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13 novembre 2017

Renzi – Berlusconi: breve storia di due destini incrociati

Dopo più di venti anni dalla sua prima comparsa in politica, il Cavaliere torna fresco e splendente sul suo cavallo bianco, scortato da due sorridenti palafrenieri mentre il suo giovane emulo, il povero Matteo, è costretto a chiedere aiuto senza più veti ai tanti compagni che pensava di avere rottamato. 

Certo che il destino talvolta è strano! Chi avrebbe scommesso, dopo l’esito deludente dei suoi precedenti governi, dopo tutto quello che si è detto e scritto sulle sue malefatte pubbliche e private, che l’uomo di Arcore potesse tornare alla ribalta della scena politica alla veneranda età di ottantun anni?
Chi avrebbe mai pensato che la parabola del giovane rottamatore di Rignano si potesse concludere tanto repentinamente?

Tant’è! Berlusconi torna al centro della vita politica riproponendo il solito tridente con al centro i suoi soliti aficionados forzitalioti, supportati al Nord dalla solita Lega, gestione riveduta e corretta di Salvini, al Centro-Sud dagli eredi di AN, decodificata e reinterpretata nell’aggiornamento Meloni. 

Il ritornello è sempre quello: meno tasse, meno Stato, grandi opere, tipo Ponte sullo Stretto. Nemico da abbattere non più i comunisti, ormai fuori gioco, ma il pauperismo predicato dai 5 stelle, la loro incompetenza amministrativa e di governo. 
Ma non voglio parlare di lui (questo blog ne ha raccontato fatti e misfatti fino alla caduta nel novembre 2011). 

Voglio parlare, invece, della parabola del rottamatore. Dopo aver scalato il Partito democratico e avervi insediato il suo gruppo fidato, ha avviato il suo progetto inteso ad acquisire i voti di un centrodestra in grande affanno dopo la condanna del proprio leader. Con una serie di interventi a sostegno della grande finanza e dell’imprenditoria rampante, con l’attacco ai sindacati e ai diritti dei lavoratori, ha ricevuto il plauso di quella destra che pensava di inglobare in quello che definì il partito della nazione. Il bonus degli 80 euro distribuito a pioggia a quanti non raggiungevano il salario di 1500 euro (esclusi disoccupati e incapienti) gli permise di ottenere il 40% dei consensi alle europee del 2014. Da quel momento cominciò a montarsi la testa mostrando una grande fretta nella realizzazione delle riforme eterodirette, ponendosi come l’uomo solo al comando e attivando una comunicazione piuttosto guascona, atteggiamenti assolutamente inediti nella tradizione del PD. Considerando assolutamente marginale e non meritevole di attenzione l’opposizione interna che, a suo dire, gufava per impedire la realizzazione delle magnifiche sorti e progressive, ne favorì la graduale fuoriuscita dal partito per avere campo libero, senza zavorre, nella realizzazione del suo sogno di cui sopra. Da quel momento sono iniziati i risultati deludenti e le sconfitte a tutte le consultazioni elettorali perché con i deputati cominciavano a lasciare il partito sindaci, amministratori locali e parte dell’elettorato sempre più frastornato per riforme come la buona scuola, il jobs act ecc. 

Ma il momento clou del suo declino lo segnò l’esito del referendum costituzionale del 4 Dicembre scorso e, successivamente, la parziale bocciatura da parte della Consulta della riforma elettorale che avrebbe dovuto essere il coronamento dell’opera. Sul Referendum si buttò sconsideratamente, lancia in resta - qui si fa l’Italia o si muore - usando tutti i mezzi, più o meno leciti, per quel SI che lo avrebbe incoronato dominus dell’Italia per parecchi decenni. Ma l’aggregarsi contro il suo PD di tutte le forze parlamentari, di tanti costituzionalisti critici sulla riforma, di un’opinione pubblica timorosa e preoccupata per lo stravolgimento della Carta operato attraverso una riforma fatta passare con voto di fiducia, ne decretarono il fallimento per 60% a 40%.
Lui si dimise da Presidente del Consiglio passando la mano al fidato Gentiloni, mantenendo quasi per intero la rappresentanza PD in Consiglio, compresa la Responsabile delle riforme passata ad altro incarico, e tenendo per sé la Segreteria del Partito. Lo stile diverso del nuovo premier durante l’anno in corso ha fornito a quest’ultimo riconoscimenti e stima creando preoccupazione nel Segretario che sentiva minacciata la sua leadership. Il conflitto maggiore c’è stato all'atto del rinnovo della carica al Governatore della Banca d’Italia e in occasione del voto sulla nuova, pessima riforma elettorale, sulla quale il governo ha dovuto imporre la questione di fiducia. 


Questo, secondo me, rappresenta l’apice del cupio dissolvi renziano. La Riforma elettorale, detta anche Rosatellum 2.0, fortemente voluta dal Pd e sostenuta da una destra rampante in attesa di rivincita, non garantisce agli elettori libertà di scelta e neanche governabilità, favorisce le alleanze prima e dopo le elezioni e sembra avere due obiettivi sicuri: tenere fuori dai giochi chi non intende coalizzarsi (vedi 5 stelle) e predeterminare la possibile grande coalizione Berlusconi - Renzi a esito elettorale raggiunto. 
Ma il risultato elettorale in Sicilia mostra come il tridente della destra riunita vinca a man bassa, il Movimento 5 stelle, pur con ottima performance, debba accontentarsi di un piazzamento d’onore mentre il cosiddetto centro-sinistra esca spaccato e con le ossa rotte.

Davanti a tanta debacle, consapevoli solo ora degli effetti disastrosi per le prossime politiche della legge costituzionale appena approvata, i piddini cercano di correre ai ripari, pronti a reimbarcare i transfughi senza condizioni e senza veti. A me sembra veramente troppo tardi. E’ ora che nasca dal basso una sinistra credibile che recuperi i suoi valori originali, che non pensi a giochi tattici per le prossime elezioni ma si impegni a rappresentare in tutte le sedi i problemi, i sogni e le speranze di un popolo di sinistra alla diaspora. Mi auguro che questa sinistra, ormai fuori dal Pd, riscopra la propria anima unitaria e torni ad essere credibile. 
Allo stato attuale, siccome il PD di Renzi sembra coincidere sempre più con il suo giglio magico con qualche fogliolina di contorno, c'è da prevedere che la prossima consultazione elettorale vedrà in campo, in uno scontro epocale, il vecchio che più vecchio non si può, già sperimentato per troppi anni al governo del paese, e il nuovo che ha dato solo prove marginali. 
Sembra difficile stabilire chi vincerà, ancora più difficile capire chi andrà a governare questo Paese martoriato e tragicamente senza futuro. 

Ecco la risposta da sinistra ad un Pd che sente di essere giunto al terminale 
Tutto questo agitarsi nel Pd per costruire una coalizione con la sinistra, solo ora, quando si rende palese la loro futura sconfitta è davvero penoso. Sono passati cinque lunghi anni in cui in tutti i modi abbiamo chiesto al governo di fare qualcosa di utile per i più deboli, per i precari, per l’ambiente di questo nostro paese. La risposta era sempre la stessa: va tutto bene così. Emendamenti sempre bocciati, proposte di legge ignorate, insulti quotidiani.
E ora che quasi nulla, in così tanto tempo, è stato fatto per la nostra gente; e ora che così tanto è stato fatto per assicurazioni, banche, grandi poteri economici, secondo loro noi dovremmo fare una coalizione per salvare i loro seggi nei collegi. Siamo quasi all'offesa, nel senso che si offende l’intelligenza della sinistra e degli elettori.
Al Ministro Orlando che dice che senza un’alleanza a sinistra il Pd perderebbe la sua missione, vorrei poter dire che quella missione non è solo già smarrita, ma è completamente fallita. È fallita con questi dieci anni di crisi, in cui il Pd si è progressivamente sempre più spostato dalla parte di interessi diversi da quelli del bene comune.
Ora game over. Noi giochiamo un’altra partita e con un’altra missione, ricostruire una sinistra popolare per riconquistare quei diritti e quelle libertà negati da un mercato senza regole, senza i quali, come si vede, l’Italia diventa ogni giorno un paese peggiore.
Elisabetta Piccolotti




Perché la Sinistra deve stare ferma un giro


Come funziona il Rosatellum

19 ottobre 2017

Le coincidenze

Fino a qualche settimana fa nutrivo il serio proposito di non andare a votare, sia per la prova deludente offerta dai governi della Regione Sicilia la cui autonomia è servita a costituire caste insopportabili di privilegiati e moltitudini di clienti, sia per l'ignobile legge elettorale che il Parlamento si accinge a propinarci, intesa a favorire le grandi ammucchiate falsando ingannevolmente l'intenzione dell'elettore.
Poi una giovane docente, che sta facendo con i suoi allievi una ricerca sulla libertà di pensiero, mi ha richiesto la traduzione del pamphlet di Stéphan Hessel Indignatevi! che avevo pubblicato in un post di questo blog. Con piacere gliel'ho fornito e rileggendolo ho trovato tutti i motivi per indignarsi e qualche stimolo ad impegnarsi. 
Ho deciso, perciò, che continuerò a votare selezionando, fior da fiore, formazione politica e candidati (pochi, per la verità) che hanno dimostrato con la loro coerenza e onestà di voler impegnarsi per garantire equità e giustizia sociale, combattendo abusi, corruzione e criminalità organizzata. 

Successivamente ho scoperto che domani corre il 1° centenario della nascita dell'illustre diplomatico. Allora ho deciso di dedicargli questo post ripubblicando la mia traduzione di Indignatevi! opportunamente revisionata, assieme ad una nota bibliografica sull'autore.


INDIGNATEVI!  di Stéphane Hessel 
Indignatevi! 93 anni. È un po' l'ultima tappa. La fine non è più lontana. Quale fortuna potere approfittare per ricordare ciò che è servito di zoccolo al mio impegno politico: gli anni della resistenza ed il programma elaborato sessantasei anni fa per il Consiglio Nazionale della Resistenza! Dobbiamo a Jean Moulin, nella cornice di quel Consiglio, la riunione di tutti i componenti della Francia occupata, i movimenti, i partiti, i sindacati, per proclamare la loro adesione alla Francia combattente ed al solo capo che si riconosceva: il Generale de Gaulle. Da Londra, dove lo avevo raggiunto nel marzo 1941, apprendevo che questo Consiglio aveva messo a punto un programma, l'aveva adottato il 15 marzo 1944 e proposto per la Francia liberata un insieme di principi e di valori sui quali sarebbe stata riposta la democrazia moderna del nostro paese.
Di questi principi e di questi valori, abbiamo oggi più che mai bisogno. Dobbiamo badare tutti insieme che la nostra società resti una società di cui possiamo essere fieri: non questa società dei clandestini, delle espulsioni, dei sospetti al riguardo degli immigrati, non questa società dove si rimettono in discussione le pensioni, le conquiste della Sicurezza sociale, non questa società dove i media sono nelle mani dei benestanti, tutte cose che avremmo negato di garantire se fossimo stati i veri eredi del Consiglio Nazionale della Resistenza.
A partire dal 1945, dopo un dramma atroce, le forze presenti in seno al Consiglio della Resistenza si dedicano ad una ambiziosa risurrezione. Ricordiamolo, allora fu creata la Sicurezza sociale come la Resistenza la prefigurava, come il suo programma la definiva: “Un piano completo di Sicurezza sociale, mirante ad assicurare a tutti i cittadini i mezzi di sussistenza, in tutti i casi in cui sono incapaci di procurarseli con il lavoro”; “Una pensione che permetta ai vecchi lavoratori di finire dignitosamente i loro giorni”. Le fonti energetiche, l'elettricità e il gas, le miniere di carbone, le grandi banche sono nazionalizzate. È ciò che questo programma raccomandava ancora: “il ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione monopolizzata, frutto del lavoro comune, delle sorgenti di energia, delle ricchezze del sottosuolo, delle compagnie di assicurazione e delle grandi banche”; “L'instaurazione di una vera democrazia economica e sociale, implica l'esclusione dei grandi feudi economici e finanziari dalla direzione dell'economia".
L’interesse generale deve prevalere sull'interesse particolare, l’equa distribuzione delle ricchezze create dal mondo del lavoro prevalere sul potere del denaro. La Resistenza propose “un'organizzazione razionale dell'economia che assicuri la subordinazione degli interessi particolari all’interesse generale, affrancata dalla dittatura professionale instaurata sull’esempio degli Stati fascisti”; ed il Governo provvisorio della Repubblica se ne fece portavoce.
Una vera democrazia ha bisogno di una stampa indipendente; la Resistenza lo sa, lo esige, difendendo “la libertà della stampa, il suo onore e la sua indipendenza rispetto allo Stato, al potere del denaro e alle influenze straniere”. Questo è ciò che riferiscono ancora le ordinanze sulla stampa, fin da 1944. Ora è proprio questo che oggi è in pericolo.
La Resistenza ci chiamava alla “possibilità effettiva per tutti i bambini francesi di beneficiare dell'istruzione più avanzata”, senza discriminazione; ora, le riforme proposte nel 2008 vanno contro questo progetto. Dei giovani insegnanti di cui sostengo l'azione, si sono rifiutati di applicarle ed hanno visto i loro stipendi mutilati per punizione. Si sono indignati, hanno “disubbidito", hanno giudicato queste riforme troppo lontane dall'ideale della scuola repubblicana, troppo al servizio di una società del denaro e non più in grado di sviluppare lo spirito creativo e critico.
È tutto lo zoccolo delle conquiste sociali della Resistenza che è rimesso oggi in discussione.

Movente della resistenza è l'indignazioneC’è chi ha il coraggio di sostenere che lo Stato non può assicurare più i costi di queste misure civili e sociali. Ma come può mancare oggi il denaro per mantenere e prolungare queste conquiste dal momento che la produzione di ricchezze è aumentata considerevolmente dalla Liberazione, periodo in cui l'Europa era in rovina? Se non perché il potere del denaro, così combattuto dalla Resistenza, non è stato mai tanto grande, insolente, egoista, coi suoi propri servitori fino alle più alte sfere dello Stato. Le banche oramai privatizzate si mostrano in primo luogo preoccupate dei loro dividendi, e dei cospicui stipendi dei loro dirigenti, non dell'interesse generale. La distanza tra i più poveri e i più ricchi non è stata mai tanto rilevante; e la corsa al denaro, la competizione, tanto incoraggiata.
Il motivo di base della Resistenza era l'indignazione. Noi, veterani dei movimenti di resistenza e delle forze combattenti della Francia libera, chiamiamo le giovani generazioni a far rivivere, trasmettere, l'eredità della Resistenza ed i suoi ideali. Diciamo loro: prendete il testimone, indignatevi! I responsabili politici, economici, intellettuali e l'insieme della società non devono disorientarsi, né lasciarsi impressionare all'attuale dittatura internazionale dei mercati finanziari che minaccia la pace e la democrazia.
Auguro a tutti voi, a ciascuno di voi, di avere il vostro motivo di indignazione. È una cosa preziosa. Quando qualche cosa vi indigna come mi sono indignato io per il nazismo, allora si diventa militante, forte ed impegnato. Si raggiunge la corrente della storia e la grande corrente della storia deve proseguire grazie a ciascuno. E questa corrente va nel senso di una maggiore giustizia, di più libertà ma non questa libertà incontrollata della volpe nel pollaio.
Questi diritti di cui la Dichiarazione universale ha redatto il programma nel 1948, sono universali. Se incontrate qualcuno che non ne beneficia, compiangetelo, aiutatelo a conquistarli.

Due visioni della storiaQuando provo a comprendere ciò che ha causato il fascismo che ha fatto sì che fossimo invasi dallo stesso e da Vichy, mi dico che i possidenti, col loro egoismo, hanno avuto terribilmente paura della rivoluzione bolscevica. Essi si sono lasciati guidare dalle loro paure. Ma se, oggi come allora, una minoranza attiva si drizza, ciò basterà, avremo il lievito affinché la pasta gonfi. Certo, l'esperienza di uno molto anziano come me, nato nel 1917, si differenzia dall’esperienza dei giovani di oggi. Io chiedo spesso ai professori dei licei di poter dialogare con i loro alunni, e dico loro: voi non avete le stesse ragioni evidenti di impegnarvi. Per noi, resistere, era non accettare l'occupazione tedesca, la disfatta. Era relativamente semplice. Semplice come ciò che ne è seguito, la decolonizzazione. Poi la guerra dell'Algeria. Occorreva che l'Algeria diventasse indipendente, era evidente. In quanto a Stalin, abbiamo applaudito tutti alla vittoria dell'armata rossa contro i nazisti, nel 1943.
Ma già da quando si ebbe consapevolezza dei grandi processi stalinisti del 1935, anche se bisognava mostrare attenzione verso il comunismo per controbilanciare il capitalismo americano, la necessità di opporsi a questa forma insopportabile di totalitarismo si impose come un'evidenza. La mia lunga vita mi ha dato una sequela di ragioni per indignarmi. Queste ragioni sono state prodotte più da una volontà di impegno che da un'emozione. Il giovane normale che ero, era stato molto segnato da Sartre, un compagno maggiore. La Nausea, Il Muro, non L’Essere e il nulla, sono stati molto importanti nella formazione del mio pensiero. Sartre ci ha insegnato a ricordare: Voi siete responsabili in quanto individui. Era un messaggio libertario. La responsabilità dell’uomo che non può affidarsi né ad un potere né ad un dio. Al contrario, bisogna impegnarsi in nome della propria responsabilità di persona umana. Quando sono entrato alla scuola normale di via d’Ulm, a Parigi, nel 1939, io ci entravo come fervente discepolo del filosofo Hegel, e seguivo il seminario di Maurice Merleau-Ponty. Il suo insegnamento esplorava l’esperienza concreta, quella del corpo e delle sue relazioni col senso, grande singolare espressione al plurale dei sensi. Ma il mio ottimismo naturale, che vuole che tutto ciò che è augurabile sia possibile, mi portava piuttosto verso Hegel. La filosofia hegeliana interpreta la lunga storia dell’umanità come avente un senso: è la libertà dell’uomo che progredisce tappa dopo tappa.
La storia è fatta di shock successivi, è la messa in conto di sfide. La storia delle società progredisce, e finalmente, quando l’uomo raggiunge la sua piena espressione, abbiamo lo stato democratico nella sua forma ideale.

Esiste certamente un’altra concezione della storiaI progressi fatti nella libertà, la competizione, la corsa al "sempre di più", tutto questo può essere vissuto come un uragano distruttivo. Così lo rappresenta un amico di mio padre, l’uomo che ha diviso con lui il compito di tradurre in tedesco À la Recherche du temps perdu di Marcel Proust. È il filosofo tedesco Walter Benjamin. Egli aveva tratto un messaggio pessimista da un quadro del pittore svizzero, Paul Klee, l'Angelus Novus, dove la figura dell’angelo apre le braccia come per contenere e respingere una tempesta che identifica col progresso. Per Benjamin che si suiciderà nel settembre 1940 per sfuggire al nazismo, il senso della storia è l'avanzamento irresistibile di catastrofe in catastrofe.

L’indifferenza: il peggiore degli atteggiamentiÈ vero, le ragioni di indignarsi possono sembrare oggi meno nette o il mondo troppo complesso. Chi comanda, chi decide? Non è sempre facile distinguere tra tutte le correnti che ci governano.
Non si tratta più di una piccola élite di cui comprendiamo chiaramente l’operato. È un vasto mondo che sappiamo bene essere interdipendente.
Viviamo in una interconnettività come non era mai esistita. Ma in questo mondo, ci sono delle cose insopportabili. Per vederle, bisogna bene guardare, cercare. Dico ai giovani: cercate un poco, andate a trovare. Il peggiore degli atteggiamenti è l’indifferenza, dire “io non posso niente, me ne infischio". Comportandovi così, perdete una delle componenti essenziali che ci fa essere uomini. Una delle componenti indispensabili: la facoltà di indignazione e l’impegno che ne è la diretta conseguenza.
Si possono identificare già due grandi nuove sfide:
1. L’immensa distanza che esiste tra i molto poveri e i troppo ricchi, che non cessa di aumentare. È un mutamento del XX e del XXI secolo. I molto poveri nel mondo d’oggi guadagnano appena due dollari al giorno. Non si può lasciare che questa forbice si allarghi ancora. Questa sola constatazione deve suscitare un impegno.
2. I diritti dell’uomo e lo stato del pianeta. Ho avuto la fortuna dopo la Liberazione di essere associato alla redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Organizzazione delle Nazioni unite, il 10 dicembre 1948, a Parigi, al palazzo di Chaillot. Nella funzione di capo di gabinetto di Henri Laugier, segretario generale aggiunto dell’ONU, e di segretario della Commissione dei Diritti dell’uomo, assieme ad altri, sono stato ammesso a partecipare alla redazione di questa dichiarazione. Non potrei dimenticare, nella sua elaborazione, il ruolo di René Cassin, commissario nazionale alla Giustizia e all'educazione del governo della Francia libera, a Londra, nel 1941, premio Nobel della pace nel 1968; né quello di Pierre Mendès France in seno al Consiglio economico e sociale cui i testi che elaboravamo erano sottoposti, prima di essere esaminati dalla Terza commissione dell'assemblea generale, responsabile delle questioni sociali, umanitarie e culturali.
Essa contava i cinquantaquattro Stati membri, all'epoca, delle Nazioni unite, ed io ne assicuravo la segreteria.
Per l'appunto a René Cassin dobbiamo il termine di diritti “universali” e non “internazionali” come proponevano i nostri amici anglosassoni. Perché è proprio lì la scommessa a uscire dalla seconda guerra mondiale: emanciparsi dalle minacce che il totalitarismo ha fatto pesare sull’umanità.
Per emanciparsi, bisogna ottenere che gli Stati membri dell’ONU si impegnino a rispettare questi diritti universali. È un modo di sventare l'argomento della piena sovranità che uno Stato può fare valere mentre si dedica ai crimini contro l'umanità sul suo suolo. Questo fu il caso di Hitler che si stimava padrone di se stesso ed autorizzato a provocare un genocidio. Questa dichiarazione universale deve molto alla repulsione universale contro il nazismo, il fascismo, il totalitarismo, e inoltre, per la nostra presenza, allo spirito della Resistenza. Sentivo che bisognava fare rapidamente, non lasciarsi ingannare dall’ipocrisia che c'era nell'adesione proclamata dai vincitori a questi valori che non tutti avevano l'intenzione di promuovere in modo leale, ma che noi tentavamo di imporre loro.
Non resisto alla voglia di citare l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo: ogni individuo ha diritto ad una nazionalità"; l’articolo 22: “Ciascuno, in quanto membro della società, ha diritto alla Sicurezza sociale; essa è intesa a garantire ad ogni uomo la soddisfazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità, grazie allo sforzo nazionale ed alla cooperazione internazionale, tenuto conto dell’organizzazione e delle risorse di ciascun paese”. E se questa dichiarazione ha una portata dichiarativa, e non giuridica, non ha giocato un ruolo meno rilevante dopo il 1948; si sono visti popoli colonizzati impadronirsene nella loro lotta di indipendenza; ha inseminato gli spiriti nella lotta per la libertà.
Constato con piacere che nel corso degli ultimi decenni si sono moltiplicate le organizzazioni non governative, i movimenti sociali come Attac (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie), il FIDH (Federazione internazionale dei Diritti dell’uomo), Amnesty... che sono attive e ad alto rendimento. È evidente che per essere efficaci oggi, bisogna agire in rete, approfittare di tutti i mezzi moderni di comunicazione.
Ai giovani, dico: guardate intorno a voi, voi ci troverete i temi che giustificano la vostra indignazione – il trattamento riservato agli immigrati, agli illegali, ai Roms. Troverete delle situazioni concrete che vi portano a dare corso ad un'azione civica forte. Cercate e troverete!

La mia indignazione a proposito della PalestinaOggi, la mia principale indignazione riguarda la Palestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania. Questo conflitto è causa per me di grande indignazione. Occorre assolutamente leggere il rapporto Goldstone del settembre 2009 su Gaza, nel quale questo giudice sud-africano, ebreo che si dice anche sionista, accusa l'esercito israeliano di avere commesso, durante l’operazione "Piombo fuso" durata tre settimane, “atti assimilabili a crimini di guerra e forse, in certe circostanze, a crimini contro l’umanità”. Io stesso sono tornato a Gaza, nel 2009, dove sono potuto entrare con la mia donna grazie ai nostri passaporti diplomatici, per valutare de visu ciò che questo rapporto sosteneva. Le persone che ci accompagnavano non sono state autorizzate ad addentrarsi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Abbiamo visitato anche i campi di profughi palestinesi assegnati fin da 1948 dall’Agenzia delle Nazioni unite, l’UNRWA, dove più di tre milioni di Palestinesi, cacciati dalle loro terre da parte d'Israele, aspettano un rientro sempre più problematico. In quanto a Gaza, è una prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di Palestinesi. Una prigione dove si organizzano per sopravvivere. Più delle distruzioni materiali come quella dell'ospedale della Mezzaluna rossa da parte di "Piombo fuso", è il comportamento degli abitanti di Gaza, il loro patriottismo, il loro amore del mare e delle spiagge, la loro costante preoccupazione del benessere dei loro bambini, innumerevoli e ridenti, che persiste nella nostra memoria. Siamo stati impressionati dal loro ingegnoso modo di fare fronte a tutte le penurie che devono sopportare. Li abbiamo visti preparare dei mattoni senza cemento per ricostruire le migliaia di case distrutte dai carri. Ci è stato confermato che durante l’operazione "Piombo fuso" condotta dall’esercito israeliano, ci sono stati millequattrocento morti - donne, bambini, vecchi confinati nel campo palestinese - contro solamente cinquanta feriti israeliani. Condivido le conclusioni del giudice sud-africano. Che gli Ebrei possano perpetrare, proprio loro, dei crimini di guerra, è insopportabile. Ahimè, la storia offre pochi esempi di popoli che traggano insegnamento dalla propria storia.
Lo so, Hamas che ha vinto le ultime elezioni legislative non ha saputo evitare che fossero lanciati razzi sulle città israeliane in risposta alla situazione di isolamento e di blocco nella quale si trovano gli abitanti di Gaza. Penso evidentemente che il terrorismo sia inaccettabile, ma bisogna riconoscere che quando si è occupati con mezzi militari infinitamente superiori a quelli di cui si dispone, la reazione popolare non può che essere violenta.
Torna utile ad Hamas lanciare razzi sulla città di Sdérot? La risposta è no. Ciò non favorisce la sua causa, ma questo gesto si può spiegare con l’esasperazione degli abitanti di Gaza. Nella nozione di esasperazione, bisogna comprendere la violenza come uno spiacevole esito rispetto alle inaccettabili condizioni subite. Allora, si può dire che il terrorismo è una forma di esasperazione. E che questa esasperazione è un termine negativo. Non si dovrebbe esasperare, occorrerebbe sperare. L’esasperazione nasce da una negazione di speranza. Comprensibile, direi quasi naturale, ma ugualmente inaccettabile. Perché non permette di ottenere i risultati che può eventualmente produrre la speranza.

La non-violenza, la strada che dobbiamo imparare a seguireSono convinto che il futuro appartiene alla non-violenza, alla conciliazione tra culture differenti. È per questa via che l'umanità dovrà affrontare con successo la sua prossima tappa. In ciò sono d’accordo con Sartre, non possiamo giustificare i terroristi che gettano bombe, li possiamo comprendere. Sartre nel 194l scrive: “Riconosco che la violenza sotto qualunque forma si manifesti è un insuccesso. Ma è un insuccesso inevitabile perché viviamo in un universo di violenza. E se è vero che dal ricorso alla violenza resta la violenza che rischia di perpetuarsi, è anche vero che è l'unico modo per farla cessare”.
Al che aggiungerei che la non-violenza è un mezzo più sicuro per farla cessare. Non si possono sostenere i terroristi in nome di questo principio, come ha fatto Sartre durante la guerra d'Algeria o all'epoca dell'attentato contro gli atleti israeliani in occasione dei giochi di Monaco del 1972. Non è efficace e Sartre finirà per interrogarsi alla fine della sua vita sul senso del terrorismo e a dubitare della sua ragion d'essere. Dire “la violenza non è efficace", è più importante che sapere se dobbiamo condannare o no coloro che si dedicano ad essa. Il terrorismo non è efficace. Nella nozione di efficacia, occorre una speranza non violenta. Una speranza violenta si trova nella poesia di Guillaume Apollinaire: “Le Pont Mirabeau”; non in politica. Sartre, nel marzo 1980, a tre settimane dalla sua morte, dichiarava: Occorre provare a spiegare che il mondo d’oggi, che è orribile, è solamente un momento nel lungo sviluppo storico, che la speranza è sempre stata una delle forze dominanti delle rivoluzioni e delle insurrezioni, che considero ancora la speranza come la mia concezione riguardo al futuro."
Bisogna comprendere che la violenza volge la schiena alla speranza. Bisogna preferirle la speranza, la speranza della non-violenza. È la strada che dobbiamo imparare a seguire. Sia da parte degli oppressori che degli oppressi, bisogna arrivare ad un negoziato per sconfiggere l’oppressione; questo permetterà di vincere la violenza terroristica. Perché non si deve lasciare accumulare troppo odio.
Il messaggio di un Mandela, di un Martin Luther King, trova tutta la sua pertinenza in un mondo che ha superato lo scontro ideologico ed il totalitarismo di conquista. È un messaggio di speranza nella capacità delle società moderne di superare i conflitti tramite la comprensione reciproca ed una pazienza vigile. Per giungere a ciò, bisogna basarsi sui diritti la cui violazione, chiunque ne sia responsabile, deve provocare la nostra indignazione. Non si deve transigere su questi diritti.

Per un’insurrezione pacificaHo notato - e non sono il solo - la reazione del governo israeliano di fronte al fatto che ogni venerdì i cittadini di Bil'id vanno, senza gettare pietre, senza utilizzare la forza, fino al muro contro il quale protestano. Le autorità israeliane hanno qualificato questa marcia come “terrorismo non violento”. Mica male... Occorre essere israeliano per definire terrorismo la non-violenza. Bisogna essere soprattutto imbarazzati dall'efficacia della non-violenza che suscita l’appoggio, la comprensione, il sostegno di tutti quelli che nel mondo sono contro l'oppressione.
Il pensiero produttivista, diffuso in occidente, ha trascinato il mondo in una crisi da cui occorre uscire abbandonando velocemente la concezione del "sempre di più", nel campo finanziario ma anche nel campo delle scienze e delle tecniche. È ormai tempo che i valori etici, di giustizia, di equilibrio duraturo diventino prevalenti. Perché rischi gravissimi ci minacciano e possono mettere un termine all'avventura umana su un pianeta che diventa inospitale.
Ma è indiscutibile che importanti progressi sono stati fatti dal 1948 in poi: la decolonizzazione, la fine dell'apartheid, la distruzione dell’impero sovietico, la caduta del Muro di Berlino. Invece, i primi dieci anni del XXI secolo sono stati una fase di arretramento. Questa involuzione io la spiego in parte con la presidenza americana di George Bush, l’11 settembre, e le conseguenze disastrose che ne hanno tratto gli Stati Uniti, come l’intervento militare in Iraq. Abbiamo avuto questa grave crisi economica, ma non abbiamo di contro avviato una nuova politica di sviluppo. Parimenti, l’incontro al vertice di Copenaghen contro il riscaldamento climatico non ha permesso di iniziare una vera politica per la preservazione del pianeta. Siamo sul limitare, tra gli orrori del primo decennio e le possibilità dei prossimi. Ma bisogna sperare, occorre sempre sperare. Il decennio precedente, quello degli anni ‘90, era stato motore di grande progresso. Le Nazioni unite hanno saputo convocare delle conferenze come quella di Rio sull’ambiente, nel 1992; quella di Pechino sulle donne, nel 1995; nel settembre 2000, su iniziativa del segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, i 191 paesi membri hanno adottato la dichiarazione sugli “Otto obiettivi del millennio per lo sviluppo”, con cui si impegnano a dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015.
È mio grande dispiacere che né Obama né I'Unione europea si siano ancora espressi riguardo al loro apporto per una fase costruttiva, appoggiandosi sui valori fondamentali.
Come concludere questo appello ad indignarsi? Ricordando ancora ciò che l’8 marzo 2004, in occasione del sessantesimo anniversario del Programma del Consiglio nazionale della Resistenza, noi veterani dei movimenti di Resistenza e delle forze combattenti della Francia libera (1940-1944) dicevamo, che certo “il nazismo è stato sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri fratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni unite contro la barbarie fascista. Ma questa minaccia non è sparita totalmente e la nostra irritazione contro l'ingiustizia è ancora intatta”.
No, questa minaccia non è sparita totalmente. Perciò, chiamiamoci sempre ad “una vera insurrezione pacifica contro i mezzi di comunicazione di massa che non propongono come orizzonte per la nostra gioventù altro che il consumo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l’amnesia generalizzata e la competizione a oltranza di tutti contro tutti”.
A coloro che vivranno il 21° secolo, diciamo con il nostro affetto:
CREARE È RESISTERE. RESISTERE È CREARE.

Nota bio-bibliografica 
Il padre Franz era il traduttore tedesco di Proust assieme a Walter Benjamin, la madre Helen Grund era pittrice e traduttrice berlinese. La loro storia fece scalpore. I genitori sono infatti due dei protagonisti di un ménage à trois narrato in un romanzo dal terzo, lo scrittore francese Henri-Pierre Roché, e diventato celebre con il film di François Truffaut Jules e Jim.
È cresciuto nella Francia degli anni Trenta. Ha partecipato alla Resistenza francese. Catturato dai tedeschi e destinato al campo di concentramento di Mauthausen, è riuscito a fuggire e ha raggiunto moglie e figli a Parigi. Dopo la guerra ha lavorato al Segretariato generale dell’Onu. È stato uno dei principali redattori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. 
Il suo pamphlet Indignez-vous! (in Italia Indignatevi!, pubblicato da ADD nel 2011) è divenuto un vero e proprio caso editoriale, in Francia, con oltre un milione di copie vendute. Ricordiamo anche Impegnatevi! (Salani, 2011, scritto con Gilles Vanderpooten), Danza con il secolo (ADD, 2011), A conti fatti... o quasi (Bompiani, 2012), Vivete! (Castelvecchi, 2012), Non arrendetevi! (Passigli, 2013, scritto con Lluìs Urìa), Agli indignati di questa Terra! Dalla protesta all'azione (Liberlibri, 2013) e Esigete! Un disarmo nucleare totale, pubblicato postumo nel 2014 da Ediesse. 

Stéphane Hessel in Wikipedia

Ebook di Stéphane Hessel in ibs

Rosatellum, una legge elettorale ignobile e ingannevole


08 gennaio 2015

Inizia la caccia all'extracomunitario?

Dopo l'orribile carneficina di stampo terroristico-islamista che ieri ha sconvolto la Francia, l'Europa e il mondo intero, riprende con vigore, anche da noi, l'indecente e sconsiderata caccia all'extracomunitario in quanto tale, a prescindere da ciò che fa e da come vive. 

Come antidoto a questa denigratoria campagna sempre attiva, consiglio la lettura di Ghetto Economy curato da Antonello Mangano, che ci documenta in modo dettagliato sulle condizioni di vita e di lavoro di decine di migliaia di migranti sfruttati, ricattati e violentati, manodopera a basso costo nelle regioni del profondo sud e in alcune aree del nord industrializzato. 


Dalla quarta di Copertina:
Le serre del doppio sfruttamento, sessuale e lavorativo. Le braccianti rumene e la loro dignità violata. I ghetti di Stato e le baraccopoli africane ai margini dei campi. I semi che diventano sterili. Le multinazionali e le società finanziarie. Ma anche tonnellate di succo d’arancia tagliate con sostanze chimiche. 
Sono solo alcuni orrori nascosti dietro l’etichetta del supermercato. Dagli aranceti di Rosarno alle vigne del Piemonte, un’economia arcaica e tecnologica, schiavista e finanziaria produce arance, vino, pomodoro. Il cibo che arriva sulle nostre tavole.
Durante un viaggio sorprendente raccontiamo un incubo che ci appare lontano e legato ai migranti. Ma che sta diventando il nostro futuro. 

27 agosto 2014

SEMPLICEMENTE VERGOGNOSO !!!


Da oltre un anno, a seguito di incidenti mortali accaduti per la precarietà delle barriere di protezione, sul viadotto Carabollace, nei pressi di Sciacca, si circola ancora a senso unico alternato! 




Va precisato che si tratta della SS 115, la Sud Occidentale Sicula, che collega Siracusa con Trapani passando per Ragusa e Agrigento.
Assolutamente vergognoso il protrarsi dell'interruzione, considerato che si tratta dell'unica arteria di collegamento per i comuni meridionali della Sicilia. Oltre a smaltire il traffico merci e persone tra province, la strada è percorsa da mezzi di pronto intervento come ambulanze, vigili del fuoco, polizia. Si può, dunque, immaginare il disservizio e i gravi rischi che si corrono. 

Io stesso ho dovuto attendere, più volte, oltre mezz'ora sotto il sole cocente il mio turno per passare. In quale altra zona d'Italia sarebbe immaginabile tutto questo? 

Trattandosi di una zona a forte vocazione turistica, immagino la faccia di quei turisti che l'estate scorsa si sono trovati ad attraversare il Carabollace che, capitati per avventura anche quest'anno in Sicilia, si ritrovino nella medesima condizione. 
Ma per la messa in sicurezza del viadotto, lungo meno di 500 metri, ammesso che i lavori comincino a breve, sono previsti altri 240 giorni, si fa per dire. 
Il turista che tornerà in zona l'anno prossimo, si fa sempre per dire, potrebbe trovare ancora il senso unico alternato. 

Politici e amministratori dei territori interessati mettano da parte i piccoli o grandi personali interessi e si attivino per questo e altri problemi di ordine generale che quotidianamente ci affliggono. 

16 marzo 2013

Laura Boldrini Presidente della Camera (testo integrale e video)


La straordinaria sensibilità umana, morale, istituzionale del suo discorso d'insediamento lascia presagire quel tanto atteso rinnovamento della politica che tutti auspichiamo. 

Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più sentito ringraziamento per l’alto onore e responsabilità che comporta il compito di presiedere i lavori di questa assemblea.
Vorrei innanzitutto rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di tutta l’assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori della costituzione repubblicana.
Vorrei inoltre inviare un saluto cordiale al Presidente dalla Corte costituzionale e al Presidente del consiglio.
Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più giovani, a chi siede per la prima volta in quest’aula. Sono sicura che in un momento così difficile per il nostro paese, insieme, insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane.
Vorrei rivolgere inoltre un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al presidente Gianfranco Fini che ha svolto con responsabilità la sua funzione costituzionale.
Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi in Italia come in molte periferie del mondo. E’ un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.
Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremmo impegnarci tutti a restituire  piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno.
Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione cha ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.
Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.
Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.
Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.
Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.
Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile.
In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.
Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.
Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Rendiamo il Parlamento e Il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani.
Sarò la presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato, mi impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese.
L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di integrazione europea, dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero la visione e la missione che furono pensate, con lungimiranza, da Altiero Spinelli.
Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle persone, un luogo della libertà, della fraternità e della pace.
Anche i protagonisti della vita spirituale religiosa ci spronano ad osare di più: per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente “dalla fine del mondo”. A papa Francesco il saluto carico di speranze di tutti noi.
Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite in cui ho lavorato per 24 anni e  permettetemi – visto che questo è stato fino ad oggi il mio impegno – un pensiero per i molti, troppi morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce. Un mare che dovrà sempre più diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.
Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica sull’unità del Paese, un richiamo che questa aula è chiamata a raccogliere con pienezza e con convinzione.
La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione.
Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio. Cercherò di portare assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani, soprattutto in nostri figli. Grazie. 




Adesso attendiamo il ballottaggio al Senato! 

Chi è Laura Boldrini/Scheda Adnkronos 

02 marzo 2013

Il M5S e l'Art. 67 della Costituzione

L'Articolo 67 della Costituzione della Repubblica italiana recita: 
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato  
I deputati e i senatori godono, pertanto, del cosiddetto divieto di mandato imperativo, in base al quale ciascun parlamentare, nell’esercizio delle sue funzioni: 
- può agire liberamente, al di là delle promesse fatte in campagna elettorale; 
- non può essere revocato dai suoi elettori fino alla normale scadenza del suo mandato; 
Quindi, nessuno può perseguire legalmente un parlamentare o un partito che disattendano il proprio programma elettorale. 


Questo articolo della Costituzione italiana fu scritto e concepito per garantire la libertà più assoluta ai membri del Parlamento italiano eletti alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. 
In altre parole per garantire la democrazia i costituenti ritennero opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori che, votandolo, gli permisero di essere eletto ad una delle Camere. Una tale norma non è una esclusiva della costituzione italiana, ma è comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative. Essa deriva dal principio del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo), formulato da Edmund Burke già prima della Rivoluzione Francese: Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale. Il principio fu poi ulteriormente elaborato da Emmanuel Joseph Sieyès, e venne inserito nella Costituzione francese del 1791: I rappresentanti eletti nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipartimento particolare, ma della nazione intera, e non potrà essere conferito loro alcun mandato. Una norma simile era presente anche nello Statuto Albertino: I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori

I deputati, dunque, esercitano la rappresentanza della intera Nazione e non dei singoli cittadini, ed ancor meno dei partiti, delle alleanze, dei movimenti o qualsiasi altra forma d’associazione organizzata con il fine di ottenere voti per essere eletti membri del Parlamento italiano. L'assenza di vincolo di mandato rende legittimo per i parlamentari il passaggio ad un gruppo parlamentare diverso da quello originario, relativo alla lista di elezione. L'opportunità di questo tipo di scelta è tuttavia vivacemente discussa tra i commentatori politici. Per esempio, tale facoltà è stata ripetutamente sfruttata nella XVI legislatura, sfociando in veri e propri casi di trasformismo politico. Giovanni Sartori, per contro, sostiene che la causa dei ribaltoni non sia affatto l'articolo 67 della Costituzione, ma piuttosto una pessima legge elettorale. Altri commentatori rilevano come il principio originario del libero mandato tuteli il parlamento dal giogo dei partiti, mentre la Legge Calderoli di fatto lo aggira, permettendo alle segreterie di partito di controllare i deputati e i senatori tramite la minaccia della non rielezione
Da Wikipedia : Articolo 67 della Costituzione italiana 

In Diritto Costituzionale la vulgata del rappresentante-dipendente si chiama Mandato Imperativo. È l’esatto opposto del mandato rappresentativo. L’eletto siede in Parlamento e risponde del suo operato direttamente all’elettore.  
Nel nostro ordinamento costituzionale, il mandato imperativo è vietato. E non è uno scandalo, come qualcuno potrebbe obiettare. La norma è contenuta nell’articolo 67 della Costituzione: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato

I due capoversi sono strettamente correlati: ogni parlamentare rappresenta la Nazione; ogni parlamentare esercita le sue funzioni senza vincolo di mandatoIl primo contiene il concetto di rappresentanza. Il parlamentare rappresenta la Nazione. Non una categoria particolare o una parte, ma tutta la Nazione, intesa come il popolo nell’insieme delle generazioni passate, presenti e future. Egli non risponde delle sue azioni a nessuno, neanche al proprio partito. 
L’esatto opposto di quel che chiedono i 5 Stelle, che invece vorrebbero sottoporre l’eletto dal popolo non al giudizio di quest’ultimo, che fra l’altro si dovrebbe concretare alle urne con il voto, bensì al giudizio degli iscritti al movimento/partito. 
Questo aspetto è importante: i 5 Stelle dimenticano di essere democratici e vogliono revocare gli eletti con decisioni interne al partito e così facendo spogliano l’elettore dell’unico controllo che ha sull’eletto, ovvero il voto. Se l’eletto – per così dire – fedifrago, non accetta di dimettersi, viene espulso dal Movimento: con una tecnica che subodora di stalinismo, viene messo all’indice dei traditori del M5S. 
Tratto da: M5S / Dimissioni in bianco e divieto di Mandato Imperativo 

10 gennaio 2013

Qualche consiglio ad un Bersani in tilt

...Segretario di un PD che, a furia di inseguire parole d'ordine dettate da altri, corre il rischio di fare il miracolo di perdere! 
Lascia perdere la metafora della lepre da inseguire, che è perdente. 
Poniti in atteggiamento forte e determinato di chi conosce l'obiettivo da raggiungere e lo persegue con decisione e coerenza. 
Non fare la corte a Monti. Non vedi che ha fatto una precisa scelta di campo? Ignoralo, lascialo nelle mani di Fini e Casini che lo cuoceranno a dovere, specie se farà incetta nel loro elettorato ridimensionandoli, come sembra dai sondaggi. Al resto pensa Berlusconi. 
Costruisci, piuttosto, e proponi un programma coerente di ripresa per l'Italia logorata dalla cura Monti, riappropriati dei valori e dei progetti autenticamente di sinistra, caccia via dal partito quanti sono portatori d'acqua di programmi altrui e rimettiti in ascolto delle attese e delle speranze di un popolo di sinistra frammentato e impaurito. 
Non prendere in nessuna considerazione le aperture di Berlusconi sulle sue riforme istituzionali o sull'ultima bufala relativa ai diritti civili. Consideralo per quello che è: un ciarlatano di strada, ormai disperato perché nessuno, nemmeno i suoi, è disposto a comprare la sua merce avariata.  
Ricorda quello che ha detto a proposito delle tre giudichesse femministe comuniste che lo hanno condannato a risarcire Veronica Lario con 200 mila euro al giorno. 
Pensa, infine, a riconquistare il voto dei delusi e degli indecisi che sono tanti e vogliono sapere cosa farà il PD andando al governo. 

Mostrati orgoglioso di essere e di apparire di sinistra, portatore sano dei suoi valori irrinunciabili. 

18 maggio 2012

Servizio Pubblico del 17 maggio 2012 - Puntata completa

A partire dallo stesso editoriale di Michele Santoro e ascoltando gli ospiti della puntata, appare chiaro a tutti e di buonsenso che in tempo di crisi i soldi bisogna andarli a prendere dove ci sono, cioè dove si sono accumulati più o meno lecitamente, e farli arrivare dove mancano. Questo per evitare la recessione e favorire la ripresa e quella che chiamano crescita. Non occorre essere economisti per capirlo. 

I tecnici, invece, sembrano seguire la strada inversa, quella sola che ci porterà alla disperazione e al default. E i politici, cos'hanno in testa? Se hanno ancora una testa e non un ammasso inerte di materia grigia! 

Una puntata da vedere qui, se non l'hai seguita in diretta. O da rivedere analizzandola nei passaggi più interessanti. 

01 maggio 2012

Un 1° Maggio mesto e dolente...

in cui non c'è proprio nulla da festeggiare! 

Difficile risulta, infatti, celebrare conquiste sociali e diritti riconosciuti in un Paese in cui i lavoratori vedono mortificato il loro diritto al lavoro e ad un salario equo, vedono aumentare la disoccupazione che tocca ormai il 10%, vedono allontanarsi il diritto alla pensione, vedono i loro figli, spesso giovani laureati, ricercatori e professionisti, cercare all'estero contratti di lavoro dignitosi, vedono una minoranza di privilegiati e sfruttatori succhiare insensibili il frutto modesto dei loro sacrifici. 

Oggi è sotto gli occhi di tutti la perdita della dignità e dei diritti dei lavoratori in Italia. 


Ecco, perciò, due canti popolari del 1892/95 ancora attuali e ricchi di suggestioni. 

27 marzo 2012

Perché questo governo se ne deve andare

  • Perché non avrebbe mai dovuto nascere se avessimo avuto in parlamento una classe politica degna di questo nome. 
  • Perché non sta governando nell'interesse degli Italiani ma su mandato rigido di strutture ademocratiche esterne. 
  • Perché vuole strafare, essere il primo della classe, andando oltre le stesse indicazioni della Commissione europea in fatto di flessibilità riguardo al mercato del lavoro. 
  • Perché è il rappresentante in loco di una finanza utilizzata come veicolo di speculazione che ha sviluppato profitto senza produzione. 
  • Perché quando il suo capo da Seul (Km 9000 da Roma) lancia al parlamento, alle forze politiche e sociali il monito in forma di editto se il Paese non è pronto non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data, non dimostra buonsenso ma una rigidezza degna di altre circostanze; carica di significati estrinseci il duro scontro sull'art. 18 avallando, senza volerlo, le ragioni di quanti ne temono lo smantellamento; dimostra insensibilità nei confronti di un parlamento che, seppur screditato, non può e non deve abdicare del tutto alle proprie prerogative di rappresentante legittimo delle istanze espresse dal Paese se non vuole rischiare la fine di un sistema democratico e costituzionale come lo conosciamo.   
(...) non è una crisi ciclica ma crisi dello stesso sistema capitalistico, una crisi che investe infatti il mondo occidentale industrializzato a livello finanziario economico e sociale. 
La conclusione di un periodo trentennale di politiche liberiste, terziarizzazione dell’economia e predominanza della rendita finanziaria ci porta ad oggi, e quel che è peggio sono le scelte imposte da organismi ademocratici come la BCE e l’FMI, ancorati alle politiche liberiste che hanno generato la crisi, causando una spirale negativa che ci porterà nel baratro. L’obiettivo principale di queste misure è far pagare i ceti popolari tutto il peso della crisi, abbattendo i diritti ed il welfare nato dalle lotte dei lavoratori. In Europa molti paesi sono in recessione, 24 milioni sono i disoccupati, il 30 % dei giovani in Italia, dove non si intravvedono politiche espansive; così facendo la situazione sarà sempre più grave, stretti tra recessione ed ottuso rigore la vita sta diventando per grandi masse sempre più difficile, a Milano il 90% degli sfratti sono per morosità e i nuovi poveri sono aumentati del 12% rispetto l’anno precedente, 118.000 disoccupati e tante altre migliaia in CIGS destinate a diventare disoccupazione. I padroni vogliono attaccare in modo definitivo i diritti dei lavoratori, già piegati da flessibilità e precarietà, l’ultimo atto, l’attacco all’art 18. 

L’art.18 è un simbolo, chi vince su questo tema ha vinto per i prossimi 30 anni, non c’entra niente con il rilancio dell’economia e della competitività: è semplicemente l’esercizio di una cosa antichissima che si chiama lotta di classe, in questo caso subita dai lavoratori. Subita anche perché manca una rappresentanza politica. 


Ci portino, per favore, alle elezioni e sono certo che sapremo cavarcela anche senza tecnici e professori al governo, che sembrano essersi assunti il compito di far pagare, ancora una volta, a decine di milioni di persone una crisi di cui non sono responsabili salvaguardando quanti di questo disastro sono i veri colpevoli accertati. 

Articolo 18, così il modello Monti-Fornero è più duro delle proposte della Commissione
Il tabù rovesciato
Difendere l'articolo 18! Unire i comunisti e la sinistra!
L'iniquità del governo in carica
Cosa possiamo aspettarci da un governo di sconosciuti e da un parlamento di nominati?

22 marzo 2012

L'iniquità del governo in carica

Togliere 1/2 pollo a quanti ne hanno uno, per consentire a chi ne ha 1000 di mangiarne 500, non è mai stata equità. Men che meno oggi che milioni di italiani quel pollo non ce l'hanno più! 

Ciò che disturba davvero è la supponenza dei cosiddetti tecnici - in primis del capo del governo - che smantellano con l'accetta diritti acquisiti cercando di convincerci che questo è l'unico modo per ampliare la platea dei tutelati. 
Con la supposta equidistanza dai partiti, il cui voto in parlamento però è loro indispensabile, stanno portando a compimento il programma di macelleria sociale che non è riuscito al peggiore governo di destra della storia repubblicana. 
E poi usano il guanto di velluto quando si tratta di risanare la RAI che interessa al padrone di Mediaset, quando si tratta di vendere le frequenze disponibili che il padrone di Mediaset aveva deciso di regalarsi, quando si tratta di mettere seriamente mano alla riforma della giustizia che il plurindagato e processato padrone di Mediaset non può lasciare assolutamente in mani altrui.  

Un governo che si dice di risanamento, di cura, ma che il suo bisturi – tutto politico – affonda nel corpo vivo dei lavoratori: dai tagli economici a quelli delle più elementari tutele. Allora, l’assalto proprio al simbolo della garanzia del diritto al lavoro che l’articolo 18 rappresenta non è un caso. E il fatto che il ministro Elsa Fornero, col suo eloquio al birignao esaltato dagli algidi sorrisi d’ordinanza, pretenda di spacciarlo per modernizzazione è solo esercizio di televendita, funzionale all’incalzante dittatura di un capitalismo che fa cassa sullo sfruttamento di chi lavora e di chi è licenziato

Il leader del Pd potrebbe affermare che non è possibile cancellare la più importante forma di tutela del lavoro dipendente se contemporaneamente non si ridimensionano i privilegi delle categorie sociali antagoniste. Se non si svuotano di ogni potere monopolistico gli ordini e le associazioni professionali, se non si argina la prepotenza di Confindustria e se non diventa possibile licenziare per motivi economici anche i manager delle grandi imprese. Se non si elimina una volta per tutte la miriade di forme contrattuali che oggi consentono ai datori di lavoro di praticare le più becere forme di sfruttamento dei propri dipendenti. Se non si istituisce uno schema organico di assicurazione pubblica contro la disoccupazione corredato da interventi efficaci a sostegno della formazione professionale e del ricollocamento in posizioni dignitose, perché i lavoratori, anche i più svantaggiati, siano messi in condizione di maturare la capacità, gli incentivi e la possibilità materiale di adattarsi ai cambiamenti della domanda di lavoro

Ma, vedrete, non sarà in grado di farlo. E abbozzerà. 

La sostanziale abrogazione dell'art. 18, annunziata nel piano del governo sul lavoro, al di là delle chiacchiere sulla tutela dei lavoratori da comportamenti discriminatori, si risolve nello smantellamento, puro e semplice della tutela pubblica contro il licenziamento illegittimo, in violazione della costituzione e della stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che esige (art. 30) la tutela dei lavoratori contro ogni licenziamento ingiustificato. Il problema non è che possono aumentare i licenziamenti, come paventano alcuni, in una situazione già difficile per l'occupazione, il problema è che cambia la natura del rapporto di lavoro. ()... la dignità del lavoratore ed il rispetto dei suoi diritti costituzionali, diventeranno merce di scambio da inserire nella contabilità dei costi e ricavi. 

L'iniquità di questo governo mi è apparsa lampante con la riforma delle pensioni, il suo primo attacco ai diritti del mondo del lavoro che ha fatto piangere lacrime di coccodrillo alla ministra Fornero, non ancora adusa all'english style di Monti. In particolare mi colpì il modo indegno e sfrontato con cui, per fare cassa, si tagliavano per almeno due anni gli adeguamenti, seppur parziali, delle pensioni al costo della vita.

25 febbraio 2012

Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge

Nessuno può essere più eguale degli altri!   

Qualunque cosa, dunque, abbia da obiettare il cittadino Berlusconi nei confronti del Tribunale che dovrà giudicarlo, è bene che lo faccia nella sede appropriata, cioè nell'aula di Giustizia, e in relazione all'ipotesi di reato che gli viene contestata. 

Gli Italiani non vogliono vederlo condannato a qualsiasi costo; vogliono invece che le sue pendenze giudiziarie possano trovare una conclusione giudiziaria e non politica, come succede agli altri cittadini di questo Paese quando vengono chiamati in giudizio. 


Mi sembra una cosa di un'evidenza lapalissiana. Così recita, a quanto pare, l'art. 3 della nostra Costituzione: 
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (Costituzione italiana, art. 3) 

P.S. Meglio sarebbe che non fosse consentito a nessuno di portare avvocati in parlamento con la collaborazione dei quali costruirsi leggi ad personam e scappatoie varie, e poi servirsi di quelle leggi e di quegli avvocati per mandare in vacca i processi che lo vedono imputato. 

23 febbraio 2012

Qui, in Italia, viviamo in un tempo sospeso

Guardiamo con grande preoccupazione a quello che succede in Grecia, col timore che l'Italia possa fare la stessa fine. Abbiamo accettato con qualche perplessità che l'élite dei tecnici andasse al governo, sostituendo l'autocrazia dell'imprenditore ghe pensi mi, ma scopriamo che essa deve fare i conti con una casta inamovibile che svuota in parlamento il piano delle liberalizzazioni e pretende, invece, che la riforma del lavoro passi, come l'intervento sulle pensioni, a scatola chiusa. 

Ci piace che il governo abbia dato un segnale forte sull'evasione fiscale e ci auguriamo che prosegua nell'impegno di far pagare le tasse agli evasori, ma vorremmo che venisse presa di mira anche la corruzione imperante ripristinando e inasprendo quelle leggi che la colpiscono (il precedente governo le ha cancellate e ne ha introdotto altre su misura nell'interesse del proprio leader e degli accoliti). 

Non ci impressionano i redditi milionari prodotti da questi tecnici negli anni che precedono l'incarico di governo, specialmente quando scopriamo che, rinunciando ai cespiti delle precedenti attività, gli emolumenti che percepiscono al servizio del Paese risultano significativamente inferiori. Apprezziamo, anzi, il bisogno di trasparenza che li ha spinti a renderli pubblici. 

Ci duole, tuttavia, la scarsa sensibilità con la quale colpiscono a colpi d'accetta pensioni, salari e stipendi di mera sopravvivenza mostrando, invece, il guanto di velluto in ambiti in cui l'intervento sarebbe auspicabile, legittimo e doveroso. Ci piacerebbe vederli impegnati, per fare un esempio, a smantellare i privilegi della Chiesa con la stessa lena, urgenza e zelo con cui stanno smantellando lo Statuto dei lavoratori. 

Assistiamo con disappunto al tentativo insano di tanti personaggi, sedenti con demerito in parlamento, di tirare per la giacchetta il presidente del consiglio in carica iscrivendolo d'ufficio alla propria parte, senza accorgersi che l'attuale governo rappresenta la sberla più mortificante ad una casta politica corrotta e inconcludente che si appresta a tornare in campo.  

Con quale faccia, con quali intenti, con quali progetti, non si capisce. 

O, meglio, si capisce benissimo! 

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