di disavventure e coincidenze (due motori fusi e una delle due macchine era nuova!), quando, candidamente confessai il mio ultimo acquisto cartaceo. Noooooooo!!! – gridò Gianfranco – Ma tu sei pazzo! Te le vai proprio a cercare! E, non contento, coinvolgi altri nella tua follia!!! E giù a ridere. A sputtanarmi con altri amici e colleghi ai quali era nota la nomea dell’Innominabile e anche con coloro che nulla sapevano, ma che furono lestamente edotti, con dovizia di dettagli. Vidi la mia autorevolezza di vice caposervizio interni evaporare come l’acqua del radiatore della 127 prima di esalare l’ultimo sferragliamento.
Lauretta, che in passato ci aveva sempre guardati con la faccia seria e l’espressione di rimprovero, ogni qual volta balenava qualche avvisaglia di superstizione, quella volta sbiancò: Il libro era quello così e cosà? Non citò l’autore né il titolo, cercò di farmi capire limitandosi all’argomento, cruento. Assai cruento. L’aveva acquistato anche lei. Ed era rimasto sulla nostra macchina dove, dunque, c’erano ben due copie di quella pubblicazione. Non lo rivoglio, gettalo via, sussurrò in un fil di voce. Da quel giorno smise lo sguardo di rimprovero di fronte a certi argomenti.
Coincidenze, cara Lauretta, solo coincidenze. Spero che a distanza di così tanti anni te ne sia convinta anche tu. Io ne sono certo. Infatti l’unica “presentazione” di Porcilandia è stata Venerdì 17. È nevicato. È piovuto a dirotto fino a notte inoltrata. Le strade erano ghiacciate e il traffico romano impazzito. Ed eravamo così pochi che ricordo tutte le eroiche e gli eroici partecipanti che hanno osato sfidare la bufera e la “maledizione” pur di esserci: Claudio (che “presentava” il mio libro); Marcello, Lorenza e Monica (compagna del Baffo della Gioconda); Riccardo, Gisella e Nicoletta (amici siciliani che vivono anche loro a Roma); Francesco, Silvia e Veronica (amici “nuovomondisti”); Annapaola e Lavinia (amiche e colleghe con le quali, fra l’altro, ho condiviso esperienze lavorative e la sessione d’esami per “diventare” giornalisti). Poi c’erano Felice (insegnante precario, amico di Gisella) e Daniela (collega che conosco da poco tempo). E, last but not least, Luigina, con la quale convivo da ormai sedici anni (anticamera di diciassette).
Una serata fra amici. Una serata con persone che mi vogliono bene. E che sono ricambiate. Però sono stato un pessimo “padrone di casa” e me ne scuso: ero l’elemento di congiunzione tra i presenti ma non vi ho presentati. Ho visto, comunque, che malgrado il mio stare con la testa fra le nuvole fino a rasentare la maleducazione, vi siete mischiati come se vi conosceste da sempre.
Grazie. Mi avete regalato una bella serata. Venerdì 17 dicembre 2010!
Chet Baker - Almost blue


Grazie Seba, leggerti è sempre un piacere, è come se ci fossi stato, venerdì 17 dicembre 2010. Ma la prossima non vorrò assolutamente mancare, se la data sarà meno coincidente!

Il miglior motore di ricerca