Informazioni personali

La mia foto
Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

Benvenuto nel mio blog

Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

Se vuoi scrivermi, usa il seguente indirizzo: mieidee@gmail.com
Visualizzazione post con etichetta resistenza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta resistenza. Mostra tutti i post

19 ottobre 2017

Le coincidenze

Fino a qualche settimana fa nutrivo il serio proposito di non andare a votare, sia per la prova deludente offerta dai governi della Regione Sicilia la cui autonomia è servita a costituire caste insopportabili di privilegiati e moltitudini di clienti, sia per l'ignobile legge elettorale che il Parlamento si accinge a propinarci, intesa a favorire le grandi ammucchiate falsando ingannevolmente l'intenzione dell'elettore.
Poi una giovane docente, che sta facendo con i suoi allievi una ricerca sulla libertà di pensiero, mi ha richiesto la traduzione del pamphlet di Stéphan Hessel Indignatevi! che avevo pubblicato in un post di questo blog. Con piacere gliel'ho fornito e rileggendolo ho trovato tutti i motivi per indignarsi e qualche stimolo ad impegnarsi. 
Ho deciso, perciò, che continuerò a votare selezionando, fior da fiore, formazione politica e candidati (pochi, per la verità) che hanno dimostrato con la loro coerenza e onestà di voler impegnarsi per garantire equità e giustizia sociale, combattendo abusi, corruzione e criminalità organizzata. 

Successivamente ho scoperto che domani corre il 1° centenario della nascita dell'illustre diplomatico. Allora ho deciso di dedicargli questo post ripubblicando la mia traduzione di Indignatevi! opportunamente revisionata, assieme ad una nota bibliografica sull'autore.


INDIGNATEVI!  di Stéphane Hessel 
Indignatevi! 93 anni. È un po' l'ultima tappa. La fine non è più lontana. Quale fortuna potere approfittare per ricordare ciò che è servito di zoccolo al mio impegno politico: gli anni della resistenza ed il programma elaborato sessantasei anni fa per il Consiglio Nazionale della Resistenza! Dobbiamo a Jean Moulin, nella cornice di quel Consiglio, la riunione di tutti i componenti della Francia occupata, i movimenti, i partiti, i sindacati, per proclamare la loro adesione alla Francia combattente ed al solo capo che si riconosceva: il Generale de Gaulle. Da Londra, dove lo avevo raggiunto nel marzo 1941, apprendevo che questo Consiglio aveva messo a punto un programma, l'aveva adottato il 15 marzo 1944 e proposto per la Francia liberata un insieme di principi e di valori sui quali sarebbe stata riposta la democrazia moderna del nostro paese.
Di questi principi e di questi valori, abbiamo oggi più che mai bisogno. Dobbiamo badare tutti insieme che la nostra società resti una società di cui possiamo essere fieri: non questa società dei clandestini, delle espulsioni, dei sospetti al riguardo degli immigrati, non questa società dove si rimettono in discussione le pensioni, le conquiste della Sicurezza sociale, non questa società dove i media sono nelle mani dei benestanti, tutte cose che avremmo negato di garantire se fossimo stati i veri eredi del Consiglio Nazionale della Resistenza.
A partire dal 1945, dopo un dramma atroce, le forze presenti in seno al Consiglio della Resistenza si dedicano ad una ambiziosa risurrezione. Ricordiamolo, allora fu creata la Sicurezza sociale come la Resistenza la prefigurava, come il suo programma la definiva: “Un piano completo di Sicurezza sociale, mirante ad assicurare a tutti i cittadini i mezzi di sussistenza, in tutti i casi in cui sono incapaci di procurarseli con il lavoro”; “Una pensione che permetta ai vecchi lavoratori di finire dignitosamente i loro giorni”. Le fonti energetiche, l'elettricità e il gas, le miniere di carbone, le grandi banche sono nazionalizzate. È ciò che questo programma raccomandava ancora: “il ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione monopolizzata, frutto del lavoro comune, delle sorgenti di energia, delle ricchezze del sottosuolo, delle compagnie di assicurazione e delle grandi banche”; “L'instaurazione di una vera democrazia economica e sociale, implica l'esclusione dei grandi feudi economici e finanziari dalla direzione dell'economia".
L’interesse generale deve prevalere sull'interesse particolare, l’equa distribuzione delle ricchezze create dal mondo del lavoro prevalere sul potere del denaro. La Resistenza propose “un'organizzazione razionale dell'economia che assicuri la subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale, affrancata dalla dittatura professionale instaurata sull’esempio degli Stati fascisti”; ed il Governo provvisorio della Repubblica se ne fece portavoce.
Una vera democrazia ha bisogno di una stampa indipendente; la Resistenza lo sa, lo esige, difendendo “la libertà della stampa, il suo onore e la sua indipendenza rispetto allo Stato, al potere del denaro e alle influenze straniere”. Questo è ciò che riferiscono ancora le ordinanze sulla stampa, fin da 1944. Ora è proprio questo che oggi è in pericolo.
La Resistenza ci chiamava alla “possibilità effettiva per tutti i bambini francesi di beneficiare dell'istruzione più avanzata”, senza discriminazione; ora, le riforme proposte nel 2008 vanno contro questo progetto. Dei giovani insegnanti di cui sostengo l'azione, si sono rifiutati di applicarle ed hanno visto i loro stipendi mutilati per punizione. Si sono indignati, hanno “disubbidito", hanno giudicato queste riforme troppo lontane dall'ideale della scuola repubblicana, troppo al servizio di una società del denaro e non più in grado di sviluppare lo spirito creativo e critico.
È tutto lo zoccolo delle conquiste sociali della Resistenza che è rimesso oggi in discussione.

Movente della resistenza è l'indignazioneC’è chi ha il coraggio di sostenere che lo Stato non può assicurare più i costi di queste misure civili e sociali. Ma come può mancare oggi il denaro per mantenere e prolungare queste conquiste dal momento che la produzione di ricchezze è aumentata considerevolmente dalla Liberazione, periodo in cui l'Europa era in rovina? Se non perché il potere del denaro, così combattuto dalla Resistenza, non è stato mai tanto grande, insolente, egoista, coi suoi propri servitori fino alle più alte sfere dello Stato. Le banche oramai privatizzate si mostrano in primo luogo preoccupate dei loro dividendi, e dei cospicui stipendi dei loro dirigenti, non dell'interesse generale. La distanza tra i più poveri e i più ricchi non è stata mai tanto rilevante; e la corsa al denaro, la competizione, tanto incoraggiata.
Il motivo di base della Resistenza era l'indignazione. Noi, veterani dei movimenti di resistenza e delle forze combattenti della Francia libera, chiamiamo le giovani generazioni a far rivivere, trasmettere, l'eredità della Resistenza ed i suoi ideali. Diciamo loro: prendete il testimone, indignatevi! I responsabili politici, economici, intellettuali e l'insieme della società non devono disorientarsi, né lasciarsi impressionare all'attuale dittatura internazionale dei mercati finanziari che minaccia la pace e la democrazia.
Auguro a tutti voi, a ciascuno di voi, di avere il vostro motivo di indignazione. È una cosa preziosa. Quando qualche cosa vi indigna come mi sono indignato io per il nazismo, allora si diventa militante, forte ed impegnato. Si raggiunge la corrente della storia e la grande corrente della storia deve proseguire grazie a ciascuno. E questa corrente va nel senso di una maggiore giustizia, di più libertà ma non questa libertà incontrollata della volpe nel pollaio.
Questi diritti di cui la Dichiarazione universale ha redatto il programma nel 1948, sono universali. Se incontrate qualcuno che non ne beneficia, compiangetelo, aiutatelo a conquistarli.

Due visioni della storiaQuando provo a comprendere ciò che ha causato il fascismo che ha fatto sì che fossimo invasi dallo stesso e da Vichy, mi dico che i possidenti, col loro egoismo, hanno avuto terribilmente paura della rivoluzione bolscevica. Essi si sono lasciati guidare dalle loro paure. Ma se, oggi come allora, una minoranza attiva si drizza, ciò basterà, avremo il lievito affinché la pasta gonfi. Certo, l'esperienza di uno molto anziano come me, nato nel 1917, si differenzia dall’esperienza dei giovani di oggi. Io chiedo spesso ai professori dei licei di poter dialogare con i loro alunni, e dico loro: voi non avete le stesse ragioni evidenti di impegnarvi. Per noi, resistere, era non accettare l'occupazione tedesca, la disfatta. Era relativamente semplice. Semplice come ciò che ne è seguito, la decolonizzazione. Poi la guerra dell'Algeria. Occorreva che l'Algeria diventasse indipendente, era evidente. In quanto a Stalin, abbiamo applaudito tutti alla vittoria dell'armata rossa contro i nazisti, nel 1943.
Ma già da quando si ebbe consapevolezza dei grandi processi stalinisti del 1935, anche se bisognava mostrare attenzione verso il comunismo per controbilanciare il capitalismo americano, la necessità di opporsi a questa forma insopportabile di totalitarismo si impose come un'evidenza. La mia lunga vita mi ha dato una sequela di ragioni per indignarmi. Queste ragioni sono state prodotte più da una volontà di impegno che da un'emozione. Il giovane normale che ero, era stato molto segnato da Sartre, un compagno maggiore. La Nausea, Il Muro, non L’Essere e il nulla, sono stati molto importanti nella formazione del mio pensiero. Sartre ci ha insegnato a ricordare: Voi siete responsabili in quanto individui. Era un messaggio libertario. La responsabilità dell’uomo che non può affidarsi né ad un potere né ad un dio. Al contrario, bisogna impegnarsi in nome della propria responsabilità di persona umana. Quando sono entrato alla scuola normale di via d’Ulm, a Parigi, nel 1939, io ci entravo come fervente discepolo del filosofo Hegel, e seguivo il seminario di Maurice Merleau-Ponty. Il suo insegnamento esplorava l’esperienza concreta, quella del corpo e delle sue relazioni col senso, grande singolare espressione al plurale dei sensi. Ma il mio ottimismo naturale, che vuole che tutto ciò che è augurabile sia possibile, mi portava piuttosto verso Hegel. La filosofia hegeliana interpreta la lunga storia dell’umanità come avente un senso: è la libertà dell’uomo che progredisce tappa dopo tappa.
La storia è fatta di shock successivi, è la messa in conto di sfide. La storia delle società progredisce, e finalmente, quando l’uomo raggiunge la sua piena espressione, abbiamo lo stato democratico nella sua forma ideale.

Esiste certamente un’altra concezione della storiaI progressi fatti nella libertà, la competizione, la corsa al "sempre di più", tutto questo può essere vissuto come un uragano distruttivo. Così lo rappresenta un amico di mio padre, l’uomo che ha diviso con lui il compito di tradurre in tedesco À la Recherche du temps perdu di Marcel Proust. È il filosofo tedesco Walter Benjamin. Egli aveva tratto un messaggio pessimista da un quadro del pittore svizzero, Paul Klee, l'Angelus Novus, dove la figura dell’angelo apre le braccia come per contenere e respingere una tempesta che identifica col progresso. Per Benjamin che si suiciderà nel settembre 1940 per sfuggire al nazismo, il senso della storia è l'avanzamento irresistibile di catastrofe in catastrofe.

L’indifferenza: il peggiore degli atteggiamentiÈ vero, le ragioni di indignarsi possono sembrare oggi meno nette o il mondo troppo complesso. Chi comanda, chi decide? Non è sempre facile distinguere tra tutte le correnti che ci governano.
Non si tratta più di una piccola élite di cui comprendiamo chiaramente l’operato. È un vasto mondo che sappiamo bene essere interdipendente.
Viviamo in una interconnettività come non era mai esistita. Ma in questo mondo, ci sono delle cose insopportabili. Per vederle, bisogna bene guardare, cercare. Dico ai giovani: cercate un poco, andate a trovare. Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire “io non posso niente, me ne infischio". Comportandovi così, perdete una delle componenti essenziali che ci fa essere uomini. Una delle componenti indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne è la diretta conseguenza.
Si possono identificare già due grandi nuove sfide:
1. L’immensa distanza che esiste tra i molto poveri e i troppo ricchi, che non cessa di aumentare. È un mutamento del XX e del XXI secolo. I molto poveri nel mondo d’oggi guadagnano appena due dollari al giorno. Non si può lasciare che questa forbice si allarghi ancora. Questa sola constatazione deve suscitare un impegno.
2. I diritti dell’uomo e lo stato del pianeta. Ho avuto la fortuna dopo la Liberazione di essere associato alla redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Organizzazione delle Nazioni unite, il 10 dicembre 1948, a Parigi, al palazzo di Chaillot. Nella funzione di capo di gabinetto di Henri Laugier, segretario generale aggiunto dell’ONU, e di segretario della Commissione dei Diritti dell’uomo, assieme ad altri, sono stato ammesso a partecipare alla redazione di questa dichiarazione. Non potrei dimenticare, nella sua elaborazione, il ruolo di René Cassin, commissario nazionale alla Giustizia e all'educazione del governo della Francia libera, a Londra, nel 1941, premio Nobel della pace nel 1968; né quello di Pierre Mendès France in seno al Consiglio economico e sociale cui i testi che elaboravamo erano sottoposti, prima di essere esaminati dalla Terza commissione dell'assemblea generale, responsabile delle questioni sociali, umanitarie e culturali.
Essa contava i cinquantaquattro Stati membri, all'epoca, delle Nazioni unite, ed io ne assicuravo la segreteria.
Per l'appunto a René Cassin dobbiamo il termine di diritti “universali” e non “internazionali” come proponevano i nostri amici anglosassoni. Perché è proprio lì la scommessa a uscire dalla seconda guerra mondiale: emanciparsi dalle minacce che il totalitarismo ha fatto pesare sull’umanità.
Per emanciparsi, bisogna ottenere che gli Stati membri dell’ONU si impegnino a rispettare questi diritti universali. È un modo di sventare l'argomento della piena sovranità che uno Stato può fare valere mentre si dedica ai crimini contro l'umanità sul suo suolo. Questo fu il caso di Hitler che si stimava padrone di se stesso ed autorizzato a provocare un genocidio. Questa dichiarazione universale deve molto alla repulsione universale contro il nazismo, il fascismo, il totalitarismo, e inoltre, per la nostra presenza, allo spirito della Resistenza. Sentivo che bisognava fare rapidamente, non lasciarsi ingannare dall’ipocrisia che c'era nell'adesione proclamata dai vincitori a questi valori che non tutti avevano l'intenzione di promuovere in modo leale, ma che noi tentavamo di imporre loro.
Non resisto alla voglia di citare l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo: ogni individuo ha diritto ad una nazionalità"; l’articolo 22: “Ciascuno, in quanto membro della società, ha diritto alla Sicurezza sociale; essa è intesa a garantire ad ogni uomo la soddisfazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità, grazie allo sforzo nazionale ed alla cooperazione internazionale, tenuto conto dell’organizzazione e delle risorse di ciascun paese”. E se questa dichiarazione ha una portata dichiarativa, e non giuridica, non ha giocato un ruolo meno rilevante dopo il 1948; si sono visti popoli colonizzati impadronirsene nella loro lotta di indipendenza; ha inseminato gli spiriti nella lotta per la libertà.
Constato con piacere che nel corso degli ultimi decenni si sono moltiplicate le organizzazioni non governative, i movimenti sociali come Attac (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie), il FIDH (Federazione internazionale dei Diritti dell’uomo), Amnesty... che sono attive e ad alto rendimento. È evidente che per essere efficaci oggi, bisogna agire in rete, approfittare di tutti i mezzi moderni di comunicazione.
Ai giovani, dico: guardate intorno a voi, voi ci troverete i temi che giustificano la vostra indignazione – il trattamento riservato agli immigrati, agli illegali, ai Roms. Troverete delle situazioni concrete che vi portano a dare corso ad un'azione civica forte. Cercate e troverete!

La mia indignazione a proposito della PalestinaOggi, la mia principale indignazione riguarda la Palestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania. Questo conflitto è causa per me di grande indignazione. Occorre assolutamente leggere il rapporto Goldstone del settembre 2009 su Gaza, nel quale questo giudice sud-africano, ebreo che si dice anche sionista, accusa l'esercito israeliano di avere commesso, durante l’operazione "Piombo fuso" durata tre settimane, “atti assimilabili a crimini di guerra e forse, in certe circostanze, a crimini contro l’umanità”. Io stesso sono tornato a Gaza, nel 2009, dove sono potuto entrare con la mia donna grazie ai nostri passaporti diplomatici, per valutare de visu ciò che questo rapporto sosteneva. Le persone che ci accompagnavano non sono state autorizzate ad addentrarsi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Abbiamo visitato anche i campi di profughi palestinesi assegnati fin da 1948 dall’Agenzia delle Nazioni unite, l’UNRWA, dove più di tre milioni di Palestinesi, cacciati dalle loro terre da parte d'Israele, aspettano un rientro sempre più problematico. In quanto a Gaza, è una prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di Palestinesi. Una prigione dove si organizzano per sopravvivere. Più delle distruzioni materiali come quella dell'ospedale della Mezzaluna rossa da parte di "Piombo fuso", è il comportamento degli abitanti di Gaza, il loro patriottismo, il loro amore del mare e delle spiagge, la loro costante preoccupazione del benessere dei loro bambini, innumerevoli e ridenti, che persiste nella nostra memoria. Siamo stati impressionati dal loro ingegnoso modo di fare fronte a tutte le penurie che devono sopportare. Li abbiamo visti preparare dei mattoni senza cemento per ricostruire le migliaia di case distrutte dai carri. Ci è stato confermato che durante l’operazione "Piombo fuso" condotta dall’esercito israeliano, ci sono stati millequattrocento morti - donne, bambini, vecchi confinati nel campo palestinese - contro solamente cinquanta feriti israeliani. Condivido le conclusioni del giudice sud-africano. Che gli Ebrei possano perpetrare, proprio loro, dei crimini di guerra, è insopportabile. Ahimè, la storia offre pochi esempi di popoli che traggano insegnamento dalla propria storia.
Lo so, Hamas che ha vinto le ultime elezioni legislative non ha saputo evitare che fossero lanciati razzi sulle città israeliane in risposta alla situazione di isolamento e di blocco nella quale si trovano gli abitanti di Gaza. Penso evidentemente che il terrorismo sia inaccettabile, ma bisogna riconoscere che quando si è occupati con mezzi militari infinitamente superiori a quelli di cui si dispone, la reazione popolare non può che essere violenta.
Torna utile ad Hamas lanciare razzi sulla città di Sdérot? La risposta è no. Ciò non favorisce la sua causa, ma questo gesto si può spiegare con l’esasperazione degli abitanti di Gaza. Nella nozione di esasperazione, bisogna comprendere la violenza come uno spiacevole esito rispetto alle inaccettabili condizioni subite. Allora, si può dire che il terrorismo è una forma di esasperazione. E che questa esasperazione è un termine negativo. Non si dovrebbe esasperare, occorrerebbe sperare. L’esasperazione nasce da una negazione di speranza. Comprensibile, direi quasi naturale, ma ugualmente inaccettabile. Perché non permette di ottenere i risultati che può eventualmente produrre la speranza.

La non-violenza, la strada che dobbiamo imparare a seguireSono convinto che il futuro appartiene alla non-violenza, alla conciliazione tra culture differenti. È per questa via che l'umanità dovrà affrontare con successo la sua prossima tappa. In ciò sono d’accordo con Sartre, non possiamo giustificare i terroristi che gettano bombe, li possiamo comprendere. Sartre nel 194l scrive: “Riconosco che la violenza sotto qualunque forma si manifesti è un insuccesso. Ma è un insuccesso inevitabile perché viviamo in un universo di violenza. E se è vero che dal ricorso alla violenza resta la violenza che rischia di perpetuarsi, è anche vero che è l'unico modo per farla cessare”.
Al che aggiungerei che la non-violenza è un mezzo più sicuro per farla cessare. Non si possono sostenere i terroristi in nome di questo principio, come ha fatto Sartre durante la guerra d'Algeria o all'epoca dell'attentato contro gli atleti israeliani in occasione dei giochi di Monaco del 1972. Non è efficace e Sartre finirà per interrogarsi alla fine della sua vita sul senso del terrorismo e a dubitare della sua ragion d'essere. Dire “la violenza non è efficace", è più importante che sapere se dobbiamo condannare o no coloro che si dedicano ad essa. Il terrorismo non è efficace. Nella nozione di efficacia, occorre una speranza non violenta. Una speranza violenta si trova nella poesia di Guillaume Apollinaire: “Le Pont Mirabeau”; non in politica. Sartre, nel marzo 1980, a tre settimane dalla sua morte, dichiarava: Occorre provare a spiegare che il mondo d’oggi, che è orribile, è solamente un momento nel lungo sviluppo storico, che la speranza è sempre stata una delle forze dominanti delle rivoluzioni e delle insurrezioni, che considero ancora la speranza come la mia concezione riguardo al futuro."
Bisogna comprendere che la violenza volge la schiena alla speranza. Bisogna preferirle la speranza, la speranza della non-violenza. È la strada che dobbiamo imparare a seguire. Sia da parte degli oppressori che degli oppressi, bisogna arrivare ad un negoziato per sconfiggere l’oppressione; questo permetterà di vincere la violenza terroristica. Perché non si deve lasciare accumulare troppo odio.
Il messaggio di un Mandela, di un Martin Luther King, trova tutta la sua pertinenza in un mondo che ha superato lo scontro ideologico ed il totalitarismo di conquista. È un messaggio di speranza nella capacità delle società moderne di superare i conflitti tramite la comprensione reciproca ed una pazienza vigile. Per giungere a ciò, bisogna basarsi sui diritti la cui violazione, chiunque ne sia responsabile, deve provocare la nostra indignazione. Non si deve transigere su questi diritti.

Per un’insurrezione pacificaHo notato - e non sono il solo - la reazione del governo israeliano di fronte al fatto che ogni venerdì i cittadini di Bil'id vanno, senza gettare pietre, senza utilizzare la forza, fino al muro contro il quale protestano. Le autorità israeliane hanno qualificato questa marcia come “terrorismo non violento”. Mica male... Occorre essere israeliano per definire terrorismo la non-violenza. Bisogna essere soprattutto imbarazzati dall'efficacia della non-violenza che suscita l’appoggio, la comprensione, il sostegno di tutti quelli che nel mondo sono contro l'oppressione.
Il pensiero produttivista, diffuso in occidente, ha trascinato il mondo in una crisi da cui occorre uscire abbandonando velocemente la concezione del "sempre di più", nel campo finanziario ma anche nel campo delle scienze e delle tecniche. È ormai tempo che i valori etici, di giustizia, di equilibrio duraturo diventino prevalenti. Perché rischi gravissimi ci minacciano e possono mettere un termine all'avventura umana su un pianeta che diventa inospitale.
Ma è indiscutibile che importanti progressi sono stati fatti dal 1948 in poi: la decolonizzazione, la fine dell'apartheid, la distruzione dell’impero sovietico, la caduta del Muro di Berlino. Invece, i primi dieci anni del XXI secolo sono stati una fase di arretramento. Questa involuzione io la spiego in parte con la presidenza americana di George Bush, l’11 settembre, e le conseguenze disastrose che ne hanno tratto gli Stati Uniti, come l’intervento militare in Iraq. Abbiamo avuto questa grave crisi economica, ma non abbiamo di contro avviato una nuova politica di sviluppo. Parimenti, l’incontro al vertice di Copenaghen contro il riscaldamento climatico non ha permesso di iniziare una vera politica per la preservazione del pianeta. Siamo sul limitare, tra gli orrori del primo decennio e le possibilità dei prossimi. Ma bisogna sperare, occorre sempre sperare. Il decennio precedente, quello degli anni ‘90, era stato motore di grande progresso. Le Nazioni unite hanno saputo convocare delle conferenze come quella di Rio sull’ambiente, nel 1992; quella di Pechino sulle donne, nel 1995; nel settembre 2000, su iniziativa del segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, i 191 paesi membri hanno adottato la dichiarazione sugli “Otto obiettivi del millennio per lo sviluppo”, con cui si impegnano a dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015.
È mio grande dispiacere che né Obama né I'Unione europea si siano ancora espressi riguardo al loro apporto per una fase costruttiva, appoggiandosi sui valori fondamentali.
Come concludere questo appello ad indignarsi? Ricordando ancora ciò che l’8 marzo 2004, in occasione del sessantesimo anniversario del Programma del Consiglio nazionale della Resistenza, noi veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera (1940-1944) dicevamo, che certo “il nazismo è stato sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri fratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni unite contro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non è sparita totalmente e la nostra irritazione contro l'ingiustizia è ancora intatta”.
No, questa minaccia non è sparita totalmente. Perciò, chiamiamoci sempre ad “una vera insurrezione pacifica contro i mezzi di comunicazione di massa che non propongono come orizzonte per la nostra gioventù altro che il consumo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l’amnesia generalizzata e la competizione a oltranza di tutti contro tutti”.
A coloro che vivranno il 21° secolo, diciamo con il nostro affetto:
CREARE È RESISTERE. RESISTERE È CREARE.

Nota bio-bibliografica 
Il padre Franz era il traduttore tedesco di Proust assieme a Walter Benjamin, la madre Helen Grund era pittrice e traduttrice berlinese. La loro storia fece scalpore. I genitori sono infatti due dei protagonisti di un ménage à trois narrato in un romanzo dal terzo, lo scrittore francese Henri-Pierre Roché, e diventato celebre con il film di François Truffaut Jules e Jim.
È cresciuto nella Francia degli anni Trenta. Ha partecipato alla Resistenza francese. Catturato dai tedeschi e destinato al campo di concentramento di Mauthausen, è riuscito a fuggire e ha raggiunto moglie e figli a Parigi. Dopo la guerra ha lavorato al Segretariato generale dell’Onu. È stato uno dei principali redattori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. 
Il suo pamphlet Indignez-vous! (in Italia Indignatevi!, pubblicato da ADD nel 2011) è divenuto un vero e proprio caso editoriale, in Francia, con oltre un milione di copie vendute. Ricordiamo anche Impegnatevi! (Salani, 2011, scritto con Gilles Vanderpooten), Danza con il secolo (ADD, 2011), A conti fatti... o quasi (Bompiani, 2012), Vivete! (Castelvecchi, 2012), Non arrendetevi! (Passigli, 2013, scritto con Lluìs Urìa), Agli indignati di questa Terra! Dalla protesta all'azione (Liberlibri, 2013) e Esigete! Un disarmo nucleare totale, pubblicato postumo nel 2014 da Ediesse. 

Stéphane Hessel in Wikipedia

Ebook di Stéphane Hessel in ibs

Rosatellum, una legge elettorale ignobile e ingannevole


01 dicembre 2016

Il 4 dicembre si vota RENZI SI o RENZI NO

Ho trovato questa riflessione su una pagina di Facebook e la rilancio perché la condivido totalmente, eccezione fatta per l'espressione Re dei Delinquenti che avrebbe bisogno di un pronunciamento della magistratura per essere utilizzata. 




Volevo evidenziare un aspetto che, ad oggi, non ho ancora letto da nessuna parte, a meno che non mi sia perso qualche cosa nel frattempo.
Si susseguono i post che invitano a "capirne di più", a ricondurre la discussione "sul merito della riforma", a non "personalizzare" il voto pro o contro Renzi o il governo per mero tifo politico.
Premesso che chi vi parla, come sempre fa, si è andato a ricercare ogni possibile e affidabile documentazione per analizzare i pro e i contro di questa riforma e l'ha quindi trovata una vera e propria "schiforma", come giustamente è stata definita, il punto, forse più importante ai fini del nostro personale futuro e quindi della nostra nazione, è un altro, a mio avviso.
Renzi, fin dall'inizio e oserei dire giustamente e furbescamente, ha voluto personalizzare questa sfida e, così facendo, proprio lui ci ha dato la vera chiave di lettura dell' "evento referendario".
Il 4 dicembre non si vota solo una riforma, si vota Renzi SI o Renzi NO, inutile nascondercelo. Perchè, se vince il SI, il Narciso toscano non lo fermiamo più! Per due motivi. Il primo è che lui potrà così dimostrare ai suoi "padroni" che ha fatto diligentemente e con bravura i compiti assegnatigli e quindi accrescere la loro fiducia in lui, caricandolo di altre "incombenze" per accelerare il progetto di sottomissione dell'Italia; infatti, c'è molto da fare ancora, non crediate che sia finita qui, perchè il Re dei Delinquenti ha avuto ampio e preciso mandato e questa schiforma è solo l' INIZIO DEL TUTTO.
Il secondo motivo, per un malato di narcismo come lui, è che si crederà invincibile, intoccabile e, purtroppo per noi...infallibile.
Provate solo a immaginare il fatto che una tale iattura umana, purtroppo a noi capitata e a noi imposta dall'alto, si troverà LEGITTIMATA DA UN QUESITO REFERENDARIO, per alcuni versi più importante di una consultazione elettorale politica, per via dell'espressione diretta della volontà popolare.
Una tale legittimazione lo esalterà ben più di quanto non lo sia mai stato, abbatterà i suoi avversari esterni e, soprattutto, quelli interni al suo stesso partito e gli farà avere ancora più gente alla sua Corte dei Miracoli.
A questo punto, non solo non lo fermeremo più nell'opera di devastazione già iniziata dal Terminator Monti, ma lo faremo arrivare all'appuntamento politico delle elezioni 2018 "più forte e più bello che pria" (per parafrasare un noto sketch di Petrolini, ndr).
Quindi, cari amici, soprattutto voi che avete ancora dubbi, inutile che perdiate il vostro tempo per capirne di più sulla schiforma.
Qui è in ballo il nostro futuro, la nostra futura condizione di schiavi o di liberi.
Seguite lo stesso consiglio del Re dei Delinquenti: "o con me o contro di me". Dopo di che, dovrete semplicemente interrogarvi se siete pro o contro Renzi, cioè se ritenete quest'uomo (si fa per dire, ndr) degno di voi, del vostro essere italiani e soprattutto compatibile con la costruzione di un futuro migliore per noi tutti.
Dopo di che...decidete pure.
Io ho già deciso da tempo: #IovotoNO

17 novembre 2015

La lettera di Antoine Leiris ai terroristi che nella notte di Parigi gli hanno strappato la moglie

“Vous n’aurez pas ma haine”

Vendredi soir vous avez volé la vie d’un être d’exception, l’amour de ma vie, la mère de mon fils mais vous n’aurez pas ma haine. Je ne sais pas qui vous êtes et je ne veux pas le savoir, vous êtes des âmes mortes. Si ce Dieu pour lequel vous tuez aveuglément nous a fait à son image, chaque balle dans le corps de ma femme aura été une blessure dans son coeur.
Alors non je ne vous ferai pas ce cadeau de vous haïr. Vous l’avez bien cherché pourtant mais répondre à la haine par la colère ce serait céder à la même ignorance qui a fait de vous ce que vous êtes. Vous voulez que j’ai peur, que je regarde mes concitoyens avec un oeil méfiant, que je sacrifie ma liberté pour la sécurité. Perdu. Même joueur joue encore.
Je l’ai vue ce matin. Enfin, après des nuits et des jours d’attente. Elle était aussi belle que lorsqu’elle est partie ce vendredi soir, aussi belle que lorsque j’en suis tombé éperdument amoureux il y a plus de 12 ans. Bien sûr je suis dévasté par le chagrin, je vous concède cette petite victoire, mais elle sera de courte durée. Je sais qu’elle nous accompagnera chaque jour et que nous nous retrouverons dans ce paradis des âmes libres auquel vous n’aurez jamais accès.
Nous sommes deux, mon fils et moi, mais nous sommes plus fort que toutes les armées du monde. Je n’ai d’ailleurs pas plus de temps à vous consacrer, je dois rejoindre Melvil qui se réveille de sa sieste. Il a 17 mois à peine, il va manger son goûter comme tous les jours, puis nous allons jouer comme tous les jours et toute sa vie ce petit garçon vous fera l’affront d’être heureux et libre. Car non, vous n’aurez pas sa haine non plus.

"Non avrete il mio odio"

Venerdì sera avete rubato la vita di un essere di eccezione, l'amore della mia vita, la madre di mio figlio ma non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio saperlo, siete delle anime morte. Se questo Dio per il quale uccidete ciecamente ci ha fatto a sua immagine, ogni proiettile nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. 
Allora no, non vi farò questo regalo di odiarvi. L'avete ben cercato ma rispondere all'odio con la rabbia sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Volete che io abbia paura, che guardi i miei concittadini con un occhio diffidente, che sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. Perso. Stesso giocatore gioca ancora. 
L'ho vista stamattina. Infine, dopo notti e giorni d'attesa. Era così bella come quando è uscita questo venerdì sera, così bella come quando me ne sono innamorato perdutamente più di 12 anni fa. Naturalmente io sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma essa sarà di breve durata. So che lei ci accompagnerà ogni giorno e che ci ritroveremo in questo paradiso delle anime libere a cui voi non avrete mai accesso. 
Siamo due, io e mio figlio, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho peraltro più tempo da dedicarvi, devo raggiungere Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi, va a mangiare il suo pasto come tutti i giorni, poi andiamo a giocare come tutti i giorni e tutta la sua vita questo piccolo ragazzo vi farà l'affronto di essere felice e libero. Perché no, voi non avrete neanche il suo odio. 

31 gennaio 2013

Anche Berlusconi ha fatto cose buone!

Il fatto delle leggi razziali è la peggior colpa di un leader, Mussolini, che, per tanti altri versi, invece, aveva fatto bene. (Sivio Berlusconi nel Giorno della Memoria) 



Anche di lui si può dire che ha fatto cose buone, a parte le leggi ad personam, il tempo sottratto al governo per curare le olgettine, i rapporti personali con i peggiori soggetti italiani e stranieri, il parlamento trasformato in puttanaio ecc, ecc. 

15 dicembre 2012

La Costituzione, le leggi 'ad personam', il Governo del Paese

Su Deliberazione dell'Assemblea Costituente del 22 dicembre 1947, il 27 dello stesso mese il Capo provvisorio dello Stato promulgava la Costituzione della Repubblica italiana che entrava in vigore il 1° gennaio 1948.  

Siamo quasi al 65° anniversario della Costituzione più bella e progressiva del Mondo e c'è qualcuno che, dopo averla sfregiata pesantemente, si propone con ostinazione incrollabile di farla definitivamente a pezzi.    

E non voglio parlare di lui e di cosa si propone; l'ho già fatto abbastanza. Ma quando riascolto questa scandalosa dichiarazione dell'on. Violante alla Camera, rabbrividisco e la rabbia mi assale. Come hanno potuto tradire in questo modo la Costituzione e il loro stesso mandato, e consentire tutto quello che è ancora sotto i nostri occhi? 





Per questa ragione trovo legittima e profondamente motivata la lettera di Antonio Ingroia all'on. Bersani, alla quale rinvio su Micromega, augurandomi che ottenga una seria e puntuale risposta. 


Abrogare le leggi del privilegio. Introdurre il reato di ostruzione alla giustizia. Premiare l'economia della legalità. Confiscare i patrimoni illeciti. Solo così l'Italia potrà liberarsi da cricche, caste e mafie. Lo potrà e lo vorrà fare davvero la compagine governativa che vuole guidare, caro Bersani, al contrario di quanto non si sia fatto in passato?. (Antonio Ingroia) 

La Costituzione Italiana sul sito della Presidenza della Repubblica
Alleanza per la Costituzione di Sandra Bonsanti

12 dicembre 2012

Basta! Hai rotto!

È disperato, sembra fuori di testa ma è lucido. Due sono i suoi grandi incubi che lo spingono in quest'ultima avventura: i procedimenti penali che ha in corso e la situazione non più florida delle sue aziende; con un'aggiunta rilevante: i ricatti che subisce da parte dei suoi compagni di merende che pretendono un salvacondotto elettorale per non finire in galera. 

Del resto, delle difficoltà dell'Italia e degli Italiani se ne frega altamente, come se n'è fregato sempre. Se non fosse così, l'Italia non sarebbe lo zimbello del Mondo libero e industrialmente avanzato. 

Adesso metterà in campo la potenza di fuoco dei suoi giornali e tv e qualche coglione - per usare il suo stesso epiteto - abboccherà ancora. Ritengo, però, che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani sia avvertita sui guasti prodotti nel suo quasi ventennio di occupazione delle istituzioni, e della catastrofe finale che vorrebbe apparecchiarci da qui in avanti. 
Questa volta la sua uscita dalla vita pubblica è sicuramente preventivabile. Ma non si può rimanere passivi e distanti, negandogli solo il nostro voto. Occorre fare di più: fare la nostra piccola campagna elettorale per convincere quante più persone della nostra cerchia ad andare a votare nel loro interesse e per l'Italia. 

E perché un'esperienza del genere non debba più ripetersi, è opportuno e irrinunciabile che il prossimo parlamento legiferi immediatamente sul conflitto d'interessi, sulle autorità di controllo e garanzia perché possano operare in totale autonomia, sulle regole anti-trust, sull'uso privato dei grandi mezzi d'informazione, sulla legge elettorale. 
Una situazione come quella che stiamo vivendo, deve essere risparmiata ai nostri figli e nipoti ad ogni costo! Ne va del futuro del nostro Paese. 

Io personalmente - almeno durante le settimane di campagna elettorale - eviterò di guardare le sue tv e di aprire i suoi giornali. Farò zapping ogni volta che lo vedrò apparire sulle reti rai. Non perché tema di essere ammaliato dal suo canto di sirena - con orgoglio posso dire che ne sono immune da sempre, sin dalla sua prima discesa in campo, quella dell'Italia è il Paese che amo. Ma perché la sua voce e i suoi argomenti li percepisco come un insopportabile, fastidiosissimo rumore. 

Lo stesso facciano quanti hanno a cuore i destini dell'Italia. 






07 dicembre 2012

IL RITORNO DEL CAVALIERE OSCURO

... E DEI SUOI MORTI VIVENTI IN PARLAMENTO  


Sembrava non dovesse avere il coraggio di riproporsi: condannato a 4 anni per frode fiscale e, soprattutto, appesantito dalla conduzione fallimentare dei suoi precedenti governi e dallo spappolamento del suo partito. 

Invece è lì, pronto a sottoporre il Paese stremato dalla crisi ad una campagna elettorale al fulmicotone. 

L'oggetto principale preso di mira sarà il Governo Monti cui attribuirà tutta la responsabilità della recessione in atto.  

Poi, chiaramente, seguiranno i giudici che osano ancora indagarlo e condannarlo. Infine la sinistra comunista, responsabile dei peggiori misfatti e le tv e i giornali che lo attaccano rabbiosamente. 

Annunciato il suo proposito ultimativo, il partito dei servi pensosi, delle amazzoni fedeli e delle gallinelle ovaiole (con poche, piccole eccezioni) si è ricompattato all'unisono elevando al cielo il peàna propiziatorio

Dopo aver accusato duramente il Governo dei tecnici di aver condotto il Paese sull'orlo del baratro (tra parentesi, il governo che appoggia e sostiene da un anno) impone ai suoi di astenersi in Parlamento sul voto di fiducia come chiaro avvertimento riguardo al provvedimento sull'ineleggibilità all'esame del Consiglio dei ministri. E Cicchitto (il Griso) dà, nel frattempo, del povero untorello al ministro Passera, reo di aver dichiarato in tv che il ritorno del Caimano non è un bene per il Paese

Sì, Cicchitto-Griso, perché il suo padrone ha tutta l'aria di somigliare al don Rodrigo di manzoniana memoria, per i modi, per i toni, per i fatti. 

Ma saranno gli Italiani finalmente avvertiti, e non la Provvidenza, a dargli prossimamente la lezione che merita liberando il Paese dall'incubo del cavaliere oscuro e dei suoi morti viventi



Il mondo ci guarda -  di Massimo Franco

28 ottobre 2012

Un funambolo da 20 anni pretende di piegare gli interessi di un Paese occidentale come l'Italia ai suoi personali problemi giudiziari e finanziari

Non so cosa ne pensano i miei connazionali ma io non riesco più a seguirlo, mi fa venire le vertigini. Non riesco più a trovare le parole per scrivere di questo funambolo che da vent'anni pretende di piegare gli interessi di un Paese occidentale come l'Italia ai suoi personali problemi giudiziari e finanziari. 
Non è più possibile sopportare che un personaggio di tal fatta possa portare in Parlamento i suoi avvocati, quelli che lo difendono nei tribunali, per fare le leggi che gli servono per evitare, allungare, prescrivere, svuotare i processi che lo riguardano. E poi chieda la separazione - anche fisica - delle carriere nella magistratura. 
Utilizzo, perciò, per l'ultima sua conferenza stampa. la scheda di rainews24.it e le considerazioni di Luca Telese su Pubblico. 

Oggi Europa apre con il titolo: Non si libera delle sentenze e noi non ci liberiamo di lui. 
Io sono convinto invece che ce ne libereremo: prima lo faremo, meglio sarà per questo Paese, rincoglionito  dalle sue TV e dalla sua protervia, ormai intollerabile ai più. 


Con un triplo salto mortale carpiato con avvitamento Silvio Berlusconi ribalta tutto e, il giorno dopo la sentenza Mediaset, torna in campo con la forza di un carro armato. Contro Monti, a cui minaccia di togliere la fiducia, contro la deriva verso la 'magistratocrazia' e brandendo ancora una volta il vessillo della lotta alla pressione delle tasse, a quella che chiama l'"estorsione fiscale". 
Un attacco inaspettato, per tutti. Probabilmente anche per lo stesso Monti. Da Palazzo Chigi non trapela a caldo nessuna reazione. Probabilmente in attesa di comprendere la portata dell'affondo del Cavaliere. La veemenza con la quale riprende in mano lo scettro del centrodestra per guidarlo verso il voto ("ma - assicura - senza candidarmi premier") porta molti a parlare di un nuovo 'Predellino'.
É scatenato l'ex premier, confessa di essere stato in disparte per un anno sperando di fare il bene dell'Italia: ma ora che la spirale della recessione, provocata dalla politica di Monti, minaccia seriamente la ripresa, dice basta e minaccia di far cadere il governo. "Nei prossimi giorni esamineremo la situazione e decideremo se sia meglio togliere immediatamente la fiducia a questo governo o conservarla dato l'arrivo delle elezioni". C'è, spiega, il timore di un rialzo dello spread. Ma l'impressione è che il Cavaliere sia fortemente tentato di arrivare subito allo show down e che a frenarlo siano le solite 'colombe'. Comunque, la mossa di Berlusconi scatena una sorta di reazione a catena.
Mina il senso e la portata delle primarie del Pdl, a cui il centrodestra guardava con sollievo come l'unica possibilità di rifondare e rilanciare il partito. Chiude, nonostante un appello rivolti ancora oggi a Udc e Montezemolo ("devono considerarsi parte del centrodestra") alla possibilita' di un'alleanza tra Alfano e Casini, ipotizzabile solo in presenza di un suo effettivo passo indietro. E, allo stesso tempo, rafforza il nascente rassemblement dei moderati e dà una mano alla campagna elettorale di Bersani e Vendola che ora hanno gioco facile ad unirsi nella battaglia contro il ritorno del 'caimano'.
"Altro che unione dei moderati nel nome del Ppe! Le parole di Berlusconi sono il manifesto politico del populismo antieuropeo e autoritario", commenta Gianfranco Fini. Casini tace ma il segretario Udc Cesa è sulla stessa onda del leader di Fli. Plaude invece Maroni, rafforzando l'ipotesi di una nuova ripresa dell'alleanza con la Lega. Il Berlusconi di oggi si togli parecchi sassolini dalla scarpa. A partire dal rapporto con tedeschi e francesi nel pieno della bufera economica.
"Con quei sorrisi la Merkel e Sarkozy tentarono l'assassinio politico della mia credibilità internazionale", si sfoga l'ex premier che si scaglia contro l'egemonia tedesca, contro le misure imposte all'Italia e contro quel rigore che, unito al trattamento usato dalla Guardia di Finanza con i suoi blitz nei negozi e nelle località di grido, deprime l'economia. "Gli italiani sono spaventati, c'è un trattamento violento del contribuente", dice Berlusconi che lancia cosi' il 'suo' programma per vincere le elezioni. Con i punti nodali tante volte declinati negli anni: le riforme costituzionali che devono dare più potere al governo, la riforma della giustizia, il taglio delle tasse, a partire da quelle sulla casa, suo cavallo di battaglia.
"Le sue intemerate odierne vanno considerate per quello che sono: uno sfogo, legittimo seppur tardivo, di uno statista che ha dovuto mandar giù qualche rospo per il bene dell'Italia" spiega Osvaldo Napoli, il primo a scommettere che Berlusconi non intendeva ricandidarsi premier, come sembrava invece da alcune sue dichiarazioni della mattina. "Dopo quello che è successo mi sento obbligato a restare in campo", aveva detto il Cavaliere. Lasciando tutti di stucco. Poi il chiarimento. "Confermo la mia decisione di non presentarmi a candidato premier". Le primarie ci saranno, ma senza di lui. Ma è l'unico posto, promette, nel quale non farà sentire il suo peso. Da rainews24.it

TELE-DISFATTA CREPUSCOLARE
Una conferenza in «stile Mubarak» di Luca Telese su Pubblico
Eh-em, ehem... Anche la voce non è più salda. Ci sono il fiatone - pant, pant - e le parole che non arrivano come dovrebbero, sulla punta della lingua. È una conferenza stampa - Eh-em, ehem.. - satrapico-crepuscolare, una esibizione in “stile Mubarak” che ricorda gli addii degli sfrattati della primavera araba, le dichiarazioni improvvisate nelle salette di albergo quando le sedi ufficiali sono inibite, con lo sfondo della tappezzeria damascata rossosangue e con i fedelissimi che applaudono freneticamente, nel tentativo (vano) di dissipare l’atmosfera decadente. Non ci sono più i fondali azzurrini, non c’è più «il credo» di Silvio recitato dalle voci bianche, non ci sono più le hostess, non ci sono le folle, le riprese con il dolly, non c’è la regia mainstream del maestro Giuseppe Sciacca, il regista che fece grande la rappresentazione del tele-berlusconismo, non ci sono più (a ben vedere) nemmeno le notizie. Qui purtroppo c’è solo una camera fissa.
Da villa Gernetto, in una cornice che sembra molto più casa di riposo che una fastosa tribuna catodica, Silvio Berlusconi chiude la telenovela azzurra della settimana con tre mezze minacce, con tre petardi (leggete qui a fianco la cronaca analitica di Tommaso Ciriaco) che scoppiano male, con una aspettativa pirotecnica suggellata da un retrogusto amaro di polveri bagnate. Il padre di Forza Italia si presenta con i capelli così ben profilati che ricordano quelli dei Playmobil, il volto aggrinzito, il trucco incipriato che esalta il disegno acuminato delle sopracciglia, il sorriso che lo rese leggendario che non si illumina (fateci caso) nemmeno una volta. Berlusconi lascia intendere che potrebbe fondare una sua lista, come si paventava (ma non dice mezza parola che trasformi questa chiacchiera in eventualità concreta). Dice che deciderà insieme ai suoi colleghi nei prossimi giorni «se è meglio togliere immediatamente la fiducia al governo». Aggiunge, in un crescendo: «Non credo che dopo questa soppressione della democrazia ci sia ancora il posto e il tempo» (per Monti). Preannuncia, come se fosse una bomba atomica, la rivelazione di un retroscena sulla speculazione tedesca: «Venne dato ordine di vendere i titoli italiani...». Dice che vuole abolire l’Imu (quella stessa tassa che lui e i suoi parlamentari hanno votato, difeso, sostenuto in televisione in questi mesi!).
Inizia con immagini sublimi: gli ospedali per i bambini in giro per il mondo da far costruire a Guido Bertolaso (una garanzia) spiega che le primarie ci saranno. Oppure che non ci saranno se dovesse candidarsi lui («Ma ho deciso di non candidarmi»). Oppure che non ci saranno se cambia la legge elettorale (quindi si deve dedurre che la vuole cambiare e che non vuole le primarie). E in mezzo a tutto questo, quell’ansimare - pant pant - che mai gli aveva tagliato il fiato, quei sospiri, quel perdere il filo: «Mi può ricordare la prima parte della sua domanda?».
In questi 50 minuti di televisione araba, in questa diretta boomerang vagamente claustrale, tutto parlava di Berlusconi più di Berlusconi.
La prima fila apprensiva dei supporter, con in primo piano il corrucciamento scolpito, e amicalmente turbato di Paolo Bonaiuti. Oppure la faccia spaurita di Mariastella Gelmini, con il dito poggiato sul labbro, e una maschera su cui si dipinge una espressione interdetta: come se Berlusconi sesse dicendo troppo, o troppo poco, ma comunque qualcosa che non le torna, e che le turba i pensieri. Anche Daniela Santanché, poco più indietro, viene sorpresa dall’operatore mentre annuisce, più per fare coraggio a se stessa che a Silvio. La Santanché aveva preannunciato questo ritorno con le sue interviste di ieri, è l’ultima partigiana della resurrezione del Cavaliere, ma stasera, davvero, non c’è trippa per gatti.
I primi boatos e i retroscena che vengono consegnati in rigoroso off the records raccontano senza filtri che dietro le quinte è andato in onda un mezzo psicodramma. Da una lato il Cavaliere, dall’altro i colonnelli: Angelino Alfano, Gianni Letta, lo stesso Bonaiuti, tutti perlessi di fronte all’idea che fosse possibile tornare in campo armando la crociata: «Non torno in campo - ha detto il Cavaliere - non sono mai andato via». Eppure le ultime ore ci avevano regalato una lettera di commiato e persino un video che spiegava il ritiro. Eppure sono mesi che il leader non c’è più, si frattura, si ammala, cancella gli impegni, salta persino le partite del Milan, si ritira nella dacia di Putin, si confina sulla nave da crociera de Il Giornale (senza giornalisti), compulsa i sondaggi della Ghisleri, prepara liste che vengono smantellate prima ancora di essere testate. Insomma, non c’è.
Forse per sfuggire a questa trappola di impotenza e di rassegnazione Berlusconi aveva pronto l’ennesimo colpo di scena della sua carriera, e una congiura degli innocenti (si fa per dire) gli ha impedito il coup de theatre. È rimasto solo, isolato, dilaniato fra le spinte divergenti dei colonnelli, e i segnali di sfilacciamento. Non è un mistero che ieri Angelino Alfano fosse pronto a corrergli contro, se avesse annunciato di correre alle primarie. La recita è finita, ma il Cavaliere non se ne accorge. Oppure finge di non accorgersene, che è lo stesso.
Al fianco c’è il volto pallido di Niccolò Ghedini, che incastonato in questa cornice sembra un caratterista di qualche serie orrorifica in bianco e nero. Sì, è davvero scattata l’ora surreale del berlusconismo. Chiusa questa pagina di storia del ventennio breve di Arcore con le ultime cronache della decadenza, bisogna davvero pensare al futuro.



05 giugno 2012

Terremoto: ricominciare, nonostante tutto

Ho la netta sensazione che i terremotati dell'Emilia non solo sapranno risollevarsi e ripartire, ma daranno addirittura la scossa a un Paese tramortito tra la crisi dell'euro e la bancarotta della politica. 

Ripartiranno utilizzando al meglio le energie che fanno leva sull' ottimismo della volontà. 
Ci mostreranno - come già stanno facendo - che è sempre valido il detto: aiutati che Dio ti aiuta! 

I tanti episodi di cui siamo venuti a conoscenza, di gente che, invece di abbattersi e deprimersi di fronte alla catostrofe naturale, reagisce positivamente impegnando tutte le forze per rovesciarla, fanno ben sperare. 

La vita, nonostante - Massimo Gramellini 
Fonte: La Stampa 

23 maggio 2012

Per ricordare Giovanni Falcone venti anni dopo

con il pensiero rivolto alla piccola, povera Melissa e alle sue compagne. 

La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. (Giovanni Falcone)                                                                             



I video di RaiNews24 e una riflessione di Loris Mazzetti  

Capaci e via D’Amelio. Vent’anni dopo - di Loris Mazzetti su articolo21 
Sono trascorsi vent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 23 maggio 1992 sull’autostrada che va dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo 500 chili di tritolo esplodono alle 17,56 al passaggio del giudice Giovanni Falcone. Muoiono con lui la moglie Francesca Morvillo, magistrato, gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Trascorrono solo 57 giorni, il 19 luglio, sempre a Palermo, Paolo Borsellino sta entrando nell’abitazione della madre… un telecomando fa esplodere una Fiat 126 imbottita con 100 chili di tritolo. Con il giudice muoiono gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Erano stragi annunciate. Nei giorni successivi esplose una rabbia generale nei confronti di uno Stato che non era riuscito a evitarle. 
Con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino muore il riscatto, non solo di una regione, la Sicilia, ma di un Paese intero. Da servitori dello Stato, da magistrati che svolgevano semplicemente il loro lavoro i due giudici sono stati elevati a simbolo, a eroi. Stava scritto su un lenzuolo durante una manifestazione organizzata a Palermo subito dopo la seconda strage: “Non li avete uccisi, le loro idee camminano con le nostre gambe”.                                                                                                                 
In questi vent’anni altri magistrati hanno continuato il lavoro di Falcone e Borsellino: Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Ilda Boccassini, Luca Tescaroli e altri ancora. Con le loro indagini ci hanno fatto comprendere che la mafia non è solo violenza e sopraffazione, ma è capacità di insinuarsi nella vita quotidiana. Oggi la criminalità organizzata è meno visibile, si è vestita in giacca e cravatta. I fatti ci dicono che tra mafia, politica e istituzioni vi è collusione. La condanna definitiva di Totò Cuffaro; il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri che avrebbe preso, secondo il pentito Stefano Lo Verso (il boss di Ficarazzi), il posto di Salvo Lima; le indagini sul presidente del Senato Renato Schifani; l’ex ministro del governo Berlusconi Saverio Romano; per non parlare di esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine condannati in via definitiva. Cosa nostra ammicca al potere e il potere risponde. Tommaso Buscetta disse a Falcone, quando questi aveva iniziato ad indagare sul rapporto mafia e politica: “Decidiamo chi di noi deve morire per primo”.  Il pentito avvisò il giudice del rischio che stava correndo. Falcone aveva intuito che lì stava il cuore del problema. 
Per sconfiggere la criminalità organizzata bisogna recidere il suo rapporto con la politica. Il pm antimafia di Palermo Nino Di Matteo ha recentemente affermato: “Quando si incomincia ad indagare iniziano le polemiche, si mette in moto la delegittimazione e l’isolamento dei magistrati”. E’ esattamente quello che accadde a Falcone e Borsellino che, prima di essere uccisi, furono lasciati soli e traditi. 
Le stragi hanno travolto la politica da Giulio Andreotti a Oscar Luigi Scalfaro, che diventa presidente tra i due fatti criminali, il 25 maggio 1992; non a caso nel febbraio 1993, poco prima degli attentati di Firenze, Milano e Roma, a lui fu indirizzata una lettera arrogante, violenta, minacciosa, scritta dai famigliari di alcuni mafiosi detenuti in regime di 41 bis nelle carceri di Pianosa e dell’Asinara. Quello che i magistrati oggi si chiedono è se quelle minacce sortirono gli effetti desiderati. Sempre il 41 bis era uno dei punti contenuti nel papello di Totò Riina all’inizio della trattativa tra mafia e Stato. In Italia quante persone sanno che in una sentenza definitiva è sancito che Andreotti “ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi (…) Che a sua volta ha coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss (…) ha chiesto favori, li ha incontrati, ha interagito con essi, ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi come l’assassinio del presidente della regione Piersanti Mattarella, nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati”? 
Falcone è esasperato e decide di abbandonare Palermo e quel Palazzo definito dei corvi e dei veleni. Lascia da sconfitto per mano dei colleghi e soprattutto dalla politica, ma non da vinto, arriva a Roma, al ministero della Giustizia con Claudio Martelli. Il 1992 è l’anno in cui la Cassazione conferma le condanna alla galera a vita per la cupola della mafia grazie al maxiprocesso. Le promesse fatte a Totò Rina di un “aggiustamento” non vengono mantenute. Prima ancora il Parlamento aveva approvato il decreto sulla creazione della Direzione nazionale antimafia, voluta e pensata da Falcone. Il suo lavoro a Roma comincia a produrre risultati importanti. La mafia reagisce, il sangue comincia a scorrere. Il 12 marzo viene ucciso Salvo Lima, il braccio destro di Andreotti in Sicilia. 
Paolo Borsellino pochi giorni dopo la strage di Capaci interviene alla fiaccolata dei boys scout  dell’Agesci: “La lotta alla mafia, il primo problema nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata lotta di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte nel sentire subito le bellezze del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale dell’indifferenza, della contiguità e quindi dello complicità”. E’ un atto d’accusa forte, drammatico ma ancora un volta inutile perché inascoltato. 
Dopo la morte di Falcone gli obiettivi della mafia sono i politici che non hanno mantenuto le promesse, che l’avevano tradita: Calogero Mannino, ministro per gli Interventi straordinari per il mezzogiorno, Carlo Vizzini ministro delle Poste e telecomunicazioni, Salvo Andò ministro della Difesa e Sebastiano Purpura, fedelissimo di Lima e anche il ministro Martelli ma per motivazioni diverse: aveva la responsabilità di aver chiamato Falcone al ministero. Borsellino decide di continuare la strada del suo amico Giovanni. Il suo impegno diventa frenetico. Era tornato a Palermo nel dicembre 1991 come procuratore aggiunto e nonostante l’ostracismo del procuratore capo Giammanco che gli vieta indagini nel capoluogo siciliano, diventa il punto di riferimento dei colleghi. Dopo la morte di Falcone anche dei colleghi di Caltanissetta che ha la competenza delle indagini sulla strage di Capaci. 
Borsellino aveva capito che la causa della morte dell’amico era il rapporto tra mafia, politica e istituzioni, aveva scoperto qualche cosa che lo ha fatto condannare a morte. In una intervista di Giuseppe D’Avanzo sulla deposizione che farà ai magistrati di Caltanissetta: “Fornirò ai colleghi notizie su fatti e circostanze di cui sono a conoscenza”. Purtroppo Borsellino verrà ucciso prima della deposizione. Lo dimostrano anche le parole della moglie Agnese contenute nei verbali degli interrogatori (agosto 2009 e gennaio 2010). Il giudice le aveva confidato qualche giorno prima della morte che il generale dei carabinieri Antonino Subrani (all’epoca comandante dei Ros) era pungiuto (apparteneva a Cosa nostra). Fu lui ad avallare la falsa ipotesi che Peppino Impastato morì mentre stava collocando una bomba per un attentato alla ferrovia. Impastato fu ucciso per ordine del boss Tano Badalamenti. Nell’ultimo incontro con la moglie Borsellino le confidò che la mafia lo avrebbe ucciso ma a permetterlo sarebbero stati i suoi colleghi. Il giudice era a conoscenza dei contatti tra gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno con Vito Ciancimino. Nei giorni precedenti in un incontro casuale all’aeroporto di Fiumicino aveva saputo da Liliana Ferraro, direttore generale del ministero della Giustizia, che era arrivata una notizia da fonte confidenziale che era stata programmata una strage per ucciderlo e che la nota era stata inviata al procuratore Giammanco. Paolo Borsellino non ne sapeva nulla. 
Il vero potere è la mafia, e lo ha sempre dimostrato: ammazzando, mandando politici a Roma, trattando con lo Stato. Cosa nostra ha delle regole e le fa rispettare. Se decide di eliminare qualcuno, esegue. Lo disse Buscetta a Enzo Biagi, a proposito di Totò Riina quando era ancora latitante e capo dei capi: “Pare che faccia un vita nomale, partecipa ai vertici, stabilisce alleanze, è impietoso, astuto, pronto a capovolgere rapporti e a decretare sentenze di morte”.   
Perché Riina ha potuto starsene tranquillamente a Palermo?  Perché Bernardo Provenzano ha potuto fare il latitante per quarantatre anni nonostante che i carabinieri del Ros conoscessero la cascina in cui si nascondeva sin dal 1995 mentre l’arresto è avvenuto solo nel 2006? 
Cosa nostra, la criminalità organizzata in generale, continua ad essere un dramma che perseguita l’Italia e gli italiani che hanno il diritto di conoscere la verità. 

20 maggio 2012

All'indomani dell'assurda atrocità di Brindisi...

"noi ci siamo, siamo ancora qui e ci attendiamo ancora molto da voi"
Anche a me sembra questo il messaggio. Perciò lo ripropongo. 


Il messaggio, di Sandra Bonsanti su Libertà e Giustizia 

Questo non l’aveva mai fatto nessuno nel nostro paese martoriato da sempre da stragi e assassini. Nessuno aveva mai attaccato una scuola. I ragazzi erano sacri, eccetto soltanto per i figli dei pentiti. Ma ora, oggi, non ci sono confini. Oggi serviva mandare un messaggio ultimativo: "Noi ci siamo, siamo ancora qui e ci attendiamo ancora molto da voi". 

Da chi? Chi sono gli interlocutori dell’ esplosivo di Brindisi? Intanto c’è chi apertamente, testardamente e sempre si dichiara per la legalità. E chi invece si batte nelle aule del Parlamento contro la legge sulla corruzione. C’è chi sostiene i giudici e chi li vuole asservire con una legge che li renda personalmente e direttamente responsabili di ogni errore o presunto tale… il catalogo è lungo e troppo doloroso da fare così all'improvviso mentre il nostro cuore è triste e si ribella per il sangue versato. 
Per favore risparmiateci parole di circostanza. Non è una circostanza. È la fine di tutto. 

25 aprile 2012

Perché celebrare il 25 Aprile

  • Perché è la Festa della Liberazione e ricorda l'anniversario della liberazione dal nazifascismo. 
  • Perché per combattere il nazifascismo si era organizzata la Resistenza e la lotta partigiana. 
  • Perché uomini, donne, giovani, anziani, religiosi, militari, persone di diversi ceti sociali e convinzioni politiche ebbero la voglia di lottare per ottenere in patria la democrazia, il rispetto della libertà individuale e l'uguaglianza. 
  • Perché il 25 aprile 1945 i Partigiani, supportati dagli Alleati, entrarono vittoriosi nelle principali città italiane, mettendo fine al tragico periodo di lutti e rovine e iniziando il processo di liberazione dell'Italia dall'oppressione fascista. 
  • Perché qualche anno dopo, dalle idee di democrazia e libertà, è nata la Costituzione Italiana. 
Io voglio ricordare questa data, carica di suggestioni e ricca di senso, con la felice interpretazione di Bella Ciao da parte di Pippo Pollina.




Sulla Resistenza italiana ti propongo tre romanzi scritti da autori che sono stati testimoni di quel tragico periodo, che puoi scaricare gratuitamente in pdf: 

Il sentiero dei nidi di ragno - Italo Calvino 
Ambientato in Liguria, tra gli stretti vicoli di un paesino della Riviera di Ponente, durante la Resistenza. Il protagonista è Pin, un ragazzino solo e senza guida. La sorella fa la prostituta e tra i clienti ha anche i militari tedeschi; per questo motivo Pin viene emarginato e insultato. Per ripicca e per avere la considerazione degli adulti, il bambino decide di rubare la pistola all'amante della donna e di nasconderla. Questo gesto scatenerà una serie di eventi che lo porterà ad essere messo in prigione dai tedeschi e, una volta scappato, ad entrare in contatto con i gruppi di partigiani che si nascondevano tra i monti. Nel condividere con loro la difficile vita da ribelli, imparerà ad affrontare la realtà di un paese in guerra. 

La casa in collina - Cesare Pavese  
Narra le vicende di Corrado, durante l'estate del 1943. L'uomo è un professore quarantenne che vive sulle colline antistanti Torino, non è sposato e ha due donne, madre e figlia, che si occupano di lui e dell'andamento domestico. Corrado tutte le sere si rifugia sulle colline per scampare ai bombardamenti tedeschi sulla città sfuggendo così alla guerra e ad un quasi obbligato schieramento politico. Tra i partigiani ha amici, Cate, una fiamma del passato, e il figlio di lei, probabilmente suo. La guerra incombe, i tedeschi incalzano e i suoi amici vengono arrestati, forse uccisi, ma lui fugge e per salvarsi abbandona anche il giovane ragazzo, affidatogli da Cate: niente sembra scrollarlo dalla sua vigliaccheria. Un giorno però si imbatte per caso nella cruda uccisione di alcuni fascisti, da parte dei partigiani di zona. La morte e il sangue così vicini e reali lo fanno riflettere amaramente sulla sua vita e sul periodo storico in cui si trova. Tramite Corrado si entra in contatto con la guerra e la creazione dei gruppi partigiani. 

Il partigiano Johnny - Beppe Fenoglio 
Nel settembre del 1943 Johnny, giovane studente di letteratura con l'amore per la cultura anglosassone, decide di unirsi ai partigiani della sua città, Alba. Lo fa non tanto per convinzione ideologica, quanto forse per aver immaginato poeticamente e astrattamente quella vita avventurosa. La realtà però si rivela tutt'altro che epicamente magica: è una lotta quotidiana contro la morte, la fame, la solitudine e soprattutto la guerra. Le guerriglie e le lotte portano il giovane a trovarsi solo, senza più nessun amico, solo con la natura che lo circonda. Ha così la possibilità di fare un'attenta analisi introspettiva, che lo porta a realizzare quanto la guerra possa distruggere un uomo, le sue certezze, i suoi sogni e i suoi desideri. Johnny torna tra la gente, ma non è più in grado di integrarsi normalmente. Il libro è incompiuto, ma è comunque considerato uno dei più pragmatici e originali romanzi sulla Resistenza italiana. 

Appello dell'Anpi per il 25 aprile 
Associazione Nazionale Partigiani d'Italia 
Resistenza italiana 

Il miglior motore di ricerca