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02 giugno 2012

Il terremoto e il carattere emiliano

Il terremoto in Emilia mi ha consentito di riconoscere e apprezzare le grandi qualità di un popolo tenace e generoso. 
Gli abitanti di Mirandola, Cavezzo, Sant'Agostino, Finale Emilia, Bondeno e di tutti gli altri centri che non cito, vinto lo shock del duplice attacco, hanno affrontato il dramma come una sfida, una prova di resistenza. Hanno pensato subito a come far ripartire le attività produttive, ancor prima delle case. 
Allo Stato e alla comunità nazionale non chiedono nient'altro che l'aiuto solidale per rimettersi in piedi e poi fare da soli, come sanno fare, con la loro capacità operosa.

Anche a non volerlo, ho dovuto ripensare al terremoto del Belice di 44 anni fa. Il dramma è stato uguale ma diverse le reazioni. Quanto spreco di denaro mal gestito, allora! E quante persone impegnate, per anni, a fare del sisma uno strumento di sopravvivenza se non di vero arricchimento. Nel Belice furono soprattutto le povere abitazioni in conci di tufo a seppellire gli oltre 300 morti. Allora Belice divenne sinonimo di cattiva amministrazione, inefficienza e ruberie a danno della povera gente. In Emilia, viceversa, sono collassati soprattutto i capannoni industriali colpendo un'economia ricca e avanzata e seppellendo operai e imprenditori, tornati al lavoro dopo le prime scosse. 

In ambedue i casi, branchi di sciacalli (mai la trasposizione di nomi dal mondo animale al comportamento umano è stata più azzeccata, anche se va detto che in natura gli sciacalli fanno solo il loro mestiere) hanno razziato a man bassa quanto hanno potuto. Fenomeni di miserabile, selvaggia rapacità messi in ombra, per fortuna, da straordinari atti di coraggio, solidarietà e abnegazione.

In questo grave momento di crisi, il colpo di schiena degli Emiliani può rappresentare la spinta perché l'Italia tutta trovi la forza di risollevarsi e l'occasione per avviare la messa in sicurezza, non più procrastinabile, del territorio nazionale. 

Per evidenziare il carattere emiliano, mi piace riportare la testimonianza di un'insegnante della provincia di Ferrara e il commento di Corrado Augias
Caro Augias, sono una prof d’inglese in una piccola e deliziosa scuola media della provincia di Ferrara (Comacchio), dopo la prima scossa non ho mai sentito così forte il peso della responsabilità che il mio adorato mestiere comporta. Sì, insegnare bene, certo; formare dei cittadini, va bene, questo l’ho sempre vissuto: 25 giovani vite che maneggiano parole e zainetti più grandi di loro. Ma quando la nostra scuola ha cominciato a tremare e ho visto la mia classe atterrita e ho gridato "Sotto i banchi" e subito dopo "Tutti fuori! Ordinatamente!" ho sentito l’adrenalina fermare il respiro e allo stesso tempo quel senso di protezione atavico che li avrei presi in braccio uno per uno con la forza dell’incredibile Hulk. Nel campo aperto consolarsi è stato più facile ma altrettanto impegnativo; molti piangevano perché per un’ora non abbiamo saputo che cosa fosse successo ai parenti, alle case, i cellulari non prendevano e io continuavo a ripetermi "stai calma, sorridi e stai calma". Alle volte certi ministri ci hanno fatto sentire inutili appendici di una lavagna multimediale, poi succede una tragedia così. (lettera firmata) 
Un terremoto, come una guerra, è fatto anche di questi gesti che non è esagerato definire epici: pensare agli altri, tenere i nervi a posto, fare le mosse giuste, ordinatamente. Sono certo che in Emilia gesti così sono stati numerosi. Credo che molti, me compreso, abbiano sentito in modo particolare il dolore per questa sciagura. L’Emilia non è una regione come le altre, quel "Bel pezzo dell’Emilia" come la chiamò (2004) il nostro amico rimpianto Edmondo Berselli, è un concentrato di tutto ciò che ci piace in questo paese: ideali durevoli, un realismo temperato dalla fantasia, la passione per il lavoro ben fatto che non esclude il divertimento, le battute, anche quelle grasse, una religiosità alla don Peppone, lontanissima dalle perfide astuzie vaticanesche. Una terra di confine tra la cordialità mediterranea e l’efficienza settentrionale che non conosce gli eccessi di altre zone del paese, una terra la cui generosità comincia dalla sua cucina e finisce nella bonomia di quelle cadenze dialettali che richiamano da sole il buonumore. Anche il famoso comunismo emiliano, quando c’era, era di questa pasta, sapeva di agnolotti e di lambrusco e poi di cooperative certo; ma le cooperative non servivano solo ai finanziamenti politici, davano già nel nome il senso di quella orizzontalità dei rapporti che hanno lasciato ammirati i sociologi come Robert Putnam ("La tradizione civica nelle regioni italiane", 1993) e fatto delle sue scuole elementari un modello da studiare nel mondo. C’è un’altra caratteristica negli emiliani, la tenacia. Ne daranno prova anche adesso, ci possiamo scommettere. Corrado Augias 

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