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24 febbraio 2012

Riflessioni sul tempo attraverso l'arte

Un'ora, non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto) 

A completamento della cena avevamo mangiato un Camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della ipermollezza di quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier e, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto su cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una vista del paesaggio di Port Lligat. Sapevo che l'atmosfera che mi era riuscito di creare in quel quadro doveva servirmi come sfondo ad un'idea ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce quando, d'un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell'ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato. (Salvador Dalì)

Ogni volta che mi è capitato di osservare La persistenza della memoria di Salvador Dalì, sin dall'epoca del ginnasio quando la vidi per la prima volta raffigurata in un testo scolastico, non è stata la concezione del tempo di Bergson come durata e sedimentazione o la teoria della relatività di Einstein e, tanto meno, la rievocazione malinconica del passato perduto nella Ricerca di Proust che mi ha richiamato. 
No, no. Tra l'altro non ero ancora venuto a contatto con l'opera del grande filosofo francese né col monumentale capolavoro di Marcel Proust ai quali mi sono accostato per necessità scolastiche solo durante l'ultimo anno degli studi liceali, che successivamente ho approfondito per interesse personale oltre che per dovere professionale. 

La persistenza della memoria di Dalì continua a turbarmi ancora, come mi capitò da ragazzo la prima volta, perché produce nel mio animo una sorta di atroce straniamento: gli orologi (normali oggetti segnatempo) così deformati, dilatati, inseriti come in un'improbabile natura morta, con lo sfondo di un paesaggio sospeso e inverosimile, mi danno i brividi. Anche i toni accesi, il tronco rinsecchito e la figura centrale che mi ha sempre dato l'idea di una bestia stramazzata, producono in me sensazioni forti e dolorose. Più che alla persistenza della memoria il dipinto mi fa pensare alla fine di un mondo con i suoi punti di forza, di ordine e certezza. 
È l'immagine desolata e desolante, allucinata forse, del nostro domani. 

Qui, in Italia, viviamo in un tempo sospeso

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