La parola che vorrei salvare nel suo significato più profondo è Maturità perché mi ricorda l'impegno e la serietà con cui la mia generazione ne preparava l'esame.
All'epoca l'esame di maturità era una prova assai impegnativa. Oltre all'intero programma dell'ultimo anno, erano argomento d'esame anche i corposi riferimenti dei due anni precedenti.
Sin dagli anni del ginnasio si pensava agli esami di terza liceo con paura e ansietà. Oltretutto si svolgevano con commissari esterni e sconosciuti.
Ricordo le notti d'estate trascorse sui libri (non c'era ancora l'e-book, non c'era il telefonino, non c'era internet) in compagnia di qualche collega, con la moka vicina che esalava nella stanza il profumo del buon caffè, necessario a tenerci svegli. E le mamme, che non riuscivano a prendere sonno finché non ci sapevano a letto. Superata quella prova, il corso universitario sembrava una passeggiata: avevamo conquistato la maturità e, con essa, l'autonomia.
Solo in seguito, purtroppo, mi sono accorto che la Maturità non era stata affatto raggiunta e che andava accostata giorno per giorno, fino alla fine. E ancora oggi, di fronte alle prove della vita, non mi sento del tutto maturo.
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