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Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

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30 dicembre 2016

RLM - 40 anni fa. Una grande avventura al servizio della città



Il 28 Dicembre 2016, per iniziativa di Sino Quartararo e con il patrocinio della Pro Loco di Menfi, nell'Auditorium dell'Istituzione Culturale Federico II si è tenuta la rievocazione di Radio Libera Menfi, a quarantanni dalla sua fondazione col titolo 40 anni fa. Una grande avventura al servizio della città. L'evento, curato nei dettagli dall'impeccabile Gioacchino Mistretta e presentato dalla giovane Rosy  Abruzzo, ha visto la partecipazione di un pubblico numeroso e assai interessato. I vari collaboratori dell'emittente sono stati invitati sul palco a dare la loro testimonianza mentre sullo schermo scorrevano documenti interessanti, ormai storici, relativi a diverse fasi e rubriche curate da RLM. La serata è stata allietata grazie alla riproposizione di brani musicali in voga all'epoca, eseguiti magistralmente da Sino Quartararo e Leo Marchese. E' stata una bellissima manifestazione, assai partecipata, che ha avuto il merito di riportarci piacevolmente indietro di alcuni decenni. Ma RLM non deve rimanere solo un memoriale, potrebbe in qualche modo risorgere dalle sue ceneri. Pensiamoci! 


Era il 15 ottobre 1976 quando iniziarono le prove sperimentali di RADIO LIBERA MENFI sulla frequenza 98,200 mhz. L’idea di aprire la radio fu di alcuni giovani che s’interessavano di musica già da un bel po’ di tempo: Sino Quartararo, Saverio Piccione, Baldassare Bivona, Pippo Graffeo, Rosario Callaci, Giuseppe Gagliano. Poi si sono aggiunti: Bilello Francesco, Liborio Ferraro e Marco Bursi. Radio Libera Menfi ha rappresentato un momento importante per Menfi, la libertà, la trasgressione e la capacità del mondo giovanile del post ’68 d’interpretare la realtà di quel momento storico. Punto di forza della radio era l'interattività con gli ascoltatori che vennero coinvolti direttamente dando loro la possibilità di intervenire nel corso dei programmi apportando opinioni e commenti, oppure di scegliere brani musicali di loro gradimento; vengono cosi impostati programmi dedicati a varie fasce di utenza centrando la programmazione su vari argomenti (culturali, storici, rubriche varie, cabaret e musicali (Rock, musica italiana, folklore locale etc.) o sociali (politica in primis).
Quelli furono anni stupendi, di spensieratezza, d’entusiasmo e di straordinaria professionalità per quei ragazzi meravigliosi e per tutti i componenti la radio.
Il loro unico interesse è stato quello di garantire un servizio sociale a tutta la collettività convinti, com'erano, che il mezzo radiofonico era un bene comune che poteva essere utilizzato da tutti: famiglie, commercianti, liberi professionisti o semplici cittadini. Li sosteneva solo il loro grande entusiasmo e l’infinita voglia di fare, tipica dei giovani di quel tempo che, ahimè, raramente si riscontra nei giovani d’oggi.
Da un post su FB di Sino Quartararo

A me è stato dato il compito di rievocare sinteticamente la figura di Nino Ardizzone e la rubrica "Lignati siciliani" che andava in onda la domenica mattina. E l'ho fatto, all'incirca,così: 
"Cu pigghia lu turcu è so" era l'espressione con cui Nino Ardizzone soleva stigmatizzare il comportamento di quanti, in un contesto di illegalità diffusa, si appropriano di tutto ciò che capiti loro per le mani infischiandosi dei diritti altrui. A quel punto inarcava il sopracciglio in modo interrogativo e atteggiando il viso ad una smorfia faceva presagire una scarica di altre espressioni colorite. Il suo eloquio era pungente e, spesso, sarcastico. Con lui ogni domenica mattina intrattenevo i radiascoltatori su temi di carattere sociale e sulle disfunzioni che gli stessi denunciavano tramite telefono. 
La radio svolse allora un importante servizio sociale, contribuendo alla ricostruzione della vita comunitaria in un comune in parte disintegrato dagli effetti del sisma. I danni provocati dal terremoto e quelli successivi prodotti dagli uomini sono stati un altro argomento di discussione nella rubrica domenicale. "E ci nni vosiru trantuluna pi ghittari 'n terra lu campanaru di l'assiccursu!" Altra immagine di Nino che insieme a me criticava fortemente l'opera di demolizione di edifici che avrebbero potuto essere restaurati. Ma all'epoca in un centro rurale come il nostro risultò più agevole demolire e attendere la successiva ricostruzione.
Per quanto mi riguarda, la mia collaborazione con RLM rimase concentrata soprattutto negli anni 1980-83, il periodo in cui rientrai a Menfi avendo ottenuto l'incarico d'insegnamento c/o la sezione staccata di Menfi del Liceo Scientifico. Avevo la metà degli anni che mi ritrovo ora e furono per me anni molto densi e attivi perché curai con i miei studenti la messa in scena di alcune opere teatrali con discreto successo mentre riempivo le mattinate domenicali conducendo assieme al compianto Nino Ardizzone la rubrica di lagnanze in cui si denunciavano i disservizi, gli scandali, i ritardi delle amministrazioni relativamente alla ricostruzione post-terremoto ecc. Indimenticabile la battaglia condotta per la collocazione dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti. In quel periodo, spesso, venivano trasmessi in tempo reale i consigli comunali, motivo per cui i consiglieri e gli amministratori dovevano stare attenti a quello che dicevano. Furono anni di impegno civile e di lotta al fine di realizzare un cambiamento considerato possibile. Ricordo certi dibattiti e confronti con esponenti politici locali, condotti nella sede della radio. Spesso i partecipanti volevano concordare gli argomenti ma quando le risposte viravano verso il consueto politichese era giocoforza riportarli alla concretezza della realtà.
A riascoltarmi, mi ha fatto impressione più della vivacità argomentativa, che non mi è mai mancata, la velocità nell'esposizione; da anni parlo più lentamente riflettendo di più su ciò che dico.


08 gennaio 2015

Un consiglio spassionato e non richiesto al premier Renzi

Dopo la norma salva-Berlusconi, approvata dal Consiglio dei ministri la notte di Natale - che potrebbe di fatto graziare l’ex Cavaliere condannato dalla Cassazione - e la successiva istanza dei suoi legali intesa ad ottenerne la liberazione anticipata per buona condotta: Il progetto rieducativo si è arricchito dello svolgimento dei lavori di pubblica utilità (…) da cui ha accolto con entusiasmo uno spunto di riflessione sulla condizione degli anziani, -
invece di arrampicarsi sugli specchi con l'esito sgradevole che ne consegue e costringere il poveretto a chiedere una riduzione di pena, perché il premier Renzi non compie un atto di forza decisivo candidando l'ex premier ed ex cavaliere al Quirinale per i grandi meriti conseguiti come imprenditore e politico?
Consideri che si tratta del miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni, prima, cioè, che lui stesso gli soffiasse il podio con la strabiliante attività messa in campo.

Pensi Renzi all'esito che ne conseguirebbe: 
- metterebbe finalmente fuori gioco quell'opposizione interna, vera spina nel fianco che rallenta e indebolisce il suo slancio vitale;
- otterrebbe applausi sperticati e riconoscimenti fastosi dal partito e dal mondo degli affari orbitante attorno all'ex cavaliere;
- assicurerebbe al patto del nazareno una durata almeno settennale con la prospettiva di cambiare definitivamente i rapporti di forza nel Paese e di fare le grandiose riforme da entrambi auspicate e volute.

Dico questo perché sono convinto che sarebbe la mossa azzeccata e vincente, in grado di garantire al premier lunga vita politica e l'ambito riconoscimento di grande statista.

Faccia come il Duce che si assunse la responsabilità politica, morale e storica del delitto Matteotti, tacitando così l'opposizione e la fronda nascente nel suo stesso partito e dando vita alla fase autoritaria del regime.

Forza Renzi, che ce la fai!

29 dicembre 2014

ANNO NUOVO. VITA VECCHIA ?

Fra poche decine di ore festeggeremo in tutto il mondo (intendo su questo nostro pianeta) il passaggio dall'anno 2014 al 2015. Lo faremo non tutti nello stesso momento ma secondo lo scaglionamento in 24 fusi orari; pertanto l'inizio dei festeggiamenti avverrà nell'arco di 24 ore nelle 24 sezioni nelle quali il nostro globo è diviso. Il capodanno islamico e il cinese non coincidono con quello occidentale fissato dal Calendario gregoriano. 
Già solo questi fatti ci dicono che il tempo storico è una pura convenzione e si calcola secondo criteri più o meno precisi di aggiustamento al tempo astronomico. 
Anche questo, però, è una formulazione scientifico-filosofica intorno alla quale fior di studiosi hanno dibattuto costruendo diverse concezioni del tempo, dalla ciclica, alla lineare fino alla spirale. 

Non mi dilungherò sulla concezione sidero-spaziale, filosofica, scientifica del tempo per la quale rinvio i miei lettori alla puntuale esposizione presente in Wichipedia
Solo un cenno al tempo storico che è quello della sistemazione cronologica e periodizzazione che gli storici fanno della loro materia. 

Mi soffermerò, invece, sul concetto di tempo individuale che è quello che a ciascuno di noi è dato da vivere e che procede secondo criteri del tutto personali e, direi, interiori. E per far ciò mi rifaccio alla teoria di Henri Bergson secondo cui per il tempo non esistono singoli istanti ma un loro continuo fluire non scomponibile; istanti vissuti nella loro durata reale nella coscienza di ognuno dove gli stati psichici non si succedono ma convivono. Diverso è quindi il tempo della scienza da quello reale che ciascuno di noi vive nella propria coscienza. 

Per questa ragione il mio/nostro tempo può contrarsi o dilatarsi. Non è un tempo scandito dallo scorrere lineare e regolare delle ore e dei giorni del calendario, ma costituito di ritagli della realtà percepita in un tempo fuori dal tempo, una durata che la memoria poi raccoglie e incasella nel tempo reale. E qui soccorre Proust che nella sua Recherche fece uso della concezione bergsoniana: Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi

Questa concezione del tempo legata alle nostre percezioni è affascinante, ci libera dalla costrizione nel tempo come svolgimento monotono e lineare, dalla concezione ciclica dell'eterno ritorno e sprigiona, invece, le nostre potenzialità creative perché ci dà modo di ritagliarci il nostro tempo da vivere, liberi dall'estenuante riferimento all'orologio fisico a vantaggio di quello interiore. 

Esperienze di questo tipo tutti ne abbiamo fatte. Quante volte ci accorgiamo che il tempo dell'attesa non passa mai - sembra durare più a lungo di quanto stimiamo - e guardiamo insofferenti i minuti che scorrono sull'orologio. Altre volte, invece, il tempo dell'azione e delle esperienze piacevoli sembra sfuggirci di mano, tanto passa in fretta! 
E questa percezione del tempo è comune a tutti gli uomini - occidentali, cinesi, musulmani - senza distinzione culturale o religiosa. 

Per tornare ai festeggiamenti che accompagneranno l'arrivo del 2015, anch'io allo scoccare della mezzanotte del 31 Dicembre (fuso orario di Roma) parteciperò al brindisi augurale perché mi troverò in compagnia di persone accomunate dalla stessa voglia di salutare l'anno nuovo. Altre volte, invece, mi sono ritrovato solo in casa, sono andato a dormire prima e l'anno è entrato ugualmente. 

08 febbraio 2014

Ricordando Rosario Giacomarra, collega e amico

Questa vecchia foto, fortunosamente recuperata da mia nipote Matilde tra tante cianfrusaglie, mi ritrae in mezzo ad una scolaresca dell'ITCeG di Tione di Trento, in gita nel territorio di Paestum. 
Come nella Recherche di Proust, essa ha dato la stura a tanti ricordi lontani e mi ha richiamato alla mente l'amico e collega esemplare Rosario Giacomarra, a destra nella foto. 
Insieme, con molta imprudenza devo dire, avevamo accettato di accompagnare in gita questa classe tutta di ragazze e ci eravamo accampati nella casa di proprietà dei familiari di una delle alunne. 

Con Rosario ci eravamo conosciuti a Tione, ambedue insegnanti presso l'ITC 'Einaudi', lui di tedesco ed io di lettere italiane. Abitavamo all'Hotel Milano con trattamento di pensione completa. Personaggio estroso Rosario, molto preparato, con una cultura profonda non priva di erudizione, nascondeva spesso la sua timidezza e inadeguatezza a rapportarsi con gli altri dietro un atteggiamento scontroso e duro e una parlata incerta e sottotono che mostrava chiarissima la sua origine siciliana. Ogni situazione che viveva lo spingeva a confrontarsi con i suoi autori amati citandoli. Nutriva una forma di allergia per la politica per la quale mostrava un vistoso agnosticismo. Leggeva molto e usava la radio per ascoltare soprattutto le stazioni straniere in onde medie. Conosceva tante lingue antiche e moderne, oltre al Tedesco che era la materia di insegnamento. Le sue conoscenze storiche erano straordinarie e si muovevano agilmente dalla storia antica alla contemporanea. 

Lo ritrovai a Riva del Garda, dopo il mio ritorno dalla Sicilia in Trentino, docente di tedesco al Liceo Maffei. Non era facile mantenere un rapporto d'amicizia con lui; era una spanna sopra gli altri per conoscenza e cultura, dotato del senso dell'umorismo e, talvolta, di un'ironia pungente. Era diventato più irascibile negli ultimi anni: non sopportava la superficialità e l'approssimazione di tanti suoi colleghi; con gli studenti era di un rigore antico, ma poi sapeva comprenderli e giustificarli. Sembrava un uomo d'altri tempi, un apolide, cittadino del mondo. 
Aveva, infine, comprato casa nel centro di Riva del Garda dove mostrava di volersi stabilire definitivamente. E lì, a Riva lo colse il male che lo portò alla morte nella sua Alimena. Spirito libero e indipendente, ha lasciato più poveri quanti lo hanno conosciuto e stimato.

Dalla nota dell'estroso Zanzani traggo la riflessione che condivido in pieno, che accompagna il noto scherzo poetico del caro Rosario sul corpo umano.
Come tutti sanno, pochi giorni orsono a Mario Vargas Llosa è stato assegnato il Nobel per la letteratura. Ma non è di questo straordinario autore che intendo parlare, vi offrirò invece la lettura di una poesia di Rosario Giacomarra che mi è parsa molto bella.   
Rosario Giacomarra è stato uno di quegli italiani geniali che vivono nascosti tra le mille rughe del nostro bizzarro paese e dei quali ci si accorge quando sono già morti. 
Fu quasi un autodidatta, ma parlava latino, greco, francese, inglese, tedesco, spagnolo, olandese, turco e russo, oltre al suo bel dialetto. 
Io non lo conoscevo, però dopo aver letto questa sua poesia sul libriccino che mi hanno regalato gli amici delle Madonie che gli hanno dedicato il concorso letterario "Alimena sotto le stelle", non ho potuto rinunciare a presentarvela. È una lirica folgorante. 
Allorchè fu creato il corpo umano
presentò ciascun organo il suo piano
per diventar del corpo il capitano.
- Trasmetto forza, a tutti dò una mano,
lo stomaco disse, e il corpo è sano:
tocca a me dunque fare il capitano.
- Siam noi, le gambe, chi fa andar lontano
l'intero corpo, siamo noi, e invano
pretende farne ogni altro il capitano.
E quando dopo tutti toccò all'ano
far le proposte esso espose il piano
per diventar di tutti il capitano.
Che gran risata fece il corpo umano!
Allora, irato per il gran baccano:
- Non faccio più lo stronzo, in italiano
l'ano parlò, se non son capitano!
L'intero corpo in uno stato strano
ben presto si trovò: facea l'indiano
ogni organo del corpo e a capitano
per viver tutto il corpo scelse l'ano.
Non serve dunque un fesso sovrumano,
ma ogni fesso è buono, ogni villano
che sappia far lo stronzo è capitano. 
Lo scherzo poetico di Giacomarra spiega molto bene che a volte non è il migliore a comandare.

Leggi anche:
Il ricordo del prof, in ARCHIVIO TRENTINO 

Giacomarra: sempre vivissimo il ricordo di un prof generoso

Alimena sotto le Stelle della Letteratura, dedicato alla memoria del prof. Rosario Giacomarra

E infine:
Un genio italiano, in Cronache dalla campuria a cura di Giovanni Zanzani

24 marzo 2013

Due Papi a Castel Gandolfo. Foto e video di un incontro memorabile

Sono le immagini di un evento straordinario, epocale che colpisce la sensibilità di credenti e non. 


L'incontro di Castel Gandolfo tra papa Francesco e il suo predecessore, il papa emerito Benedetto XVI, è già un fatto di portata storica, con rilevanti implicazioni culturali e religiose. Anche se noi contemporanei non l'avvertiamo come tale. 


Queste sono immagini da conservare perché uniche e irripetibili. 





















Bergoglio incontra Ratzinger: Siamo fratelli 

25 febbraio 2013

Onorevole Berlusconi, le scrivo

C'è in Italia una generazione di giovani e di uomini e donne di mezz'età che dell'impegno contro la mafia hanno fatto una questione vitale. 
Sarà per l'esperienza personale e diretta che hanno fatto di questo cancro che annichilisce ormai tutto il Paese, sarà per l'esempio di uomini generosi come Falcone e Borsellino, sarà per la formazione che hanno ricevuto in famiglia e a scuola, queste persone hanno acuito una straordinaria sensibilità nella lotta alla mafia, in qualunque forma questa si manifesti. 

Una di esse che stimo tanto è la mia amica Claudia che ieri sul sito La Spezia Oggi ha pubblicato la lettera aperta “Onorevole Berlusconi”, le scrivo. Dal suo profilo fb traggo questa bella citazione di Roberto Spampinato: Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta dei loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte. E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione

Ripropongo il suo testo ai miei amici perché merita di essere conosciuto e apprezzato per la dignità e il coraggio che da esso emana. Brava Claudia, spero ti faccia piacere il mio apprezzamento e la mia piena condivisione. vr 


“Onorevole” Berlusconi, 

sono stata politicamente corretta, durante questa campagna elettorale. Non ho scritto nulla contro di Lei, non ho fatto circolare i pur spiritosi link “Berlusconi restituisce le cose” e così via. Un po’ l’ho fatto perché gestendo il sito mi sentivo in dovere di essere imparziale, un po’ per non farLe ulteriore pubblicità.
Non ho detto nulla quando ha promesso di restituire l’IMU, né quando, sbugiardato dalle banche svizzere, ha dichiarato che ce l’avrebbe restituito di tasca sua, tanto Lei “con mezzo miliardo” vive benissimo. Non ho fatto appelli a non votare per Lei, insomma nulla di nulla. Certo, chi mi conosce sa quanto io La disistimi, ma non l’ho voluto mettere in piazza. Scelta un po’ controcorrente, in questa campagna elettorale che, sui social network, si è svolta più basandosi sull’insulto all’avversario che sul sostegno al proprio schieramento.
Poi ho letto che Lei ieri ha violato il silenzio elettorale, ma sa, “Onorevole”, un po’ me l’aspettavo, perché Lei non ce la fa proprio a stare alle regole e mi sono detta “va beh pazienza”, ma poi ho letto cos’ha dichiarato. E no, non ci riesco a stare al mio posto a far finta di nulla. Non ci riesco perché quelle parole mi hanno ghiacciata, peggio della neve che ha imbiancato la mia città. Non ci riesco perché ho macinato centinaia di km per sostenere la Magistratura. Perché ho sentito il cuore fermarsi arrivando in Via d’Amelio. Perché ho guardato negli occhi i familiari delle vittime di mafia, perché sono stata in Via dei Georgofili, perché sono passata dove, in un 23 maggio di 21 anni fa, l’autostrada si aprì in una voragine al passaggio dell’auto di Falcone.
Ci sono Magistrati buoni e Magistrati meno buoni, ci sono gli onesti e i corrotti, quelli che fanno il proprio dovere con correttezza e quelli che lo fanno per prendere lo stipendio. I Magistrati possono sbagliare e sbagliano, a volte in buona fede e a volte no. Ce ne sono alcuni che andrebbero cacciati, altri che dovrebbero stare in prigione. Ma le parole che Lei ha pronunciato, e che non oso ripetere perché me ne vergogno per Lei, che evidentemente non si vergogna di nulla, sono semplicemente indefinibili.
E mi auguro che il sole che sta portando via la neve porti via anche il berlusconismo. Ma le Sue parole no, non le porterà via. Pensi quello che vuole, io continuerò a stringere forte tra le mani la mia Agenda Rossa e a credere più nella Magistratura che in Lei.
Con tutta la mia disistima, Claudia Bertanza

27 gennaio 2013

Per non dimenticare: un video, due immagini, una poesia. Nient'altro!


Se questo è un uomo - Primo Levi 

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi. 




Giornata della memoria: ecco gli appuntamenti
Giornata della Memoria, perché bisogna ricordare
Giorno della Memoria: “Ricordare è un dovere”

18 gennaio 2013

Se gli Italiani non si sono bevuti il cervello


...se hanno ancora capacità d'intendere e di volere, se non hanno gli occhi foderati di prosciutto, non solo non potranno rimettere il Paese nelle mani di chi lo ha portato nel baratro, ma con il voto dovranno costringere il vecchio clown nelle condizioni di non nuocere.  
Perché in nessun paese civile al mondo sarebbe potuto accadere che un personaggio simile dopo i fallimenti politici, il disastro economico, la caduta di ogni illusione e promessa, il discredito personale e politico che lo circonda all'estero, i processi in corso e la condanna in primo grado, la conclamata abitudine all’imbroglio e alla simulazione, potesse ancora presentarsi alle elezioni politiche e oltretutto sperare, e con qualche fondamento, di ribaltare o comunque condizionare l’esito del voto con due mesi di recitazione della solita, logora commedia. (da Al Centrosinistra ricordo: il nemico è Berlusconi - Sergio Matera su Libertà e Giustizia) 
Certamente a girare pagina molto aiuterebbe la svolta proposta attraverso un programma coerente, serio e credibile da parte di un centrosinistra che si candidi al governo dell'Italia e a liberare il Paese dalle false promesse del pifferaio magico. Avremo modo di vedere questo programma prima delle elezioni? Riusciremo a vedere in primo piano sui giornali e in tv un'agenda politica del PD, primo partito nei sondaggi, in sostituzione delle barzellette e delle sparate del vecchio clown in esibizione continua? 

04 gennaio 2013

La Campana di marmo di Calarasanu a Menfi nel 45° del terremoto

da: Marmo e barrique, storie di cultura e di amicizia tra Timisoara e la Sicilia  di Gianluca Testa  
Avvenimenti, anche tragici, possono, a volte, generare delle situazioni che li illuminano con un’altra luce, dove ombre e lati più bui soccombono al cospetto di alcuni particolari che per la loro normalità possono apparire, a volte, eccezionali. 

È una questione d’interpretazione e, perché no, di pathos, che permette ai particolari di prendere vita propria e di diventare unici. È quello che è accaduto durante un viaggio con alcuni amici romeni, di Timisoara, nella primavera del 2012. Tra due amici imprenditori, un altro amico, uno scultore di fama, eclettico e sincero, amante del buon vino e delle scarpe di classe, Stefan Calarasanu. Forse era stato proprio il particolare delle scarpe ad attrarmi a Stefan, o forse è stato il suo essere squisitamente, profondamente artista a trascinarmi nel vortice della sua emozione quando, nel nostro primo viaggio in Sicilia, terra delle mie radici materne, assorto dal tragico fascino delle rovine del sisma del lontanissimo ’68 della Valle del Belice, mi disse che avrebbe voluto, con tutto il cuore, lasciare una sua testimonianza in quel lontano paese siciliano, Menfi. C’è sempre una motivazione che spinge noi uomini a scegliere ed a decidere ed io, come tutti, ho le mie. 
L’idea mi è piaciuta moltissimo e, dopo aver acquistato un blocco di puro marmo ad agosto a Custonaci, ventre di moltissime opere, anche di ellenica memoria, e dopo aver preso accordi con il Sindaco ed alcuni consiglieri del Comune di Menfi, lo scorso settembre, l’amico Stefan atterrava a Palermo per iniziare la sua opera. 
Commovente l’aiuto e la genuina curiosità di molti concittadini che, tra un sorriso ed un discorso, hanno partecipato con la loro forza coinvolgente al lavoro di Stefan. Ad essere sincero, senza quei sorrisi, senza quelle curiosità sinceramente spontanee, non sarei riuscito ad aiutare Stefan. Tra la polvere del marmo, il caldo di un’estate in discesa, la sua opera, concedetemi di dire la nostra opera, prendeva forma. Il parallelepipedo di marmo bianco, prelevato dalle cave di Custonaci, in poco più di due settimane si stava trasformando in un pensiero solido di un uomo impressionato dalle macerie, vecchie di quarant’anni, del terremoto del Belice. Lui, artista contemporaneo, amico di un figlio di quella terra assolata trapiantato, prima nel nord Italia e, poi, regalato alle cure di una Nazione carica di contraddizioni e di veri talenti. 
La piazza principale di Menfi accoglierà l’opera di Stefan, così che molti, tantissimi menfitani potranno ricordare e dire che hanno conosciuto quel simpatico artista romeno che parlava una lingua tutta sua, che di italiano aveva molto poco, ma che, incredibilmente, si lasciava capire. Un po’ come i simboli che Stefan regala alle sue opere, tutte le sue opere. Simboli che non significano nulla e che dicono tutto del suo essere, di quello che fuoriesce dalla sua voglia di esprimersi, dalla sua voglia di esprimere l’arte che gli cresce dentro. Così come nelle sue campane, così come nei suoi stivali, alcuni giganteschi, possenti, talmente veri da rendere percepibile quel calore che ne rimane all’interno dopo che sono stati indossati.  
Caro Gianluca, non so se ti ricordi di me. Ma tra le persone che hai incontrato e conosciuto a Menfi negli anni terribili del post-terremoto c'ero anch'io. Spesso raggiungevo te e tuo fratello nella casa che abitavate di fronte alla Chiesa del Collegio e andavamo in giro per quella Via della Vittoria, voi ragazzini ed io studente universitario più cresciutello. Ricordo la vostra grande curiosità e precisione, rasentante talvolta la pignoleria; doti non comuni in ragazzi della vostra età. Sono profondamente commosso per il legame che mantieni con Menfi, dove nel 45° anniversario del sisma verrà posata la campana di marmo, opera dello scultore rumeno Stefan Calarasanu, tuo amico e adesso amico di tutti noi. L'iniziativa ti fa onore e, assieme a Stefan, ti ascriverà tra i menfitani degni di memoria. Giorno 15 Gennaio ci sarò anch'io a Menfi, con tanta voglia di rivederti. Grazie Gianluca! 


Marmo e barrique, storie di cultura e di amicizia tra Timisoara e la Sicilia 
in Orizzzonti Culturali Italo-Romeni 
Leggi anche dal mio blog: Valle del Belice '68 - Per non dimenticare 

01 dicembre 2012

Misure immediate: farò avere a tutti 100 € netti al mese


Non voglio commentare le modalità con le quali in questi giorni che precedono il ballottaggio si è tentato di offuscare l'esito del primo turno. I fatti parlano da sè. 

Rivedendo, invece, il video del confronto finale su Rai1, sono stato colpito dalla perentoria sicumera con cui lo sfidante scandisce: 


Misure immediate: la volontà di dare con 21miliardi di euro 100 € netti al mese a tutti coloro che guadagnano meno di 2000 € netti al mese per 13 mensilità.
Proposte concrete e puntuali: noi dobbiamo rimettere in tasca i soldi al ceto medio.



Mi ha fatto ripensare agli slogan con i quali un altro figuro ha turlupinato più volte gli Italiani con: 
Meno tasse per tutti 
Un milione di posti di lavoro in più 
Aboliremo l'ICI sulla prima casa, avete capito bene?

Poi sappiamo come è andata a finire. 



Ciò che fa sempre più meraviglia è scoprire come i gonzi abbocchino sempre! 


Berlusconi: il piano per Renzi premier
Berlusconi: Renzi porta avanti le nostre idee sotto le insegne del PD

25 ottobre 2012

SILVIO SE NE VA - ERA ORA!

Scese in campo il 26 gennaio 1994 attraverso questo messaggio televisivo registrato e inviato a tutti i telegiornali. 


Esce di scena - o, almeno, dice di volerlo fare - il 24 ottobre 2012 con questo testo inviato a tutte le agenzie:
"Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciotto anni fa sono entrato in campo, una follia non priva di saggezza: ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora. Non ripresenterò la mia candidatura a Premier ma rimango a fianco dei più giovani che debbono giocare e fare gol. Ho ancora buoni muscoli e un po’ di testa, ma quel che mi spetta è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività. Con elezioni primarie aperte nel Pdl, sapremo entro dicembre chi sarà il mio successore, dopo una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni.
La continuità con lo sforzo riformatore cominciato diciotto anni fa è in pericolo serio. Una coalizione di sinistra che vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l'esplosione del paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito educati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento.
Sta al Popolo della Libertà, al segretario Angelino Alfano, e a una generazione giovane che riproduca il miracolo del 1994, dare una seria e impegnativa battaglia per fermare questa deriva". 

Ciò che sta tra queste due date lo sappiamo tutti per averlo vissuto sulla nostra pelle e fa parte del dibattito culturale e politico in Italia e all'estero. 
Il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, sceso in campo 18 anni fa con l'obiettivo di salvare le sue aziende, esce di scena stimolato dalla medesima preoccupazione, dopo aver portato al fondo l'Italia, il Paese che ama

Io voglio festeggiare l'evento come meglio non si potrebbe! Con la bella canzone di Antonello Venditti a lui dedicata. 

09 agosto 2012

Con il governo Berlusconi lo spread a 1200

L'iperbole montiana più verosimile della cagata bossiana d'agosto 

La frase di Monti non è stata né diplomatica né opportuna, considerato che il suo governo dipende anche dai voti del cavaliere di Arcore. Ma l'iperbole adoperata dal Professore rappresenta plasticamente un'ipotesi realistica e verosimile. Nessuno di noi, infatti, ha dimenticato quei drammatici giorni e la scarsa considerazione di cui godevano l'Italia e il suo governo nel mondo. 

Infelice anche l'uscita montiana, nell'intervista ad un giornale tedesco, sui parlamenti che devono essere educati dai governi; che ha fatto scattare il mondo politico tedesco in una denuncia unanime contro il presunto attacco alla democrazia, trovando echi anche in Italia, specialmente tra i deputati della destra. 
Il parlamento dei nominati e, parzialmente, degli inquisiti e asserviti, si è rivoltato contro il premier. Il PDL, addirittura, ha levato gli scudi e i giavellotti per stigmatizzare l'onta grave subita dal proprio leader ipotizzando anche la possibile uscita dalla maggioranza e l'affossamento del governo dei tecnici. 
Gli uomini e le donne del PDL, poverini/e, non ricordano le continue gaffes, sia gestuali che verbali, del loro leader al governo. Di tale entità e smisuratezza da riempire uno scaffale di biblioteca. Ma lui è fatto così, dicevano. 
Io voglio ricordarne solo due: quando disse che per snellire i lavori delle camere basterebbe che ogni raggruppamento politico esprimesse un solo voto, quello del capogruppo, e quando ingiuriò i milioni di italiani che non votano per lui con l'appellativo di coglioni
Né nell'uno né nell'altro caso i suoi scherani hanno avuto da ridire. Lui era fatto cosi! 

Ieri, dopo mesi di travagliati a mia insaputa, è tornato alla  ribalta il leader storico dei celto-padani, il vecchio compagno delle cene arcoriane del lunedì, con la sparata più grossa che va ad arricchire il suo notevole repertorio di cagate extragalattiche. Alessandro Manzoni, a suo dire, è stato in sostanza un traditore che ha lavorato per il re. Scrivendo, infatti, in italiano i suoi Promessi Sposi, ha contribuito alla formazione di una lingua italiana comune e di un comune sentire. Questa la sua grave colpa! 

Tanto grossa la cagata che Tosi, un altro padano più a sud ha sentito il bisogno di puntualizzare che il suo vecchio capo deve aver preso un abbaglio, data l'eccezionale calura di questi giorni. 
Io sostengo che i colpi di sole al vertice della celtica padania sono stati troppi, e non sempre frutto dei solleoni agostani. 

Bossi dimentica che Manzoni e Verdi furono ferventi sostenitori dell'unificazione del Paese e lo dimostrarono in tutti i modi e in tutte le salse. 
Lo stesso suo - si fa per dire - Va pensiero, scritto in perfetta lingua italiana, rappresentò nell'ottocento e per tutto il secolo scorso un vessillo sublime di italianità e amor di patria. 

Forse Bossi dovrebbe leggere i versi di Marzo 1821 prima di dare della canaglia e traditore a Manzoni che, per sua fortuna, non poteva prevedere né immaginare - lui che conosceva Cattaneo e il suo pensiero - che sugli scranni del parlamento italiano un giorno si sarebbero assisi Bossi e la masnada che lo circonda. 


Oggi, o forti, sui volti baleni
Il furor delle menti segrete:
Per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convito de’ popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
Sotto l’orrida verga starà.

Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
Che da lunge, dal labbro d’altrui,
Come un uomo straniero, le udrà!
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
Dovrà dir sospirando: io non c’era;
Che la santa vittrice bandiera
Salutata quel dì non avrà.

23 maggio 2012

Per ricordare Giovanni Falcone venti anni dopo

con il pensiero rivolto alla piccola, povera Melissa e alle sue compagne. 

La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. (Giovanni Falcone)                                                                             



I video di RaiNews24 e una riflessione di Loris Mazzetti  

Capaci e via D’Amelio. Vent’anni dopo - di Loris Mazzetti su articolo21 
Sono trascorsi vent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il 23 maggio 1992 sull’autostrada che va dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo 500 chili di tritolo esplodono alle 17,56 al passaggio del giudice Giovanni Falcone. Muoiono con lui la moglie Francesca Morvillo, magistrato, gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Trascorrono solo 57 giorni, il 19 luglio, sempre a Palermo, Paolo Borsellino sta entrando nell’abitazione della madre… un telecomando fa esplodere una Fiat 126 imbottita con 100 chili di tritolo. Con il giudice muoiono gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Erano stragi annunciate. Nei giorni successivi esplose una rabbia generale nei confronti di uno Stato che non era riuscito a evitarle. 
Con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino muore il riscatto, non solo di una regione, la Sicilia, ma di un Paese intero. Da servitori dello Stato, da magistrati che svolgevano semplicemente il loro lavoro i due giudici sono stati elevati a simbolo, a eroi. Stava scritto su un lenzuolo durante una manifestazione organizzata a Palermo subito dopo la seconda strage: “Non li avete uccisi, le loro idee camminano con le nostre gambe”.                                                                                                                 
In questi vent’anni altri magistrati hanno continuato il lavoro di Falcone e Borsellino: Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Ilda Boccassini, Luca Tescaroli e altri ancora. Con le loro indagini ci hanno fatto comprendere che la mafia non è solo violenza e sopraffazione, ma è capacità di insinuarsi nella vita quotidiana. Oggi la criminalità organizzata è meno visibile, si è vestita in giacca e cravatta. I fatti ci dicono che tra mafia, politica e istituzioni vi è collusione. La condanna definitiva di Totò Cuffaro; il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri che avrebbe preso, secondo il pentito Stefano Lo Verso (il boss di Ficarazzi), il posto di Salvo Lima; le indagini sul presidente del Senato Renato Schifani; l’ex ministro del governo Berlusconi Saverio Romano; per non parlare di esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine condannati in via definitiva. Cosa nostra ammicca al potere e il potere risponde. Tommaso Buscetta disse a Falcone, quando questi aveva iniziato ad indagare sul rapporto mafia e politica: “Decidiamo chi di noi deve morire per primo”.  Il pentito avvisò il giudice del rischio che stava correndo. Falcone aveva intuito che lì stava il cuore del problema. 
Per sconfiggere la criminalità organizzata bisogna recidere il suo rapporto con la politica. Il pm antimafia di Palermo Nino Di Matteo ha recentemente affermato: “Quando si incomincia ad indagare iniziano le polemiche, si mette in moto la delegittimazione e l’isolamento dei magistrati”. E’ esattamente quello che accadde a Falcone e Borsellino che, prima di essere uccisi, furono lasciati soli e traditi. 
Le stragi hanno travolto la politica da Giulio Andreotti a Oscar Luigi Scalfaro, che diventa presidente tra i due fatti criminali, il 25 maggio 1992; non a caso nel febbraio 1993, poco prima degli attentati di Firenze, Milano e Roma, a lui fu indirizzata una lettera arrogante, violenta, minacciosa, scritta dai famigliari di alcuni mafiosi detenuti in regime di 41 bis nelle carceri di Pianosa e dell’Asinara. Quello che i magistrati oggi si chiedono è se quelle minacce sortirono gli effetti desiderati. Sempre il 41 bis era uno dei punti contenuti nel papello di Totò Riina all’inizio della trattativa tra mafia e Stato. In Italia quante persone sanno che in una sentenza definitiva è sancito che Andreotti “ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi (…) Che a sua volta ha coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss (…) ha chiesto favori, li ha incontrati, ha interagito con essi, ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi come l’assassinio del presidente della regione Piersanti Mattarella, nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati”? 
Falcone è esasperato e decide di abbandonare Palermo e quel Palazzo definito dei corvi e dei veleni. Lascia da sconfitto per mano dei colleghi e soprattutto dalla politica, ma non da vinto, arriva a Roma, al ministero della Giustizia con Claudio Martelli. Il 1992 è l’anno in cui la Cassazione conferma le condanna alla galera a vita per la cupola della mafia grazie al maxiprocesso. Le promesse fatte a Totò Rina di un “aggiustamento” non vengono mantenute. Prima ancora il Parlamento aveva approvato il decreto sulla creazione della Direzione nazionale antimafia, voluta e pensata da Falcone. Il suo lavoro a Roma comincia a produrre risultati importanti. La mafia reagisce, il sangue comincia a scorrere. Il 12 marzo viene ucciso Salvo Lima, il braccio destro di Andreotti in Sicilia. 
Paolo Borsellino pochi giorni dopo la strage di Capaci interviene alla fiaccolata dei boys scout  dell’Agesci: “La lotta alla mafia, il primo problema nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata lotta di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte nel sentire subito le bellezze del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale dell’indifferenza, della contiguità e quindi dello complicità”. E’ un atto d’accusa forte, drammatico ma ancora un volta inutile perché inascoltato. 
Dopo la morte di Falcone gli obiettivi della mafia sono i politici che non hanno mantenuto le promesse, che l’avevano tradita: Calogero Mannino, ministro per gli Interventi straordinari per il mezzogiorno, Carlo Vizzini ministro delle Poste e telecomunicazioni, Salvo Andò ministro della Difesa e Sebastiano Purpura, fedelissimo di Lima e anche il ministro Martelli ma per motivazioni diverse: aveva la responsabilità di aver chiamato Falcone al ministero. Borsellino decide di continuare la strada del suo amico Giovanni. Il suo impegno diventa frenetico. Era tornato a Palermo nel dicembre 1991 come procuratore aggiunto e nonostante l’ostracismo del procuratore capo Giammanco che gli vieta indagini nel capoluogo siciliano, diventa il punto di riferimento dei colleghi. Dopo la morte di Falcone anche dei colleghi di Caltanissetta che ha la competenza delle indagini sulla strage di Capaci. 
Borsellino aveva capito che la causa della morte dell’amico era il rapporto tra mafia, politica e istituzioni, aveva scoperto qualche cosa che lo ha fatto condannare a morte. In una intervista di Giuseppe D’Avanzo sulla deposizione che farà ai magistrati di Caltanissetta: “Fornirò ai colleghi notizie su fatti e circostanze di cui sono a conoscenza”. Purtroppo Borsellino verrà ucciso prima della deposizione. Lo dimostrano anche le parole della moglie Agnese contenute nei verbali degli interrogatori (agosto 2009 e gennaio 2010). Il giudice le aveva confidato qualche giorno prima della morte che il generale dei carabinieri Antonino Subrani (all’epoca comandante dei Ros) era pungiuto (apparteneva a Cosa nostra). Fu lui ad avallare la falsa ipotesi che Peppino Impastato morì mentre stava collocando una bomba per un attentato alla ferrovia. Impastato fu ucciso per ordine del boss Tano Badalamenti. Nell’ultimo incontro con la moglie Borsellino le confidò che la mafia lo avrebbe ucciso ma a permetterlo sarebbero stati i suoi colleghi. Il giudice era a conoscenza dei contatti tra gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno con Vito Ciancimino. Nei giorni precedenti in un incontro casuale all’aeroporto di Fiumicino aveva saputo da Liliana Ferraro, direttore generale del ministero della Giustizia, che era arrivata una notizia da fonte confidenziale che era stata programmata una strage per ucciderlo e che la nota era stata inviata al procuratore Giammanco. Paolo Borsellino non ne sapeva nulla. 
Il vero potere è la mafia, e lo ha sempre dimostrato: ammazzando, mandando politici a Roma, trattando con lo Stato. Cosa nostra ha delle regole e le fa rispettare. Se decide di eliminare qualcuno, esegue. Lo disse Buscetta a Enzo Biagi, a proposito di Totò Riina quando era ancora latitante e capo dei capi: “Pare che faccia un vita nomale, partecipa ai vertici, stabilisce alleanze, è impietoso, astuto, pronto a capovolgere rapporti e a decretare sentenze di morte”.   
Perché Riina ha potuto starsene tranquillamente a Palermo?  Perché Bernardo Provenzano ha potuto fare il latitante per quarantatre anni nonostante che i carabinieri del Ros conoscessero la cascina in cui si nascondeva sin dal 1995 mentre l’arresto è avvenuto solo nel 2006? 
Cosa nostra, la criminalità organizzata in generale, continua ad essere un dramma che perseguita l’Italia e gli italiani che hanno il diritto di conoscere la verità. 

19 maggio 2012

Perché a Brindisi un ordigno uccide davanti a scuola?

Oggi, nel clima politico arroventato delle elezioni amministrative, alla vigilia dei ballottaggi, mentre tace la campagna elettorale, in una fase di grave discredito della politica e in una condizione sociale assai pesante, a 4 giorni dal ventennale della strage di Capaci, in coincidenza con la Carovana della legalità organizzata in città, una bomba potente ma rudimentale esplode davanti ad una scuola di Brindisi, l'Istituto "Morvillo Falcone", uccide una ragazza innocente e ne ferisce altre; avrebbe potuto essere una strage. Perché? 
 
L'Istituto "Morvillo Falcone" aveva vinto il Primo premio della prima edizione del concorso sulla Legalità con la foto allegata. 


In questi occhi aperti e vigili che vogliono scrutarci nel profondo, ci sembra di ritrovare quelli di Melissa Bassi, la 16enne morta,  quelli di Veronica Capodieci, che lotta tra la vita e la morte e quelli di milioni di giovani che chiedono da troppo tempo VERITÀ e GIUSTIZIA. 

VOGLIAMO CONOSCERE LA VERITÀ VERA. 
TEMO CHE AVREMO, COME ALTRE VOLTE, FORSE I NOMI DEGLI ESECUTORI. 

01 maggio 2012

Un 1° Maggio mesto e dolente...

in cui non c'è proprio nulla da festeggiare! 

Difficile risulta, infatti, celebrare conquiste sociali e diritti riconosciuti in un Paese in cui i lavoratori vedono mortificato il loro diritto al lavoro e ad un salario equo, vedono aumentare la disoccupazione che tocca ormai il 10%, vedono allontanarsi il diritto alla pensione, vedono i loro figli, spesso giovani laureati, ricercatori e professionisti, cercare all'estero contratti di lavoro dignitosi, vedono una minoranza di privilegiati e sfruttatori succhiare insensibili il frutto modesto dei loro sacrifici. 

Oggi è sotto gli occhi di tutti la perdita della dignità e dei diritti dei lavoratori in Italia. 


Ecco, perciò, due canti popolari del 1892/95 ancora attuali e ricchi di suggestioni. 

17 aprile 2012

ABC vogliono i soldi del finanziamento pubblico

ma con la faccia di tolla che si ritrovano, li chiamano ancora rimborsi elettorali!  

Prima escono di scena questi leaders di altrettanti cosiddetti partiti e meglio è. 

Prima smantellano i loro apparati sanguisuga e prima il Paese riprende a respirare. 

Prima ci riportano al voto e prima gli daremo la lezione che si meritano. 

Gli Italiani hanno ormai le tasche vuote e loro vogliono continuare a fare il pieno con un'indecenza inaudita. 



ANDATEVENE e portate all'inferno con voi l'uomo e la banda che avete allevato per quasi un ventennio! 


17 marzo 2012

Chi è più pulito ha la rogna

È una coclusione amara alla quale, fino a poco tempo fa, non pensavo di poter pervenire! E non è antipolitica ma vero amore per la buona politica al servizio dei cittadini. Dalla fogna attuale dei partiti è meglio che i cittadini perbene si tengano alla larga! 

E non voglio parlare dei collusi con la mafia, corrotti, corruttori, mascalzoni e venduti che rimangono attaccati ai loro scranni mentre in altra epoca sarebbero scomparsi dalla circolazione. Mi colpiscono specialmente le debolezze incomprensibili di personaggi come il sindaco di Bari Emiliano che affoga in un pacco natalizio a base di ostriche, champagne e cozze pelose;  o di un Berlusconi che, mentre faceva strame di leggi e istituzioni, da trent'anni dimentica di pagare la bolletta della luce per l’illuminazione della via privata San Martino, che costeggia la sua villa, e la spesa finisce sulle spalle del sindaco
Per non dire di quei tanti personaggi di terza fila che, davanti ad una contravvenzione al Codice stradale o alla difficoltà di ottenere un trattamento speciale, non potendo più dire lei non sa chi sono io, si fanno chiamare al cellulare dal potente di turno per rimarcare l'appartenenza alla casta degli intoccabili.  Io manderei loro il cellulare della polizia. 

Questo per affermare con forza che le persone perbene fanno bene a tenersi lontane dal mondo della politica come oggi lo conosciamo. È talmente corrotto e marcio che non può riformarsi ma riesce, invece, ad inquinare chiunque gli si avvicini, anche con le migliori intenzioni. 

Per dimostrare il mio assunto, in un'epoca di grande corruttela e malcostume tanto diffusi tra gli uomini di partito di tutti gli schieramenti - nessuno escluso -, voglio raccontare qualche episodio accadutomi nella mia esperienza d'insegnante e commissario agli esami di maturità. Ero membro interno nel liceo nel quale insegnavo, in Sicilia, e un uomo politico, assai potente all'epoca, mi fece pervenire una richiesta finalizzata ad ottenere il voto di 60/60 per una candidata protetta. Risposi che la ragazza si era impegnata ed era stata tra le migliori durante l'anno ma che non potevo garantire un esito col massimo dei voti perché c'era da valutare il risultato degli esami. In ogni caso, dissi che non avrei sostenuto il 60 se quel voto avesse potuto pregiudicare il risultato finale di altri alunni della classe. Alla fine la candidata uscì con il voto di 58/60 ma io avevo potuto gestire al meglio la valutazione complessiva dei miei alunni con l'apprezzamento - da parte della commissione e degli stessi alunni - del lavoro da me svolto. 
Un'altra volta, ero presidente di commissione e si presentò davanti all'istituto nel quale operavo un genitore che mi chiese di avvicinarmi alla sua macchina e, aperto il cofano posteriore, mi mostrò casse di frutta e primizie di ogni tipo che mi chiese di poter trasferire sulla mia macchina. Rimasi di stucco, incredulo, e lo pregai di andare via e non insistere. Gli dissi che suo figlio, che non conoscevo e non ho voluto conoscere, sarebbe stato trattato correttamente come tutti gli altri candidati. Ci rimase molto male perché - disse - il suo era un pensiero per il quale non si aspettava un ricambio. Conclusi, allora, che se avesse voluto mostrarmi la sua riconoscenza, avrebbe potuto incontrarmi dopo l'affissione in bacheca dei risultati finali degli esami. Non lo vidi mai più. 
E che dire di quel maresciallo dei Carabinieri che, saputo che ero commissario d'esami in un paese vicino a quello di residenza anagrafica ma proveniente da una scuola distante 1400 km, mi convinse a prendere una camera in un albergo della sede di esami - che sarebbe rimasta mia solo sulla carta - per ottenere così la trasferta assai remunerativa mentre io avrei viaggiato da casa fino all'istituto distante solo 35 Km? Non seppi dire di no al potere della divisa e accettai ma la notte non riuscii a dormire e l'indomani, prima di presentarmi a scuola, passai dall'hotel e disdissi la camera. 

Ma questi sono comportamenti da persone ordinarie, che non sanno stare al mondo. Loro sì che possono insegnarci il senso della vita! 

04 marzo 2012

Ciao Lucio

Te ne vai con i tuoi angeli e le tue rondini dopo avere conosciuto la profondità del mare e il dramma dello stare al mondo; ci hai accompagnato per cinquant'anni con le tue canzoni ma la tua musica rimarrà con noi mentre tu raggiungerai le stelle.  

La Chiesa istituzionale ti concede funerali in San Petronio ma non vuole che nelle sue navate risuonino le tue note.  
Sono certo che esse riecheggeranno altissime in tutte le piazze e strade d'Italia.  



Certo, nessuno pensa di mettere un juke-box sull'altare di San Petronio o una pianola nel confessionale. Però fatico a comprendere quale danno produrrebbe alla dimensione spirituale dell'evento la presenza di un violinista che accogliesse l'ingresso della bara con gli accordi di 4 marzo 1943. La rigidità dei principi rimane un dono finché non si trasforma nell'incapacità di sintonizzarsi sul sentimento comune, su quella voce d'angelo che per sempre ci canterà "aspettiamo che ritorni la luce - di sentire una voce - aspettiamo senza avere paura domani". da Funeral party di Massimo Gramellini su La Stampa 



Quasi un testamento spirituale, la sua ultima Henna



Roberto Vecchioni: E’ stato il cantore di ogni sfumatura dell’affettività. Nei suoi versi comprende tutto l’umano, dal dramma dello stare al mondo a quello politico e sociale. C’è il senso del riscatto, la forza della rivincita. 
Andrea Mingardi: Mi sento come se avessi giocato finora a biliardo e all’improvviso il mio compagno non c’è più. 

L'ultima intervista: Io, l'amore, la musica
Dalla e la fede: In ogni uomo vedo Gesù
Quell’anarchico - religioso di Lucio Dalla
Lucio Dalla è un peccatore: no al funerale religioso

24 febbraio 2012

Riflessioni sul tempo attraverso l'arte

Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) 

A completamento della cena avevamo mangiato un Camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della ipermollezza di quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier e, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto su cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una vista del paesaggio di Port Lligat. Sapevo che l'atmosfera che mi era riuscito di creare in quel quadro doveva servirmi come sfondo ad un'idea ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce quando, d'un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell'ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato. (Salvador Dalì)

Ogni volta che mi è capitato di osservare La persistenza della memoria di Salvador Dalì, sin dall'epoca del ginnasio quando la vidi per la prima volta raffigurata in un testo scolastico, non è stata la concezione del tempo di Bergson come durata e sedimentazione o la teoria della relatività di Einstein e, tanto meno, la rievocazione malinconica del passato perduto nella Ricerca di Proust che mi ha richiamato. 
No, no. Tra l'altro non ero ancora venuto a contatto con l'opera del grande filosofo francese né col monumentale capolavoro di Marcel Proust ai quali mi sono accostato per necessità scolastiche solo durante l'ultimo anno degli studi liceali, che successivamente ho approfondito per interesse personale oltre che per dovere professionale. 

La persistenza della memoria di Dalì continua a turbarmi ancora, come mi capitò da ragazzo la prima volta, perché produce nel mio animo una sorta di atroce straniamento: gli orologi (normali oggetti segnatempo) così deformati, dilatati, inseriti come in un'improbabile natura morta, con lo sfondo di un paesaggio sospeso e inverosimile, mi danno i brividi. Anche i toni accesi, il tronco rinsecchito e la figura centrale che mi ha sempre dato l'idea di una bestia stramazzata, producono in me sensazioni forti e dolorose. Più che alla persistenza della memoria il dipinto mi fa pensare alla fine di un mondo con i suoi punti di forza, di ordine e certezza. 
È l'immagine desolata e desolante, allucinata forse, del nostro domani. 

Qui, in Italia, viviamo in un tempo sospeso

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