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Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

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25 febbraio 2013

Onorevole Berlusconi, le scrivo

C'è in Italia una generazione di giovani e di uomini e donne di mezz'età che dell'impegno contro la mafia hanno fatto una questione vitale. 
Sarà per l'esperienza personale e diretta che hanno fatto di questo cancro che annichilisce ormai tutto il Paese, sarà per l'esempio di uomini generosi come Falcone e Borsellino, sarà per la formazione che hanno ricevuto in famiglia e a scuola, queste persone hanno acuito una straordinaria sensibilità nella lotta alla mafia, in qualunque forma questa si manifesti. 

Una di esse che stimo tanto è la mia amica Claudia che ieri sul sito La Spezia Oggi ha pubblicato la lettera aperta “Onorevole Berlusconi”, le scrivo. Dal suo profilo fb traggo questa bella citazione di Roberto Spampinato: Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta dei loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione

Ripropongo il suo testo ai miei amici perché merita di essere conosciuto e apprezzato per la dignità e il coraggio che da esso emana. Brava Claudia, spero ti faccia piacere il mio apprezzamento e la mia piena condivisione. vr 


“Onorevole” Berlusconi, 

sono stata politicamente corretta, durante questa campagna elettorale. Non ho scritto nulla contro di Lei, non ho fatto circolare i pur spiritosi link “Berlusconi restituisce le cose” e così via. Un po’ l’ho fatto perché gestendo il sito mi sentivo in dovere di essere imparziale, un po’ per non farLe ulteriore pubblicità.
Non ho detto nulla quando ha promesso di restituire l’IMU, né quando, sbugiardato dalle banche svizzere, ha dichiarato che ce l’avrebbe restituito di tasca sua, tanto Lei “con mezzo miliardo” vive benissimo. Non ho fatto appelli a non votare per Lei, insomma nulla di nulla. Certo, chi mi conosce sa quanto io La disistimi, ma non l’ho voluto mettere in piazza. Scelta un po’ controcorrente, in questa campagna elettorale che, sui social network, si è svolta più basandosi sull’insulto all’avversario che sul sostegno al proprio schieramento.
Poi ho letto che Lei ieri ha violato il silenzio elettorale, ma sa, “Onorevole”, un po’ me l’aspettavo, perché Lei non ce la fa proprio a stare alle regole e mi sono detta “va beh pazienza”, ma poi ho letto cos’ha dichiarato. E no, non ci riesco a stare al mio posto a far finta di nulla. Non ci riesco perché quelle parole mi hanno ghiacciata, peggio della neve che ha imbiancato la mia città. Non ci riesco perché ho macinato centinaia di km per sostenere la Magistratura. Perché ho sentito il cuore fermarsi arrivando in Via d’Amelio. Perché ho guardato negli occhi i familiari delle vittime di mafia, perché sono stata in Via dei Georgofili, perché sono passata dove, in un 23 maggio di 21 anni fa, l’autostrada si aprì in una voragine al passaggio dell’auto di Falcone.
Ci sono Magistrati buoni e Magistrati meno buoni, ci sono gli onesti e i corrotti, quelli che fanno il proprio dovere con correttezza e quelli che lo fanno per prendere lo stipendio. I Magistrati possono sbagliare e sbagliano, a volte in buona fede e a volte no. Ce ne sono alcuni che andrebbero cacciati, altri che dovrebbero stare in prigione. Ma le parole che Lei ha pronunciato, e che non oso ripetere perché me ne vergogno per Lei, che evidentemente non si vergogna di nulla, sono semplicemente indefinibili.
E mi auguro che il sole che sta portando via la neve porti via anche il berlusconismo. Ma le Sue parole no, non le porterà via. Pensi quello che vuole, io continuerò a stringere forte tra le mani la mia Agenda Rossa e a credere più nella Magistratura che in Lei.
Con tutta la mia disistima, Claudia Bertanza

24 febbraio 2013

Anche con il tuo voto può ripartire il Futuro. Pensaci!

Mentre don Luigi Ciotti e decine di migliaia di cittadini con Libera e Gruppo Abele sostengono la campagna SENZA CORRUZIONE RIPARTE IL FUTURO che ha già raccolto oltre 148mila firme, dobbiamo assistere, ancora una volta, alla violazione del silenzio elettorale in perfetto stile mafioso da parte della protervia fatta persona. Che afferma, con estrema sfrontatezza, che la magistratura è una mafia, più pericolosa della mafia siciliana





Mi auguro che con il voto di oggi e domani possiamo liberarci da questo cancro pericoloso che da vent'anni inquina il nostro Paese facendoci vergognare, talvolta, di essere italiani. Il cancro pericoloso cui mi riferisco non è solo la mafia ma i politici che la supportano in tutti i modi. 
Eccone un campione! 


Riparte il Futuro
Libera
Gruppo Abele

22 febbraio 2013

PROMEMORIA PER IL 24 E 25 FEBBRAIO


Come vademecum al voto di Domenica prossima ho trovato questa bella pagina di Riccardo Orioles in I Siciliani giovani e mi piace condividerla con i miei amici.  




Quattro domande ai nostri amici - di Riccardo Orioles in I Siciliani giovani

Grillo: ma davvero Alemanno e Vassallo sono la stessa cosa?
Bersani: ma insomma, fra Marchionne e la Fiom, chi dei due ha ragione?
Vendola: perché il mio partitino è sempre l'unico buono e tutti gli altri no?
Ingroia: un'idea: ma perché non fa una bella lista della società civile? Magari 
funzionerebbe... 
D'accordo, Bersani non è Berlinguer, Grillo non è Totò, e Ingroia e Vendola... beh, lasciamo andare. Ma quasi tutti quelli che conosco, che hanno una qualche voglia di “mettere a posto le cose”, votano per uno di loro: questo passa il convento. 
Il bello è che quasi tutti i miei amici del bar vogliono, con poche varianti, le stesse 
cose: a sentirli non si direbbe mai che i loro Lìder (grandissimi, s'intende, uno più napoleonico dell'altro) si accapiglino così tanto. Certo, è tempo d'elezioni.
Il brutto è che purtroppo le cose da volere (o non volere) ormai non sono molto complicate. Siamo arrivati al termine, non c'è più tempo per grandi strategie. L'Italia non sopravviverà fino al 2015, se non si cura. Non è solo il fallimento economico, è che proprio non sappiamo più chi siamo. Abbiamo lasciato la democrazia ormai da vent'anni, e non ci ricordiamo più neanche come funzionava. 
La democrazia eravamo noi, non chi ci governava. Sapevamo di avere dei diritti (lavorare, votare, scegliere qualche cosa) e persino, alla nostra maniera, dei doveri. 
Adesso aspettiamo i lìder, Padre Pio o qualcun altro (Monti, come taumaturgo, non ha funzionato) che ci tirino su per il colletto dal pantano. Ma questo non è mai successo.
L'Italia, in tutta la sua lunga storia, non ha mai avuto dei salvatori. Ogni volta, quasi all'osso del collo, s'è salvata da sé. Il tenente Innocenzi, il compagno Peppone, Salvo che occupò il suo liceo nel Sessantotto: questi sono stati l'Italia. I lìder sono venuti sempre  dopo, a cose fatte. 
   * * *
Usciamo da vent'anni di dominio assoluto degli imprenditori. Sotto nomi diversi, la musica è stata questa. Il risultato s'è visto. Davvero basta cambiare un nome? Perché nessuno ha 
proposto  - come sarebbe stato normale nella repubblica - di nazionalizzare la Fiat alle prime avvisaglie del suo (perché di ciò s'è trattato) colpo di stato? C'è stato un golpe sociale, e nessuno s'è opposto. 
Abbiamo perso più di cento compagni, giornalisti e giudici, quaggiù in Sicilia, combattendo la mafia. Perché la provincia di Reggio – per dirne una – è ancora in mano ai mafiosi? Perché i soldati a Kabul e non, come sarebbe logico, a liberare Reggio dall'occupazione mafiosa? 
Calvi, Sindona, Banco Ambrosiano, Ior. Il capitale mafioso, vent'anni fa, si stava inserendo bene nel sistema. Adesso l'ha praticamente conquistato. Perché abbiamo ancora il segreto bancario? Perché Boris Giuliano, se tornasse ora, non dovrebbe essere ancora autorizzato a leggere i conti bancari, a fare indagini vere e non da disperato?
Non sono domande difficili, come vedete. Eppure nessuno le fa. Certo, non per malafede. Ma si parla d'altro.
È 
dubbio che, come Italia, siamo ancora in grado (ormai siamo troppo piccoli per farlo) di risolvere i problemi economici che ci stanno strozzando. E che si chiamano, essenzialmente, deregulation e delocalizzazione. Riuscivamo a fatica, trent'anni fa, a tenere a bada gli allora poteri economici di medie dimensioni. Adesso è del tutto impossibile. Ogni singola multinazionale (e la Fiat fra queste) da sola ha già un potere superiore a quella di una piccola Nazione come la nostra. La soluzione è in Europa. Ma l'Europa è quella che ci bastona più di tutti, perché abbiamo permesso che diventasse, essa stessa, una multinazionale. 
Perché la parola Europa è quasi totalmente estranea a queste elezioni? È presente come spauracchio, come oscura potenza da propiziarsi o da maledire, ma non come quello che è, cioè il nostro Paese, che tocca a noi cittadini di governare? 
Governare l'Europa – e si può, visto che nelle principali regioni (Francia, Germania 
e Italia) ormai la maggioranza è, o sta per essere, democratica e civile – significa governare le banche, togliere gli artigli all'oligarchia. Ogni altra strada è illusoria, è come vincere le elezioni a Modena mentre Scelba e Tambroni governano indisturbati il resto del Paese. 
L'Europa non era nata così, non con le banche. L'Europa, da Mazzini in poi, era nata come una cosa di sinistra. Un'Europa dei popoli, si diceva. È tempo di riprendere quest'idea. L'Europa come Unione europea non esiste più. Può nascere ricominciando da zero, dai primi paesi storici (Francia, Italia, Germania, Benelux) che stavolta, sull'onda del cambiamento elettorale, potrebbero anche pensare - per disarmare le banche e salvarsi dalla crisi - a 
qualcosa di molto più radicale che un'unione monetaria.
Non è lasciare l'euro la soluzione, ma cambiargli il padrone. Nessuno lo può fare da solo, ma si può fare benissimo tutti insieme. Questo sarebbe potuto essere il tema portante di questa campagna elettorale. Ma siamo ormai troppo deboli culturalmente - almeno la classe politica - per guardare al di là del nostro naso. Ci rassegniamo ai poteri, o ci “ribelliamo” urlando. Invece potremmo travolgerli, tranquillamente. 

Leggi anche: Kit di sopravvivenza per la guerra mediatica - di Carlo Gubitosa

10 giugno 2012

Benvenuta l'autocandidatura di Claudio Fava alla Presidenza della Regione Sicilia

Sostenuta da un gruppo d'intellettuali tra i quali Pina Maisano Grassi, Gustavo Zagrebelsky, Dacia Maraini, Leo Gullotta, Nando Dalla Chiesa, Giuseppe Fiorello, Emma Dante, Letizia Battaglia, Moni Ovadia, Roberto Andò, Nino Frassica, Franco Battiato e Ninni Bruschetta, che l'hanno caldeggiata con il seguente appello: 
Le prossime elezioni regionali in Sicilia rappresentano l'occasione per un riscatto civile e politico dell'isola. Dopo l'inchiesta giudiziaria che ha coinvolto il presidente Lombardo e la condanna definitiva del suo predecessore Cuffaro, le siciliane e i siciliani hanno il dovere e l'opportunità di voltare pagina restituendo limpidezza alla politica e buon governo alle istituzioni regionali. La Sicilia merita un'altra politica e un altro futuro. Con questo spirito noi chiediamo a Claudio Fava, per la sua storia personale, l'impegno civile e la lunga militanza nella lotta contro la mafia, di candidarsi alla presidenza della Regione Sicilia. 

Finalmente un politico che rinuncia al gioco al massacro di certe primarie, che non trova la forza negli apparati e nelle coalizioni a perdere dei vertici dei partiti e scende in campo facendo affidamento sul proprio impegno di uomo di sinistra, sempre dimostrato, e sulle attese impellenti e irrinunciabili di tanti siciliani onesti e sinceri democratici. 

Adesso staremo a vedere come reagiranno i vertici dei partiti del cosiddetto centro-sinistra. Io voterò Claudio Fava e lo farò votare, come faranno tanti siciliani perbene che non sopportano più di vedere la propria terra devastata, oltre che dalla mafia, da una gestione politica collusa, insulsa e incocludente. Una politica che da troppi anni non è stata capace di utilizzare l'autonomia regionale al fine di salvaguardare le peculiarità isolane e favorire l'uso attento e responsabile delle risorse nell'interesse esclusivo della gente di Sicilia. 

È tempo che le Siciliane e i Siciliani si sveglino dal lungo torpore e pensino finalmente al loro futuro e a quello della loro terra. 

Chi è Claudio Fava 
Regione Sicilia, Claudio Fava annuncia la candidatura 

Scarica e leggi: 
Bottone I Siciliani

23 maggio 2012

Per ricordare Giovanni Falcone venti anni dopo

con il pensiero rivolto alla piccola, povera Melissa e alle sue compagne. 

La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. (Giovanni Falcone)                                                                             



I video di RaiNews24 e una riflessione di Loris Mazzetti  

Capaci e via D’Amelio. Vent’anni dopo - di Loris Mazzetti su articolo21 
Sono trascorsi vent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 23 maggio 1992 sull’autostrada che va dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo 500 chili di tritolo esplodono alle 17,56 al passaggio del giudice Giovanni Falcone. Muoiono con lui la moglie Francesca Morvillo, magistrato, gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Trascorrono solo 57 giorni, il 19 luglio, sempre a Palermo, Paolo Borsellino sta entrando nell’abitazione della madre… un telecomando fa esplodere una Fiat 126 imbottita con 100 chili di tritolo. Con il giudice muoiono gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Erano stragi annunciate. Nei giorni successivi esplose una rabbia generale nei confronti di uno Stato che non era riuscito a evitarle. 
Con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino muore il riscatto, non solo di una regione, la Sicilia, ma di un Paese intero. Da servitori dello Stato, da magistrati che svolgevano semplicemente il loro lavoro i due giudici sono stati elevati a simbolo, a eroi. Stava scritto su un lenzuolo durante una manifestazione organizzata a Palermo subito dopo la seconda strage: “Non li avete uccisi, le loro idee camminano con le nostre gambe”.                                                                                                                 
In questi vent’anni altri magistrati hanno continuato il lavoro di Falcone e Borsellino: Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Ilda Boccassini, Luca Tescaroli e altri ancora. Con le loro indagini ci hanno fatto comprendere che la mafia non è solo violenza e sopraffazione, ma è capacità di insinuarsi nella vita quotidiana. Oggi la criminalità organizzata è meno visibile, si è vestita in giacca e cravatta. I fatti ci dicono che tra mafia, politica e istituzioni vi è collusione. La condanna definitiva di Totò Cuffaro; il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri che avrebbe preso, secondo il pentito Stefano Lo Verso (il boss di Ficarazzi), il posto di Salvo Lima; le indagini sul presidente del Senato Renato Schifani; l’ex ministro del governo Berlusconi Saverio Romano; per non parlare di esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine condannati in via definitiva. Cosa nostra ammicca al potere e il potere risponde. Tommaso Buscetta disse a Falcone, quando questi aveva iniziato ad indagare sul rapporto mafia e politica: “Decidiamo chi di noi deve morire per primo”.  Il pentito avvisò il giudice del rischio che stava correndo. Falcone aveva intuito che lì stava il cuore del problema. 
Per sconfiggere la criminalità organizzata bisogna recidere il suo rapporto con la politica. Il pm antimafia di Palermo Nino Di Matteo ha recentemente affermato: “Quando si incomincia ad indagare iniziano le polemiche, si mette in moto la delegittimazione e l’isolamento dei magistrati”. E’ esattamente quello che accadde a Falcone e Borsellino che, prima di essere uccisi, furono lasciati soli e traditi. 
Le stragi hanno travolto la politica da Giulio Andreotti a Oscar Luigi Scalfaro, che diventa presidente tra i due fatti criminali, il 25 maggio 1992; non a caso nel febbraio 1993, poco prima degli attentati di Firenze, Milano e Roma, a lui fu indirizzata una lettera arrogante, violenta, minacciosa, scritta dai famigliari di alcuni mafiosi detenuti in regime di 41 bis nelle carceri di Pianosa e dell’Asinara. Quello che i magistrati oggi si chiedono è se quelle minacce sortirono gli effetti desiderati. Sempre il 41 bis era uno dei punti contenuti nel papello di Totò Riina all’inizio della trattativa tra mafia e Stato. In Italia quante persone sanno che in una sentenza definitiva è sancito che Andreotti “ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi (…) Che a sua volta ha coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss (…) ha chiesto favori, li ha incontrati, ha interagito con essi, ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi come l’assassinio del presidente della regione Piersanti Mattarella, nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati”? 
Falcone è esasperato e decide di abbandonare Palermo e quel Palazzo definito dei corvi e dei veleni. Lascia da sconfitto per mano dei colleghi e soprattutto dalla politica, ma non da vinto, arriva a Roma, al ministero della Giustizia con Claudio Martelli. Il 1992 è l’anno in cui la Cassazione conferma le condanna alla galera a vita per la cupola della mafia grazie al maxiprocesso. Le promesse fatte a Totò Rina di un “aggiustamento” non vengono mantenute. Prima ancora il Parlamento aveva approvato il decreto sulla creazione della Direzione nazionale antimafia, voluta e pensata da Falcone. Il suo lavoro a Roma comincia a produrre risultati importanti. La mafia reagisce, il sangue comincia a scorrere. Il 12 marzo viene ucciso Salvo Lima, il braccio destro di Andreotti in Sicilia. 
Paolo Borsellino pochi giorni dopo la strage di Capaci interviene alla fiaccolata dei boys scout  dell’Agesci: “La lotta alla mafia, il primo problema nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata lotta di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte nel sentire subito le bellezze del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale dell’indifferenza, della contiguità e quindi dello complicità”. E’ un atto d’accusa forte, drammatico ma ancora un volta inutile perché inascoltato. 
Dopo la morte di Falcone gli obiettivi della mafia sono i politici che non hanno mantenuto le promesse, che l’avevano tradita: Calogero Mannino, ministro per gli Interventi straordinari per il mezzogiorno, Carlo Vizzini ministro delle Poste e telecomunicazioni, Salvo Andò ministro della Difesa e Sebastiano Purpura, fedelissimo di Lima e anche il ministro Martelli ma per motivazioni diverse: aveva la responsabilità di aver chiamato Falcone al ministero. Borsellino decide di continuare la strada del suo amico Giovanni. Il suo impegno diventa frenetico. Era tornato a Palermo nel dicembre 1991 come procuratore aggiunto e nonostante l’ostracismo del procuratore capo Giammanco che gli vieta indagini nel capoluogo siciliano, diventa il punto di riferimento dei colleghi. Dopo la morte di Falcone anche dei colleghi di Caltanissetta che ha la competenza delle indagini sulla strage di Capaci. 
Borsellino aveva capito che la causa della morte dell’amico era il rapporto tra mafia, politica e istituzioni, aveva scoperto qualche cosa che lo ha fatto condannare a morte. In una intervista di Giuseppe D’Avanzo sulla deposizione che farà ai magistrati di Caltanissetta: “Fornirò ai colleghi notizie su fatti e circostanze di cui sono a conoscenza”. Purtroppo Borsellino verrà ucciso prima della deposizione. Lo dimostrano anche le parole della moglie Agnese contenute nei verbali degli interrogatori (agosto 2009 e gennaio 2010). Il giudice le aveva confidato qualche giorno prima della morte che il generale dei carabinieri Antonino Subrani (all’epoca comandante dei Ros) era pungiuto (apparteneva a Cosa nostra). Fu lui ad avallare la falsa ipotesi che Peppino Impastato morì mentre stava collocando una bomba per un attentato alla ferrovia. Impastato fu ucciso per ordine del boss Tano Badalamenti. Nell’ultimo incontro con la moglie Borsellino le confidò che la mafia lo avrebbe ucciso ma a permetterlo sarebbero stati i suoi colleghi. Il giudice era a conoscenza dei contatti tra gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno con Vito Ciancimino. Nei giorni precedenti in un incontro casuale all’aeroporto di Fiumicino aveva saputo da Liliana Ferraro, direttore generale del ministero della Giustizia, che era arrivata una notizia da fonte confidenziale che era stata programmata una strage per ucciderlo e che la nota era stata inviata al procuratore Giammanco. Paolo Borsellino non ne sapeva nulla. 
Il vero potere è la mafia, e lo ha sempre dimostrato: ammazzando, mandando politici a Roma, trattando con lo Stato. Cosa nostra ha delle regole e le fa rispettare. Se decide di eliminare qualcuno, esegue. Lo disse Buscetta a Enzo Biagi, a proposito di Totò Riina quando era ancora latitante e capo dei capi: “Pare che faccia un vita nomale, partecipa ai vertici, stabilisce alleanze, è impietoso, astuto, pronto a capovolgere rapporti e a decretare sentenze di morte”.   
Perché Riina ha potuto starsene tranquillamente a Palermo?  Perché Bernardo Provenzano ha potuto fare il latitante per quarantatre anni nonostante che i carabinieri del Ros conoscessero la cascina in cui si nascondeva sin dal 1995 mentre l’arresto è avvenuto solo nel 2006? 
Cosa nostra, la criminalità organizzata in generale, continua ad essere un dramma che perseguita l’Italia e gli italiani che hanno il diritto di conoscere la verità. 

20 maggio 2012

All'indomani dell'assurda atrocità di Brindisi...

"noi ci siamo, siamo ancora qui e ci attendiamo ancora molto da voi"
Anche a me sembra questo il messaggio. Perciò lo ripropongo. 


Il messaggio, di Sandra Bonsanti su Libertà e Giustizia 

Questo non l’aveva mai fatto nessuno nel nostro paese martoriato da sempre da stragi e assassini. Nessuno aveva mai attaccato una scuola. I ragazzi erano sacri, eccetto soltanto per i figli dei pentiti. Ma ora, oggi, non ci sono confini. Oggi serviva mandare un messaggio ultimativo: "Noi ci siamo, siamo ancora qui e ci attendiamo ancora molto da voi". 

Da chi? Chi sono gli interlocutori dell’ esplosivo di Brindisi? Intanto c’è chi apertamente, testardamente e sempre si dichiara per la legalità. E chi invece si batte nelle aule del Parlamento contro la legge sulla corruzione. C’è chi sostiene i giudici e chi li vuole asservire con una legge che li renda personalmente e direttamente responsabili di ogni errore o presunto tale… il catalogo è lungo e troppo doloroso da fare così all'improvviso mentre il nostro cuore è triste e si ribella per il sangue versato. 
Per favore risparmiateci parole di circostanza. Non è una circostanza. È la fine di tutto. 

19 maggio 2012

Perché a Brindisi un ordigno uccide davanti a scuola?

Oggi, nel clima politico arroventato delle elezioni amministrative, alla vigilia dei ballottaggi, mentre tace la campagna elettorale, in una fase di grave discredito della politica e in una condizione sociale assai pesante, a 4 giorni dal ventennale della strage di Capaci, in coincidenza con la Carovana della legalità organizzata in città, una bomba potente ma rudimentale esplode davanti ad una scuola di Brindisi, l'Istituto "Morvillo Falcone", uccide una ragazza innocente e ne ferisce altre; avrebbe potuto essere una strage. Perché? 
 
L'Istituto "Morvillo Falcone" aveva vinto il Primo premio della prima edizione del concorso sulla Legalità con la foto allegata. 


In questi occhi aperti e vigili che vogliono scrutarci nel profondo, ci sembra di ritrovare quelli di Melissa Bassi, la 16enne morta,  quelli di Veronica Capodieci, che lotta tra la vita e la morte e quelli di milioni di giovani che chiedono da troppo tempo VERITÀ e GIUSTIZIA. 

VOGLIAMO CONOSCERE LA VERITÀ VERA. 
TEMO CHE AVREMO, COME ALTRE VOLTE, FORSE I NOMI DEGLI ESECUTORI. 

23 dicembre 2011

Non sarà che porta sfiga?

Ma possibile che solo persone poco raccomandabili abbiano a che fare con lui? A volte mi chiedo se sia lui a cercarle e irretirle o quelle a non evitarlo adeguatamente. 


Questo è l'ultimo post che gli dedico per l'anno in corso e approfitto per fargli gli auguri che l'anno nuovo gli porti migliori frequentazioni e in un Paese diverso. 



L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti.
Io sono legato da amicizia vera con il presidente egiziano Mubarak, con il presidente libico Gheddafi e con il presidente della Tunisia Ben Ali.
L'amore del popolo bielorusso per il presidente Aleksandr Lukashenko si vede dai risultati elettorali che sono sotto gli occhi di tutti. 
Medvedev e Putin sono un dono di Dio per il vostro Paese. 
Don Verzè l'ho conosciuto ed è una persona straordinaria, un uomo di fede e una persona rara. Non credo assolutamente sia implicato in quei fatti.

L'Italia l'ha ridotta nello stato in cui l'ha lasciata dopo 10 anni di cura. Tre dei suoi potenti amici stranieri (Mubarak, Ben Ali, Gheddafi) sappiamo come sono finiti. Anche l'amico Putin non se la passa tanto bene. Gli amici italiani più cari, Previti e Dell'Utri, sono stati condannati per gravi reati. Don Verzè con il suo San Raffaele è nell'occhio del ciclone. Poi c'è Brancher, c'è Lele Mora, e mi fermo qui. 

Su Angelino Alfano l'ultima che ha detto è: Ha doti umane inarrivabili. 
Dovrà temere anche lui la sorte di tanti altri amici? 
A Monti, infine, consiglio di stargli alla larga. Non si sa mai!





Mafia e corruzione: il mosaico nero Berlusconi, Previti, Dell'Utri

23 novembre 2010

Adesso chi manderanno a fare il controcanto? Bertolaso o Cosentino?

Il ministro Maroni è andato a leggere a Vieni via con me l'elenco arcinoto dei beni sequestrati e degli arresti di mafiosi (gliene mancano solo due: Michele Zagaria e Matteo Messina Denaro - dopodichè l'elenco sarà completo e potremo fare sonni tranquilli) attribuendone per la prima volta il merito alla magistratura e alle forze dell'ordine (nonostante il taglio dei fondi a Polizia e carabinieri e i continui attacchi alla magistratura) ma prendendone anche per sè e per il suo governo una parte. Maroni fa la difesa politica della Lega nord  I sindacati di polizia critici sull'intervento di Maroni da Fazio.

Ma Roberto Saviano ha fatto un racconto esemplare sul problema rifiuti a Napoli, sulle responsabilità gravi della camorra, della politica e di enti e strutture del Nord che, insieme, hanno contribuito a rendere Napoli e la Campania una grande discarica a cielo aperto. 

Adesso chi manderanno a leggere il contro-elenco? 
Cosentino o Bertolaso?

Roberto SAVIANO - Rifiuti e veleni - Vieni via con me


RENZO PIANO - Cosa significa fare - Vieni via con me

17 novembre 2010

A MARONI CHE SI SENTE OFFESO DA SAVIANO

Al ministro Maroni che si sente offeso per la citazione di Saviano su Gianfranco Miglio, ideologo della Lega; che non esprime una parola  di elogio per la passione civile dello scrittore, di soddisfazione e compiacimento per il coraggio che dimostra quando fa vedere a milioni di Italiani la struttura dell'organizzazione mafiosa, il suo modus operandi, e il suo tendere al controllo delle aree più ricche del Paese, io rispondo così:

Caro Ministro, fino a pochi anni addietro, anche in Sicilia la parola mafia era bandita e a chi si azzardava a parlarne, vemiva detto che il fenomeno esisteva solo nella mente di qualche fanatico di sinistra, e subito si cambiava argomento parlando di donne, di sport o motori.
Caro Ministro, l'opera di Roberto Saviano è meritoria, non solo perchè porta al più vasto pubblico la conoscenza puntuale e argomentata del fenomeno ma soprattutto perchè riesce a stimolare la coscienza civile, perchè ognuno di noi senta il dovere di fare la propria parte nel contrasto a tutte le mafie, che non può essere affidato esclusivamente alle forze di polizia.
Conoscere il male aiuta a trovare i mezzi per debellarlo!

Le offro, pertanto, il video che riproduce l'intervento di Saviano sulla Ndrangheta al Nord, perchè Lei possa visionarlo con maggiore attenzione e parlarne in modo più congruo e appropriato; e quello di un giovane musicista napoletano, Antonio Rocco, (Lei è anche un ottimo intenditore di musica) che ha dedicato un brano struggente A Roberto (Saviano, non Maroni) col quale ha vinto il premio Piedigrotta 2008

Roberto SAVIANO: la Ndrangheta al Nord - Vieni via con me


Antonio Rocco e Marianna Corrado cantano A Roberto


P.S.: Sulla polemica Maroni-Saviano

Maroni a Saviano: Vorrei un faccia a faccia con lui per vedere se ha il coraggio di dire quelle cose guardandomi negli occhi.

Saviano risponde: Una frase che mi ha molto inquietato. 
Mi ha ricordato un altro episodio. Su Repubblica scrissi una lettera a Sandokan Schiavone dopo l'arresto del figlio. Lo invitavo a pentirsi. L'avvocato di Schiavone mi rispose: voglio vedere se Saviano ha il coraggio di dire quelle cose guardando Sandokan negli occhi. Per la prima volta, da allora, ho riascoltato questa espressione. E sulla bocca del ministro dell'Interno certe parole sono davvero inquietanti. 

09 novembre 2010

Benigni e Saviano a Vieni via con me (video integrali)

Un Roberto Benigni che irrompe con tutta la sua leggerezza e la sua verve nella trasmissione di Rai 3 Vieni via con Me e un Roberto Saviano che ci spiega puntualmente le modalità operative della macchina del fango.

Qualunque sia il tuo stile di vita, qualunque sia il tuo lavoro, qualunque sia il tuo pensiero, se ti poni contro certi poteri questi risponderanno sempre con un’unica strategia: delegittimare. Delegittimare il rivale agli occhi della pubblica opinione, cercare di renderlo nudo raccontando storie su di lui, descrivere comportamenti intimi per metterlo in difficoltà, così che le persone quando lo vedono comparire in pubblico possano tenere in mente le immagini raccontate e non considerarlo credibile. Questa è disinformazione, più sottile della semplice calunnia che agisce soprattutto con i nemici. La disinformazione invece punta a distruggere le vittime nel campo degli amici, seminando quei dubbi e quei sospetti che proprio gli amici debbono temere.

Vieni via con me- Roberto Benigni: Silvio dimettiti


Roberto Saviano: La macchina del fango


Roberto SAVIANO e il Tricolore


Gli ultimi giorni di governo potrebbero passare da Pompei. Pompei che non ha ancora smesso di crollare, si apriva così ieri sera la trasmissione di Fazio e Saviano: quanti tipi fossero e che nomi avessero le prostitute a Pompei. Prostitute e Pompei: così l'Italia sui giornali di tutto il mondo. Il Paese è un bordello per potenti, è Ruby e le altre. E' il paese che lascia crollare Pompei. (Concita De Gregorio)

05 novembre 2010

MARATONA PER LA LEGALITA' IN RICORDO DI ANGELO VASSALLO

Per ricordare Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso il 5 settembre scorso, oggi, a due mesi di distanza dal brutale assassinio andrà online dalle 19 e 30 alle 24 a rete unificata una maratona per la legalità su decine di web-tv.

Angelo Vassallo ha avuto la colpa mortale di credere e di lottare per la legalità e l’ambiente senza se e senza ma, senza compromessi con  la criminalità organizzata. 
Sempre in prima linea nelle battaglie per il rispetto dell'ambiente, su cui aveva investito come amministratore pubblico, aveva ottenuto alla località costiera cilentana riconoscimenti quali le bandiere blu e un rilancio turistico. 
Chi ha ucciso ha atteggiamenti più simili alle bestie che agli uomini. Mi auguro che non siano mescolati tra noi o che siano sprofondati sulle loro poltrone a guardare in tv questa grande manifestazione di affetto per Angelo. Così iniziava l'omelia del vescovo di Vallo della Lucania, monsignor Rocco Favale, ai funerali di Angelo Vassallo.

Cose nostre: per la legalità e la cultura, ricordando Angelo Vassallo, questo il titolo della diretta. Tutte le informazioni sull’evento e i siti web che parteciperanno all’iniziativa, sono disponibili all’indirizzo CoseNostre


Non far finta di niente!



10 ottobre 2010

Mafia, appalti e stragi. Un depistaggio lungo vent’anni, di Sebastiano Gulisano

Lo scorso 5 ottobre, il generale Mario Mori, in un colloquio col giornalista-senatore Lino Jannuzzi (che fungeva più da “spalla” che da intervistatore) ha raccontato la sua versione di quello che definisce «il processo a me, ai miei colleghi, al Ros, ai carabinieri» e il cui inizio fa risalire al «16 febbraio del 1991, vent’anni fa, quando consegnammo alla procura di Palermo il rapporto dell’inchiesta detta “mafia e appalti”…». La chiacchierata fra i due amici, che ricalca un articolo pieno di inesattezze pubblicato in rete da Jannuzzi un anno fa, è un vero e proprio distillato di disinformazione e allusioni sulle stragi del ’92 e su vicende ad esse connesse come, appunto, l’ormai “mitico” rapporto di 890 pagine consegnato dal capitano Giuseppe De Donno al procuratore aggiunto Giovanni Falcone, il 20 febbraio del 1991, e da questi consegnato a sua volta al procuratore capo, Pietro Giammanco, che lo chiuse in cassaforte. «Una leggenda», commentano Jannuzzi e Mori, riferendosi a quel rapporto e a quell’inchiesta. Vero, verissimo. Ormai la leggenda ha prevalso sulla storia e, come ogni leggenda, è intrisa di verità, mezze verità e menzogne scecherate così bene da essersene smarriti i confini. Confini non agevoli da ridefinire con una ricostruzione giornalistica per quanto documentata, approfondita e articolata. Però alcuni punti fermi si possono agevolmente fissare, proprio confutando le parole di Mori riportate da Jannuzzi, a proposito dell'inchiesta su mafia e appalti.
Prima, comunque, necessita una premessa.

L’inchiesta su mafia e appalti prende il via nell’88, in seguito a una “soffiata” ricevuta dai carabinieri che indagano sull’omicidio di un allevatore in un comune delle Madonie. Le successive indagini svelano che Cosa Nostra non ha più un atteggiamento parassitario (imposizione del pizzo, di assunzioni, di forniture di materiali) ma, come spiega Giovanni Falcone, durante un convegno organizzato dall’Alto commissario antimafia, nella primavera del 1990, «indagini in corso inducono a ritenere l’esistenza di un’unica centrale mafiosa che condiziona a valle e a monte la gestione degli appalti pubblici».
Un passo dopo l’altro, un’intercettazione dopo l’altra, si arriva al 20 gennaio del 1991, quando De Donno consegna a Falcone il rapporto citato, ma il magistrato è ormai prossimo a trasferirsi al ministero di via Arenula e, con gli altri colleghi del pool antimafia, è impegnato in una corsa contro il tempo per chiudere l’istruttoria sugli omicidi politici (Mattarella, La Torre, Reina) prima che scadano i termini imposti dalla legge, nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale. Per tale motivo il monumentale documento finisce in cassaforte, ché anche i sostituti Pignatone e Lo Forte, assegnatari del fascicolo insieme con Falcone, sono impegnati nella medesima istruttoria, depositata il 12 marzo 1991. L’inchiesta è così complessa e la mole degli atti talmente monumentale che, nel mese di maggio, il procuratore Giammanco decide di affiancare a Pignatone e Lo Forte altri 6 sostituti (Carrara, De Francisci, Morvillo, Natoli, Scarpinato e Sciacchitano) e il procuratore aggiunto Spallitta.
I Ros dell’allora tenente colonnello Mori e del capitano De Donno individuano 45 persone – mafiosi, noti imprenditori nazionali, progettisti, faccendieri e un paio di politici palermitani – a carico dei quali ipotizzano i reati di associazione mafiosa (per 24 di loro) e di associazione per delinquere finalizzate alla spartizione degli appalti pubblici (21). L’organizzazione sarebbe capeggiata da Angelo Siino, un massone mafioso legato ai Brusca di S. Giuseppe Jato, arrestato il 9 luglio ’91 con altre quattro persone: il geometra Giuseppe Li Pera, capoarea in Sicilia occidentale della Rizzani De Eccher di Udine, e gli «imprenditori» Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici, tutti accusati di mafia. Ai cinque, all’inizio del ’92, si aggiungeranno Vito Buscemi e Rosario Cascio. Il 13 luglio del 1992, ritenendo di non avere elementi sufficienti per il giudizio, la Procura deposita la richiesta di archiviazione di 21 indagati nell’inchiesta scaturita dal rapporto del Ros e il 22 la presenta al Gip, che il 14 agosto firma il decreto di archiviazione. Resta aperto il filone Sirap, una società della Regione siciliana.
Secondo i magistrati della Procura di Palermo, che lo scrivono in una relazione al Csm, alla fine del ’92, l’indagine del Ros ha prodotto «un salto di qualità nelle conoscenze sino ad allora acquisite sui rapporti tra Cosa Nostra e il mondo imprenditoriale. Ed in effetti emergeva che l’associazione mafiosa non si limitava più a svolgere un ruolo di sfruttamento meramente parassitario delle attività economiche-imprenditoriali, concretatesi nell’imposizione di tangenti, di subappalti, di imposizione della manodopera, ma mirava a realizzare un controllo integrale e un pesante condizionamento interno del mondo imprenditoriale e del settore dei lavori pubblici in Sicilia».
Il 26 luglio del ’91, dopo i primi arresti, la Procura ha delegato i Ros ad approfondire il filone d’indagine sulla Sirap, società pubblica incaricata di gestire la realizzazione di una serie di aree artigianali in Sicilia, per un ammontare complessivo di mille miliardi di lire. Così facendo, la Procura ha messo in campo una strategia articolata in tre punti: 1) l’arresto degli elementi più pericolosi dell’organizzazione, sui quali c’erano elementi sufficienti per ottenere il rinvio a giudizio e la condanna; 2) acquisire altri elementi su soggetti già individuati dai Ros; 3) individuare i referenti politici e amministrativi dei boss.
In realtà, non tutto filava liscio, visto che a metà giugno del 1991, la Sicilia, il quotidiano di Catania, avviava una campagna contro la Procura, accusata di tenere «nel cassetto» il rapporto dei Ros, pubblicando anche stralci delle intercettazioni «insabbiate». Campagna che presto tracimerà sulle pagine di tanti quotidiani e periodici. Insomma: il «processo» non era ai Ros, come sostiene il generale nella chiacchierata con Jannuzzi, ma ai magistrati.

«L’inchiesta mafia e appalti è diventata una leggenda.
“È vero, una leggenda. Era solo il primo mattone, ma era una novità assoluta, il capitano Giuseppe De Donno, il principale collaboratore di Giovanni Falcone, che lo chiamava affettuosamente ‘Peppino’ e che era uno dei pochi investigatori che poteva permettersi di dargli del ‘tu’, e non si staccava mai da lui, che se lo portava appresso anche all’estero, in giro per il mondo, aveva fatto un ottimo lavoro e, avvalendosi delle confidenze di un geometra, Giuseppe Li Pera, che lavorava in Sicilia per la ‘Rizzani De Eccher’, una grossa azienda del nord, aveva ricostruito la mappa del malaffare tangentizio siciliano, la prima del genere e che anticipava di qualche anno la Tangentopoli nazionale”.
Sul momento, non se ne accorse nessuno.  
“Se ne accorse Giovanni Falcone, che ci fece persino lo spunto per un convegno, che concluse col famoso annuncio: ‘La mafia è entrata in borsa’… E con quell’annuncio iniziò la sua fine, perché se ne accorsero gli interessati, le imprese, i mafiosi e i politici”.
Ma non successe niente.  
“La procura di Palermo non ci dette nemmeno le deleghe per proseguire le indagini e delle 44 posizioni che avevamo individuato emise solo cinque ordini di arresto, ma consegnò agli avvocati degli arrestati tutto il malloppo, tutte le 890 pagine del rapporto, con i nomi e i cognomi di tutti i 44 indiziati”.»
Il rapporto dei Ros sarebbe, dunque, anche il frutto delle confidenze del geometra Li Pera al capitano De Donno. Così vuole la leggenda, non la storia. Giuseppe Li Pera è uno dei cinque arrestati del luglio ’91, quando finisce in manette anche Angelo Siino, anche lui confidente dell’ufficiale del Ros che, così si sarebbe “bruciato” ben due fonti. Un bel risultato, non c’è che dire. Ma andiamo con ordine. Dopo l’arresto, Li Pera viene interrogato due volte dai pm di Palermo, ma si rifiuta di rispondere. Il 17 febbraio 1992, dopo sette mesi di carcere e, soprattutto, dopo il deposito delle intercettazioni che lo inchiodano, invia ai magistrati una memoria in cui tenta una inutile quanto disperata difesa, dichiarandosi estraneo ai fatti contestati. Lo stesso fa il 5 marzo, durante un interrogatorio dei pm Lo Forte e Scarpinato al quale assiste anche De Donno.
5 marzo 1992: questa data è importante, ché alla fine dell’interrogatorio l’ufficiale si apparta coi due pm e, convinto che l’imputato sia condizionato dal suo avvocato, chiede ai magistrati di poterlo incontrare da solo per convincerlo a collaborare. Permesso accordato.
Il 9 marzo la Procura chiede il rinvio a giudizio di Li Pera, Siino e gli altri tre coindagati, per associazione mafiosa,
Il 30 aprile ai Ros di Palermo arriva una lettera anonima con la quale li si invita a «interrogare Li Pera» per scoprire «imbrogli» su alcuni appalti pubblici in provincia di Catania e a chiedere «informazioni al giudice Lima», al quale i Ros, il 3 maggio, trasmettono l’esposto anonimo e una nota esplicativa. Risulterà che l’anonimo era stato scritto dallo stesso Li Pera, che dal 13 al 15 giugno e il 27 agosto è interrogato in carcere dal pm etneo Felice Lima, come persona informata sui fatti, mentre il 20 luglio è il capitano De Donno, su delega del pm, a interrogarlo. Li Pera racconta in maniera meticolosa il funzionamento del sistema degli appalti siciliano e nazionale, tacendo su Cosa Nostra, che si intravede solo nell’espressione «forza di tipo diverso» delegata alla «risoluzione dei contrasti» tra imprese che non riesce a sbrogliare Filippo Salamone, imprenditore agrigentino delegato a sbrogliare le situazioni complicate. Il 14 ottobre 1992, il collaborante è interrogato per la prima volta in presenza di un avvocato, poiché indagato in seguito alle sue stesse rivelazioni.
Li Pera, fin dal primo interrogatorio (13 giugno) mette a verbale che i pm di Palermo non l’hanno mai voluto sentire: affermazione falsa e il capitano De Donno, che assiste il pm Lima, lo sa bene. Li Pera, inoltre, sostiene di non fidarsi della Procura del capoluogo, ché, secondo quanto riferitogli dal suo legale (successivamente arrestato e condannato per mafia), nell’estate del ’91 ci sarebbe stata una riunione fra pm e avvocati, in cui sarebbe stato deciso chi arrestare e chi no delle persone accusate dai Ros: lui stesso, Siino e gli altri tre finirono nell’elenco dei «sacrificabili». L’attendibilità dell’avvocato, si commenta da sé.
I pm di Palermo, della collaborazione di Li Pera, non sapranno nulla fino al 28 ottobre 1992, quando il procuratore di Catania e i suoi aggiunti invieranno nel capoluogo gli interrogatori di Li Pera, un rapporto di 843 pagine dei Ros di Palermo redatto dal capitano De Donno e datato 1 ottobre 1992, e una nota introduttiva di 8 pagine firmata dai capi dell’ufficio etneo. Dopo avere chiuso in un cassetto la richiesta di custodia cautelare avanzata da Felice Lima nei confronti dei vertici della Regione siciliana, grandi imprenditori regionali e nazionali, professionisti e qualche boss: 22 in tutto. L’inchiesta era incentrata, fra l’altro, su alcuni appalti  catanesi della Sirap (gli stessi per i quali indagava Palermo). Lima, in realtà, aveva provato a contattare Paolo Borsellino (lo ha confermato al Csm la madre del magistrato ucciso) ma il tritolo lo ha tolto di mezzo prima che i due potessero incontrarsi.
Nello stesso periodo, il capitano De Donno indagava per conto dei pm antimafia di Palermo e per il pm Felice Lima di Catania, su fatti che a volte si sovrapponevano (Sirap) e consegnando corpose informative ai due diversi uffici inquirenti (a Palermo, il 5 settembre 1992), tanto che, scrivono i magistrati palermitani nella relazione al Csm, alla fine del ’92, gli allegati dell’informativa consegnata a Lima il primo ottobre erano costituiti «in massima parte da fotocopia di atti compiuti dalla Procura della Repubblica di Palermo».
Il 19 ottobre, a Palermo, inizia il processo a Li Pera, Siino e gli altri arrestati, ma i pm non sanno della collaborazione del geometra, che apprenderanno solo quando da Catania gli arriveranno i verbali di Li Pera (28 ottobre) e saranno costretti a cambiare completamente strategia accusatoria a processo avviato. Non solo. Siccome le dichiarazioni si incastrano alla perfezione col contenuto delle intercettazioni telefoniche alla base del primo rapporto dei Ros (quello consegnato a Falcone prima di trasferirsi a Roma), le 21 archiviazioni chieste dai pm il 13 luglio e disposte dal gip il 14 agosto, non ci sarebbero state. Questi sono i fatti. Così com’è un fatto che i Ros si sono tenuti per oltre due anni (dal ’90 alla fine del ’92) intercettazioni che coinvolgevano pesantemente uomini politici di primo piano (fra questi, Salvo Lima, ucciso il 12 marzo 1992) nella gestione illecita degli appalti pubblici. Con buona pace del generale Mori, di Jannuzzi e dei loro seguaci che continuano a diffondere leggende.
Allo stesso modo, è leggenda che Falcone, dopo avere letto il rapporto del febbraio 91, avrebbe pronunciato a un convegno la celebre frase sulla «mafia in Borsa» e sarebbe stato ucciso in conseguenza di ciò, ché quella frase risale all’88, a dopo che Gradini rilevò le imprese del conte Arturo Cassina poste sotto sequestro dall’Alto commissario per la lotta alla mafia.
È parimenti leggenda che la Procura non li delegò a proseguire l’inchiesta: i Ros hanno avuto le deleghe il 26 luglio del 1991 (Sirap) e, in conseguenza di ciò, c’è l’informativa del 5 settembre 1992.
L’inchiesta «insabbiata» dai magistrati di Palermo raggiunge il suo apice la notte tra il 25 e il 26 maggio del 1993, quando vengono eseguiti 25 arresti di boss, amministratori della Sirap, imprenditori d’alto rango e politici di livello nazionale, mentre alcune decine di esponenti politici ricevono degli avvisi di garanzia, per tre dei quali (Nicolosi, Mannino e Buttitta) si rende necessario chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere. Determinanti, a tal proposito, risultano le dichiarazioni di Giuseppe Li Pera che nel frattempo ha descritto senza reticenze anche il ruolo «regolatore» di Cosa Nostra nel sistema degli appalti.

Il resto dell’intervista meriterebbe analoga meticolosità, ma, come ho scritto all’inizio, la materia è troppo complessa per un articolo giornalistico. Ci vorrebbe un libro. E piuttosto corposo. Ritengo, però, che l’analisi dei fatti relativi alla vicenda mafia e appalti renda chiaro quanto sia attendibile il generale Mori (che, comunque, di tanto in tanto, dice anche cose vere).
Per qualificare Jannuzzi basta invece un suo editoriale che, quando Falcone si trasferì a Roma, scrisse sul Giornale di Napoli: «Cosa Nostra uno e due» s’intitolava, e si metteva in guardia dal possibile rischio rappresentato dal fatto che Falcone e Gianni De Gennaro potessero diventare, rispettivamente, capo della Dna e direttore della Dia:
«Se le candidature andranno a buon fine, si ricostruirà, al vertice del tribunale speciale e della superpolizia, la coppia che fu la massima, e la più autentica espressione […] del “professionismo dell’antimafia”. «È una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e per i maxiprocessi, ha approdato al più completo fallimento: sono Falcone e De Gennaro […] i maggiori responsabili della débâcle dello Stato di fronte alla mafia. «Ma non è questo il punto. Se i “politici” sono disposti ad affidare agli sconfitti di Palermo la gestione nazionale della più grave emergenza della nostra vita, è, almeno entro certi limiti, affare loro. Ma l’affare comincia a diventare pericoloso per tutti noi: da oggi, o da domani, dovremo guardarci da due “Cosa Nostra”, quella che ha la Cupola a Palermo, e quella che sta per insediarsi a Roma. E sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto». Anni dopo, Jannuzzi si difenderà sostenendo che intendeva riferirsi solo a De Gennaro, ma il contenuto del suo scritto è inequivocabile.

***
Personalmente, ritengo che l’inchiesta su mafia e appalti e, più in generale, lo svelamento di Tangentopoli, siano fra le concause delle stragi del ’92-’93, non il movente delle prime due, come sostengono i Ros e i loro seguaci (falsando spesso e volentieri fatti e date), che additano come depistatori e complici di Riina chiunque sostenga altro.

Grazie a Sebastiano per la meticolosa ricostruzione di fatti che meriterebbero un'attenta riflessione da parte di tutti noi.

21 luglio 2010

TORNARE A PALERMO ...

per ricordare due veri eroi del nostro tempo, di  Adriana Castellucci.
Ormai da diciotto anni tornare a Palermo per me significa non mancare all'appuntamento del 19 luglio: una sorta di rito che sigilla un patto con la memoria collettiva del nostro disgraziato Paese. Rivedo vecchie facce del passato, ne conosco di nuove, recrimino sul numero dei partecipanti, mi entusiasmo comunque nel cogliere gli elementi di discontinuità col passato. Sono stati tre giorni intensi quelli dedicati alla strage di via D'Amelio.
Sabato sera nell'atrio seicentesco di Giurisprudenza c'era una gran ressa, moltissimi seduti per terra: tutti a stringerci attorno a magistrati e giornalisti coraggiosi, ad Antonio Ingroia e Scarpinato, a Sandra Rizza, per fare alcuni nomi. Di nuovo a sperare, di nuovo a voler  sapere di più sulle grandi stragi da cui è stata partorita la nostra cosiddetta seconda repubblica, di nuovo a cercare di capire la forza eversiva dei depistaggi. Lo stravolgimento delle Istituzioni.
Oggi pomeriggio c'era tanta gente in corteo a gridare: "Ho un sogno nel cuore: Dell'Utri all'Ucciardone!" Molti giovani del movimento delle Agende rosse venuti da diverse parti d'Italia a scandire: Resistenza! Resistenza! L'Italia è nostra e non di Cosa nostra! A sostare sui luoghi simbolo della più grande lacerazione che il nostro Paese ha subito nella sua storia repubblicana: via D'Amelio, l'albero Falcone di via Notarbartolo. Molta rabbia e commozione che tutti questi anni in attesa della verità e della giustizia non hanno attenuato.
Al termine di un lungo corteo che ha attraversato mezza città c'è stato un momento di sorprendente coinvolgimento: proprio sulla panchina di marmo, dove erano state collocate e poi abbattute due statue raffiguranti Falcone e Borsellino, due attori hanno ridato vita e voce ai due giudici in un serrato e struggente dialogo in cui rabbia, rimpianto, tenerezza si intrecciavano convulsamente a restituirci il senso profondo delle loro vite sacrificate. Per un momento i presenti abbiamo avuto l'illusione di averli lì tra noi. Vivi. Abbiamo lasciato che la forza travolgente della finzione scenica ce li restituisse nella loro fisicità, che violenza e morte almeno per quell'ora potessero esser sconfitte. E che il tempo sospeso fosse ancora fermo a prima del '92 quando ancora era tutto possibile e la guerra dichiarata alla mafia potesse essere vincente.
Sempre più mi convinco della forza visionaria del teatro, della sua capacità eversiva di riportare l'ordine morale.
Ad accompagnarmi in questi giorni c'era un pezzetto di Nuovo Mondo: Alina, Rita, Claudia e Laura. Un germoglio gentile di un'umanità nuova.
Un caro abbraccio per tutti voi. Adriana

Grazie Adriana, per il tuo resoconto toccante. 
Speriamo tutti che presto la verità venga alla luce intera!

18 luglio 2010

CHI SALVERÀ QUESTO PAESE?

Una cricca segreta e ampiamente rappresentata, fatta di magistrati (per fortuna non rossi comunisti), politicanti smaniosi di affermazione, affaristi senza scrupoli, si è insediata all'ombra di questo governo del malaffare. Un grumo di potere che opera fuori dalle leggi e contro ogni criterio di convivenza democratica. Quattro pensionati sfigati li ha definiti il piccolo Cesare; dozzine di mascalzoni e farabutti, delinquenti e criminali se risultasse vero quanto si evince dalle intercettazioni.
Adesso si può capire meglio la fregola del padrone del vapore a fare approvare al più presto la legge-bavaglio. Quello che emerge col nome P3 è l'ultimo scandalo in ordine di tempo. Ma chissà cos'altro hanno da nascondere questi impuniti che ancora osano chiamare in causa il popolo sovrano per giustificare il malaffare nella cui brodaglia sguazzano mentre taglieggiano senza pudore il mondo operaio e i ceti più deboli per far quadrare i conti di uno Stato dissanguato dalla loro ingordigia! 
Non lasceremo indietro nessuno, predicava il nuovo monarca; viene salvato, infatti, anche Geronzi e si buttano a mare 10 milioni di poveri e tutti gli altri che la crisi ha portato sulla soglia della povertà. I miei complimenti più sentiti vanno, però, al D'alema che con questi uomini corrotti, protervi e impuniti sarebbe pronto a fare le larghe intese

Quale meraviglia, allora, se in questo clima di assalto alla diligenza, di capovolgimento della verità e della realtà dei fatti, un senatore della Repubblica, condannato in appello a 7 anni per mafia, siede ancora sul suo scranno e ribadisce che il mafioso Vittorio Mangano rimane il suo eroe mentre a Palermo, in Viale della Libertà, qualche altro criminale oltraggia la memoria di due veri eroi caduti in nome della legalità e della giustizia sfregiandone le statue!
O tempora o mores!

Leggi anche La macchina del fango targata Cosentino, di Roberto Saviano

23 maggio 2010

A 18 ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI

La nave della legalità ribattezzata 'Giovanni Falcone', con a bordo 1.500 studenti di tutta Italia, è salpata da Civitavecchia verso Palermo. Altri 1.000 giovanissimi salperanno da Napoli su un'altra nave, la 'Paolo Borsellino': anche loro in missione di legalità saranno domattina a Palermo per ricordare il giudice Falcone, la moglie e i 3 agenti della scorta che 18 anni fa morirono nell'attentato di Capaci e per urlare: 'no alla criminalità organizzata, sì alla legalità'. (Ansa di ieri)

Mentre si cerca ancora di far luce sulla strage di Capaci e sul precedente fallito attentato all'Addaura, Palermo commemora il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Sul sito della Fondazione Falcone il Programma completo delle manifestazioni e delle inziative.

Io vorrei riflettere sulla frase attribuita a Giovanni Falcone "Gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini". Mi sembra densa di significati profondi alla luce, anche, di quel grande movimento giovanile che si va costruendo intorno all'opera e al ricordo di Giovanni e Paolo, che rappresenta forse l'unica vera speranza di riscatto contro tutte le mafie e per la legalità. L'arrivo oggi a Palermo di 2500 ragazzi (18 anni fa non erano ancora nati) da ogni parte d'Italia è la testimonianza fisica, concreta che il sacrificio di Giovanni Falcone e di tutti i caduti nel compimento del loro dovere al servizio del Paese e della società non è stato vano.

Un altro pensiero però mi assilla: se fossero vivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, cosa penserebbero della legge in discussione in parlamento sulle intercettazioni? Come reagirebbero?




Vedi anche: Per non dimenticare Giovanni

P.S.: Mentre ricordiamo Giovanni e gli altri eroi caduti sul cammino della legalità e della giustizia, c'è ancora un Dell'Utri, senatore della Repubblica che, a margine dell’udienza del processo d’appello che lo vede imputato di concorso in associazione mafiosa, si permette di affermare, per l'ennesima volta, La mia vita è una tragedia, dove l’unico eroe è Vittorio Mangano.  Da Livesicilia

17 maggio 2010

DUE INTERVISTE ILLUMINANTI: a Roberto Saviano e a Serena Dandini

Oggi due interviste: una in video a Roberto Saviano della RSI - tv svizzera - e l'altra a Serena Dandini sull'Unità di ieri.
In ambedue si sente il peso di un potere illiberale che tende a soffocare tutte le voci fuori dal coro ma anche il coraggio, la forza e la leggerezza di chi crede in quello che fa e semina non tanto per l'oggi, piuttosto per costruire il domani. Gente che sa rispondere con un sorriso e un'alzata di spalle all'ottusità di chi pensa di avere posto un'ipoteca sulla vita e sul futuro del nostro Paese.

L'intervista concessa da Roberto Saviano alla televisone svizzera riporta il discorso sulle critiche di Berlusconi allo scrittore, reo di aver fatto un favore alla mafia scrivendo il libro Gomorra. Saviano critica il comportamento di Berlusconi e del governo, colpevole di voler metter il bavaglio anche a chi, meritoriamente, parla dei meccanismi mafiosi e dei loro risvolti sociali ed economici. Saviano parla di invito al silenzio da parte di Berlusconi sull'argomento e ribadisce che solo attraverso una giusta informazione e l'approfondimento del fenomeno mafioso si potrà contribuire alla formazione di una coscienza civica che l'Italia pare aver perso.




Serena Dandini è estremamente dotata di un sottile senso dell’umorismo e di una comicità innata che la rendono perfetta per trasmissioni fresche e divertenti come Parla con me.
Berlusconi si irrita, pazienza. Figuriamoci, alla mia età, se mi spavento. Non lascia, dall’anno prossimo raddoppia. In seconda serata e anche in prima. Il direttore ha confermato la programmazione di Parla con me da fine settembre. Poi ci ha chiesto anche di provare la prima serata su Rai tre, un esperimento. Gli potevo dire di no?

Per Concita De Gregorio, parlare per strada con Serena Dandini, persino in un giorno di pioggia torrenziale, è uno spettacolo. Si fermano come pellegrini. Il postino, la ragazza, l’anziana coppia. Una signora in età: Ma perché le cose interessanti le date la notte? Signora ci sarà una ragione. Sì, ma poi di giorno tutte 'ste cosce, poi dice che gli uomini si buttano dall’altra parte, e basta co' 'ste cosce. Lei ride spegne la sigaretta a metà: Adoro le donne. Le adoro.
 
Scalfaro, Rodotà, Zagrebelsky coi ragazzi in studio che fanno il tifo: questa cosa dei giovani che applaudono i vecchi è importante. Adesso torna, Scalfari: tra pochi giorni.
Amo i pagatori di canone. Ormai mi mandano le mail e si firmano così: pagatore di canone. E sulla par condicio: se mi danno un manualetto di istruzioni precise io procedo. Mi dicano: Fini al momento è di destra o di sinistra? E Rutelli? Ecco, sono pronta. Poi: tv pubblica, cosa vuol dire lo sanno? No perché non vuol dire di governo. Pubblica è quella che rappresenta la varietà di gusti e di stili presenti nel paese, spirito critico compreso.

16 maggio 2010

Se questo signore è un giornalista ...

... io potrei essere Santa Teresa d'Avila.

"Roberto Saviano, sempre lui, ma non è lui che ha scoperto la lotta alla Camorra, non è lui il solo che l'ha denunciata, ci sono registi e giornalisti come lui ... e che sono morti ... lui invece è ancora protetto, superprotetto, però non se ne può più di sentire che lui è l'eroe, qualcuno gli ha pure offerto la cittadinanza onoraria... di che cosa? Non si capisce. Ha scritto libri sulla Camorra, e l'ha fatto tanta altra gente, senza andare sulle prime pagine, senza fare tanto clamore, senza rompere - ehm senza disturbare la riflessione della gente - un Paese come il nostro è Contro la Mafia, non c'è bisogno che ci sia Roberto Saviano"



Il tipo di cui sopra - che imbastisce in questo modo il suo TG(?) e poi risponde nel modo che segue alle domande che gli vengono poste io proposito - ha tante probabilità di essere confuso con un giornalista, quante ne ho io di essere scambiato per Santa Teresa D'Avila.

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