“I poveri esistono e non sono santi, né aspirano ad esserlo.”
di Antonella Lattanzi
Titolo italiano: Il Vangelo secondo Gesù Cristo
Autore: José Saramago
Anno: 1991
Pubblicazione usata per questo studio: 2002
Editore: Einaudi
Collana: ET Scrittori
Pagine: 410
Reparto: Narrativa straniera
Traduttore: Rita Desti
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- Se mi permettete un […] eccesso di presunzione, mi piace pensare che, se oggi Kafka fosse vivo e potesse scrivere, forse scriverebbe Cecità.1
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Uno dei libri più belli che ho mai letto in tutta la vita è quello di cui parlerò ora. E di cui parlerò poco, perché non voglio tradire l’improvvisa sincerità di un libro che mi sconvolge la vita.
Sono nata in una famiglia cristiana, anzi cattolica, non sono credente né miscredente, e anche per questo motivo mi ritrovo perfettamente nelle parole di Saramago:
La religione e la trascendenza sono temi con i quali hanno a che fare tutte le persone, non sono riservati solo ad alcuni, e dunque io come scrittore, occupandomi della vita delle persone, mi occupo a mia volta di questi temi che hanno a che fare con la dimensione del trascendente. D’altra per quanto i miei rapporti con la religione siano, come dire, di osservatore non credente, non posso negare di avere una mentalità cristiana, non certo animista, né islamista, né buddista, né quella di nessun’altra religione.
Mentalmente io sono un cristiano, la mia è una mentalità cristiana, e dunque a questo titolo credo di potermi e dovermi occupare, come scrittore, di temi che apparentemente non dovrebbero riguardarmi ma che, dal punto di vista in cui di volta in volta mi pongo, sono tanto miei quanto di Giovanni Paolo II.2
Sono andata a scuola dalle suore per otto anni, mia madre mi ha costretto alla messa domenicale per metà della mia vita, vivo, come tutti, in un’Italia atea che spesso finge di credere in dio. L’iniziale di dio mi crea sempre problemi, non so mai se scriverla con la maiuscola o con la minuscola, e quando mia madre mi legge – Dio in maiuscolo e il dio in minuscolo – dice con aria spaventata, come se stessi sbagliando un congiuntivo. Lei non ha dubbi.
Ho avuto in odio certi comportamenti della Chiesa da sempre, ma più che comportamenti della Chiesa erano atteggiamenti del popolo falso, perbenista, cattivo, che in certe occasioni ferisce l’uomo stravolgendo le parole del dio. Ce l’avevo anche con il prete del mio quartiere, Don Franco, che lanciava messaggi di pace a noi ragazzi, da bambini, e poi lasciava che nella sua chiesa si mettesse in piedi il maggiore commercio di droga e di malavita di tutta la zona.
Diffidavo di dio e di Gesù. Quando li avevo pregati, non era successo nulla, anzi, certe volte io ho pregato la vita e dio ha risposto con la morte.
Poi è venuto Saramago, che mi ha preso dal collo e al cuore con il suo Gesù tutto umano, con un libro che è una dichiarazione di passione, anzi di com-passione, per tutti gli uomini, la stessa che unisce religiosi e non nella celebrazione dei riti funerari. È vero, è solidarietà umana, quella che ci stringe attorno ai corpi addormentati dei nostri cari.
Poi è venuto Saramago, con l’amore di Gesù per Maria di Magdala, ed era un amore vero, ed era una perdita vera. Un amore detto con parole d’amore. Un amore che mi ha accesso lacrime e brividi dentro la bocca.
Nella mia morte saranno tutte le morti di Lazzaro, sarà sempre lui a morire e non potrà essere resuscitato, implorò Maria, Anche se non puoi entrare, non allontanarti da me, tendimi sempre la mano anche quando non ti è possibile vedermi, se tu non lo facessi, mi dimenticherei della vita, o sarebbe la vita a dimenticare me. […] Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose, Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi.
Sono queste, allora, le parole che il figlio, l’agnello di dio, riserva alla donna che ama, ho pensato. E ama, Cristo, come un uomo normale, di un amore divino.
Si è detto tanto dello stile di Saramago, scrittore cittadino del mondo nato nel 1922 ad Azinhaga nel 1922, ora stabilitosi nelle Canarie (anche per questioni di censura), moglie di una spagnola, e quindi spagnolo d’adozione, romanziere, poeta, giornalista e drammaturgo portoghese, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Ho letto da qualche parte che la sua narrativa potrebbe apparire costellata di errori grammaticali. Non sono d’accordo. Non può nemmeno apparire così. Nel Vangelo, come in Cecità (che “insieme a Tutti i nomi e a La caverna […], costituisce una trilogia sul tempo di oggi, uno sguardo sulle trasformazioni dell’uomo nel presente, e il mio ultimo saluto, come scrittore, al ventesimo secolo”3), come in Morte di Riccardo Reis e altrove, lo scrivere di Josè Saramago è un flusso d’amore, che dal cervello nasce, nel cuore si forma, nella gola scoppia, e in pianto è sulla sua carta.
Ho amato persino l’odore, la composizione del libro di Einaudi con la storia di Saramago. Mi è vibrata l’anima nel toccarne il liscio svolgersi, di pagina in pagina, sino alla fine, che ho tentato di procrastinare il più a lungo possibile, perché non potevo credere che questa enorme esperienza finisse. Sono tornata bambina quando, finito di leggere Pollyanna, ho pianto per tutta la notte, perché non volevo distaccarmi da questa mia grandissima amica.
Mi sono preparata al lirismo dei momenti in cui dio e suo figlio parlano, ma poi ho scoperto che quelli sono i momenti più comici di tutto il romanzo. E ho capito, che la divinità sta nell’uomo. E ho capito, che quando dio e Cristo discorrono, è solo dio, in realtà, che parla, e non è un poesia. Ma una dichiarazione di morte. Poiché “I poveri esistono e non sono santi, né aspirano ad esserlo.”4
Dio, che per gioco vorrebbe essere un uomo, e vuole fare l’amore con Maria, la madre di Cristo, in una tinta diversa del cielo, all’alba, nel corpo turbato di un falegname che morirà crocifisso come suo figlio, e peccherà di omicidio ed egoismo ma, in fondo, solo d’amore.
Giuseppe guardò in cielo e, in cuor suo, si stupì. Il sole tarda a spuntare, non c’è, in tutto lo spazio celeste, il più pallido indizio dei toni rossi dell’albeggiare, neppure una tenue pennellata di rosa o di ciliegia non matura, niente, lungo l’intero orizzonte, a quanto i muretti del cortile gli lasciano vedere, per la totale estensione di un soffitto immenso di nuvole basse, simili a piccoli gomitoli schiacciati, tutti uguali, nient’altro che un unico colore violetto che già comincia a farsi vibrante e luminoso là dove irromperà il sole e progressivamente va scurendosi, sempre di più, fino a confondersi con ciò che, di là, è ancora notte. In vita sua, Giuseppe non aveva mai visto un sole come questo […] e [..] immaginò che il mondo stesse per finire […]. Pian piano, quasi impercettibilmente, il violetto cominciava a tingersi e ad acquistare, all’interno del soffitto di nuvole, un colore rosa pallido, che poi si arrossava, fino a scomparire, era lì e un attimo dopo non c’era più, e d’improvviso lo spazio esplose in un vento luminoso, moltiplicandosi in lance d’oro che centravano e trapassavano le nuvole che, non si sa bene né dove né quando, erano aumentate, divenute enormi, imbarcazioni gigantesche che issavano vele incandescenti e solcavano un cielo finalmente libero. A Giuseppe si aprì l’anima […]. Un alito di vento appena nato colpì allora Giuseppe in viso, gli agitò i peli della barba, gli scosse la tunica, e poi lo circondò come un mulinello nel deserto […].
Questo è il dio che in una mattina che tarda a nascere, per motivi di spazio qui ridotta del suo splendore divino, questo è il dio che albeggia tutto a un tratto in un alito di vento che prende Giuseppe nel corpo, e lo guida dolcemente a scostare la coperta e a fare l’amore con Maria. Un desiderio fisico ispirato da un cielo inumanamente, insopportabilmente, bello. Ma, anche nel momento più alto della concezione del suo unico figlio, dio non sta facendo altro che soddisfare un suo proprio bisogno. Il corpo di Giuseppe è un tramite, fra lui e la donna. Il corpo della donna è una custodia, un forno in cui il figlio si cuoce. Il corpo del figlio è un catafalco, un sarcofago in cui geme e si agita l’egoismo colonizzatore di dio.
Nel corso della mia storia con Saramago, ho preso appunti e letto, studiato e imparato, ma, all’interno del mio Vangelo, non ho trovato nulla.
Nulla, dell’atteggiamento rinunciatario di Cristo, che accetta la morte come una “cosa normale”.
“Sia fatta allora in me la tua volontà” – dice Gesù a dio, ma solo perché non ho scelta. Perché tu sei dio, e io non sono altro che l’uomo nel quale hai scelto di incarnare tuo figlio. Un involucro vuoto, ma che non si darà a te senza tentare di combatterti. “Sia fatta allora in me la tua volontà”, ma “A una condizione”.
Sai bene che non puoi porre condizioni, rispose Dio con espressione contrariata, Non chiamiamola condizione, chiamiamola richiesta, la semplice richiesta di un condannato a morte, Parla, Tu sei Dio, e Dio non può che rispondere con la verità a qualunque domanda gli venga rivolta, e quindi, essendo Dio, conosci tutto il tempo passato, la vita attuale, che si trova nel mezzo, e tutto il tempo futuro, Infatti, io sono il tempo, la verità e la vita, Allora, in nome di tutto ciò che affermi di essere, dimmi come sarà il futuro dopo la mia morte, che cosa ci sarà che non sarebbe esistito se io non avessi accettato di sacrificarmi alla tua insoddisfazione, a quel tuo desiderio di regnare su altre genti e altri paesi. Dio ebbe un moto di fastidio […] e tentò, senza grande convinzione, una risposta evasiva […]
Non ho trovato nulla.
Nulla, del “dio, perdonali perché non sanno quello che fanno” del Vangelo canonico. Al contrario, in punto di morte, Gesù chiede all’uomo, a tutti gli uomini, di perdonare dio, perché non sa quello che fa. E un diavolo chiamato Pastore offre al creatore di tutte le cose la possibilità di porre fine, per sempre, al male. E un dio chiamato dittatore e tiranno si nega, e nega a noi tutti, questa paradisiaca, parossistica, meravigliosa, unica, possibilità, anche perché il bene, senza il male, non può esistere, ma soprattutto perché dio vuole il potere, e lo vuole innalzare sul sangue, e lo vuole costruire sulle urla degli uomini martirizzati.
Infatti il diavolo chiamato Pastore, che aveva accolto Gesù con sé per lunghissimi anni, e meravigliosi, disse a dio:
[…] la mia proposta è questa, accoglimi di nuovo nel tuo cielo, perdonami i mali passati per quelli che in futuro non dovrò commettere, accetta e serba la mia obbedienza, come nei tempi felici in cui ero uno dei tuoi angeli prediletti, […] E mi vuoi spiegare perché dovrei accoglierti e perdonarti, Perché se lo farai, se mi concederai adesso quel perdono che in futuro prometterai tanto facilmente a destra e a manca, allora il male finirà qui, oggi, non ci sarà bisogno che tuo figlio muoia, […] dovunque impererà il bene e io canterò, nell’ultima e umile fila degli angeli che ti sono rimasti fedeli, a quel punto fedele più di ogni altro perché pentito, io canterò le tue lodi, tutto si concluderà come se non ci fosse stato, tutto comincerà a essere come se fosse sempre stato così, Hai davvero un gran talento per irretire le anima e perderle, […] Non mi accetti, non mi perdoni, Non ti accetto, non ti perdono, ti voglio come sei e, se possibile, anche peggiore di adesso […]. Che non si dica che un giorno il Diavolo non ha tentato Dio […] Non guardò Dio, ma disse, come rivolgendosi a un pubblico invisibile, Ci vediamo, l’ha voluto lui.
È questa la vera tentazione del diavolo, una tentazione buona, quindi!
Per questo demonio, non provo nessuna avversione.
In questo cristo, io sono credente, nel cristo dell’uomo, io sono persino cristiana.
A mio avviso, non si può definire blasfemo Il Vangelo di Saramago, come invece ha fatto la Chiesa portoghese, che per un arco di tempo molto lungo ha esercitato una sorta di censura sul Premio Nobel, che spettava allo scrittore viaggiatore, ma che non gli venne assegnato sino al 1998. Non si può definire blasfemo Il Vangelo Secondo Gesù Cristo, perché l’unica volta nella mia vita in cui ho creduto veramente in dio e in cristo è stato leggendo questo splendido romanzo. Un romanzo che davvero mi ha cambiato la vita, che mi ha aperto gli occhi, che ha innalzato la visuale dei miei orizzonti, come mai, forse, nessuno prima.
A metà tra lo storico e il letterario (“C’è un modo di scrivere che sta al di là della contingenza”5), Vangelo “apocrifo” e testimonianza stessa della civiltà portoghese, ma soprattutto di quella del tempo di Cristo, il romanzo di Saramago – nipote di nonni illetterati, che secondo lo scrittore sono gli uomini più saggi che abbia mai conosciuto – racconta la storia dell’uomo, e dell’Uomo, un crocifisso come tanti che vagava per le strade della Galilea adoperandosi solo per essere felice, per donare felicità agli uomini, e che non voleva accettare il fardello impostogli da dio. Un dio che lo gabba e lo illude di poter esercitare il libero arbitrio in prima persona – ma non per l’uomo è la scelta, la scelta è solo del dio – e che infine, come un cattivo da favola, squarcia le nubi sopra le tre croci non per gridare all’uomo questo è mio figlio, ma solo per ridere in faccia a Gesù, brutalmente manipolato.
Gersù muore, muore, e quando la vita comincia ad abbandonarlo, all’improvviso, il cielo sopra il suo capo si spalanca e appare Dio, vestito come sulla barca, e la sua voce risuona per tutta la terra, Ti sei il mio diletto figlio, in te ho riposto la mia gratificazione. Allora Gesù capì di essere stato portato all’inganno come si conduce l’agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo, dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto.
Un uomo che cammina felice e spensierato, vivo e pulsante, sinchè non incontra dio. E gli tocca la morte. E gli tocca l’egoismo di dio. E gli tocca la volontà del padre di tutte le cose.
Non puoi andare contro la volontà di Dio, No, ma è mio dovere tentare […].
E allora Gesù, tentando, perde per sempre.
Un Cristo conscio del male che la sua morte porterà tra gli uomini, un cristo che chiede perdono ai suoi fratelli, un cristo che eredita i dolori e le colpe del proprio padre terreno, insieme ai sandali e alla scodella nera del diavolo, un cristo che nasce pieno di umori, senza nessun bue o asinello a scaldarlo, e nemmeno una stella cometa, e nemmeno un magio. Un Cristo ingannato, che moltiplica i pani e i pesci, ma che cerca disperatamente un modo per sfuggire al piano diabolico di Dio. Un Gesù che bacia Giuda, ma solo per ringraziarlo di quello che ha fatto per lui.
Un cristo segnato da una condanna perenne – Tu sei mio figlio –, una condanna senza appello che l’uomo conosce in mezzo a un mare in tempesta, “come se fosse andato nel deserto alla ricerca di Dio”, per quaranta giorni e quaranta notti, assistendo impotente ai diabolici piani di dio.
L’unico Dio sono io, io sono signore e tu sei mio figlio, Moriranno a migliaia, A centinaia di migliaia, Moriranno centinaia di migliaia di uomini e donne, la terra si riempirà di urla di dolore, di grida e di rantoli di agonia, il fumo degli arsi vivi offuscherà il sole, il loro grasso sfrigolerà sulle braci, il puzzo sarà un tormento, e tutto avverrà per colpa mia, Non per colpa, ma per causa tua, Padre, allontana da me questo calice, Che tu lo beva è la condizione per il mio potere e la tua gloria, Non desidero questa gloria, Ma io voglio questo potere.
Perché dio sacrifica il figlio non per salvare l’uomo, ma per ampliare all’infinito il suo regno.
Allora il Diavolo disse, Bisogna proprio essere Dio per amare tanto il sangue.
Un romanzo che dedica poco spazio alla Passione, e molto di più all’infanzia, alla passione, e alla vicenda umana di Cristo (poiché Gesù è un involucro inerme del potere di dio), un romanzo che, svelando certe verità storiche che il vangelo ha consegnato distorte al nostro presente infinito – tutti i condannati morivano in croce, per esempio –, e rivisitando in maniera – come dire – plausibile tutte le storie raccontate nel Vangelo canonico, rivela a mio avviso un vero tocco divino, sovrannaturale, grazie al quale io non riesco a non credere che quella narrata da Josè Saramago sia la vera storia di Gesù, di dio e del diavolo. E della Madonna, che non crede a suo figlio. E di Maria Maddalena, vera amante di Cristo, riamata di un amore umanissimo, ma mortalmente divino.
“Gesù muore, muore”, allora, e, quando muore, mentre il mio cuore strappato si sparge sopra la terra bagnata dal suo stesso sangue, e il sangue si raccoglie nella stessa scodella nera del diavolo (Pastore è, infatti, il vero padre putativo del Cristo, e lo ama di puro amore, e ama tutti gli uomini, al contrario di dio), quando muore, quando crepa Gesù, è il figlio del falegname ad esalare l’ultimo respiro terreno, non mai l’agnello, non il figlio di dio.
[…] e quando il primo chiodo, sotto il brutale colpo del martello, gli perderò il polso nello spazio fra le due ossa, il tempo retrocesse in una vertigine istantanea, e Gesù provò il dolore che aveva sentito suo padre, si vide come aveva veduto lui, crocifisso a Sefforis, poi l’altro polso e, immediatamente, la prima lacerazione delle carni quando il patibolo cominciò a essere issato a strattoni verso la cima della croce, l’intero peso sostenuto dalle fragili ossa, e fu quasi un sollievo quando gli spinsero le gambe verso l’alto e un terzo chiodo gli attraversò i calcagni, adesso non c’è più niente da fare, c’è solo da attendere la morte.
Gesù muore, allora, e, quando muore, il mio cervello si sparge dentro il ventre vivo del Golgota, accompagnando la morte dell’uomo come un canto divino. Mentre il diavolo si china a raccogliere il sangue di Cristo, e il mondo non finisce nemmeno questa volta. Le donne piangono la perdita del piccolo dio buono. Cristo se ne va, tentando di non mietere vittime.
Oltre il tutto, fuori dal tutto, Dio ride, vestito come un ricco ebreo, di sopra le nuvole cupe.
In questo Gesù, in questo uomo, io credo.
In questo Gesù, io mi sono innamorata. Io amo Josè Saramago.
Bibliografia di Josè Saramago6
Poesia
* 1966 - I poemi possibili (Os poemas possíveis)
* 1970 - Probabilmente allegria (Provavelmente alegria)
* 1975 - L’anno mille993 (O Ano de 1993)
Teatro
* 1979 - La notte (A Noite)
* 1980 - Cosa ne farò di questo libro? (Que Farei Com Este Livro?)
* 1987 - La seconda vita di Francesco d’Assisi (A Segunda Vida de Francisco de Assis)
* 1993 - In Nomine Dei (In Nomine Dei)
* 2005 - Don Giovanni, o Il dissoluto assoluto (Don Giovanni ou O dissoluto absolvido)
Cronache
* 1971 - Deste Mundo e do Outro
* 1973 - A Bagagem do Viajante
* 1974 - As Opiniões que o DL teve
* 1976 - Os Apontamentos
Romanzi
* 1947 - Terra do pecado
* 1977 - Manuale di pittura e calligrafia (Manual de pintura e caligrafia)
* 1980 - Una terra chiamata Alentejo (Levantado do chão)
* 1982 - Memoriale del convento (Memorial do convento)
* 1984 - L’anno della morte di Ricardo Reis (O ano da morte de Ricardo Reis)
* 1986 - La zattera di pietra (A jangada de pedra)
* 1989 - Storia dell’assedio di Lisbona (História do cerco de Lisboa)
* 1991 - Il Vangelo secondo Gesù Cristo (O Evangelho segundo Jesus Cristo)
* 1995 - Cecità (Ensaio sobre a cegueira)
* 1997 - Tutti i nomi (Todos os nomes)
* 2001 - La caverna (A caverna)
* 2002 - L’uomo duplicato (O homem duplicado)
* 2004 - Saggio sulla lucidità (Ensaio sobre a lucidez)
* 2005 - Le intermittenze della morte (As intermitências da morte)
* 2005 - Il più grande fiore del mondo (A Maior Flor do Mundo)
Altri
* 1978 - Oggetto quasi (Objecto quase)
* 1981 - Viaggio in Portogallo (Viagem a Portugal)
* 1999 - Il racconto dell’isola sconosciuta
* 2002 - Scolpire il verso
* 2005 - Esteban Cuscueta
* 2006 - Pensar, pensar, y pensar
http://www.toscanaspettacolo.it/index.asp?code=2544 adattamento teatrale de Il Vangelo secondo Gesù Cristo, adattamento, regia e scene di Riccardo Sottili
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Ti ringrazio, Victor