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Amo riflettere e ragionare su quanto vedo e sento.

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Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.

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31 ottobre 2010

USCIRE DAL DELIRIO QUOTIDIANO ATTRAVERSO I BUONI LIBRI

Oggi per allontanarmi dal delirio del presente e dalla cronaca di un quotidiano infognato, ho sfogliato qualche libro di autori viventi. Ma il delirio ritorna prepotente anche nelle loro pagine, seppur depurato delle scorie correnti e fissato in istanti che stimolano a riflettere sull'ieri, sull'oggi e sul domani. 
La riflessione sui libri di autori che hanno ancora qualcosa da dire aiuta a prendere le distanze da un continuo, volgare presente e impegna a guardare alla vita e al mondo con sguardo più pulito, ancorchè disincantato.
Compendio emblematico e delizioso della cronaca odierna mi sembra questa considerazione di Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma:
Finisse anche domani il governo, tratterrei il grande onore di aver collaborato con un uomo onesto, pulito e carico di profondi valori morali: questo è Silvio Berlusconi.

I libri e gli scrittori, invece, che consiglierei all'attenzione dei miei amici sono:
La libertà di raccontare, di Roberto Saviano (monologo)

Li romani in Russia, monologo di Simone Cristicchi

L'ultima riga delle favole, di Massimo Gramellini

Gli anni che non stiamo vivendo, di Antonio Scurati

La ragazza di via Maqueda, di Dacia Maraini

Scacco a Dio, di Roberto Vecchioni

Il peso della farfalla, di Erri De Luca


29 ottobre 2010

L'ULTIMO BUNGA BUNGA?

Oggi impazza il bunga bunga. Speriamo sia l'ultimo della serie. Non ho molto da dire in proposito, nei post più vecchi ho già scritto abbastanza. Ma non posso fare a meno di offrire agli amici che mi seguono il post di Concita De Gregorio, Statista bunga bunga e l'esilarante pezzo di Travaglio sul Fatto Quotidiano di oggi. 
Consiglio, inoltre, la lettura di L'abuso di potere, di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica. Aggiungo il video "Bunga Bunga" di Elio e le storie tese. 
BUONA GIORNATA A TUTTI CON IL BUNGA BUNGA!
Statista bunga bunga, di Concita De Gregorio su L'Unità Ce lo possiamo permettere? Chiediamoci questo. L'Italia, noi italiani viviamo in un paese così prospero, così egualitario, così giusto, così salubre e così efficiente, in un paese così ricco di tutte quelle ricchezze che fanno dignitosa la vita degli uomini da poterci permettere - in questa democrazia avanzata e matura, solida e coesa - la bizzarria di avere a capo del governo un uomo anziano ossessionato dalla sua stessa vecchiaia, avvelenato di farmaci che gli assicurano apparente vigore e devastato dalle plastiche che ne fingono l'eterna giovinezza, un ex chansonnier piduista di tortuose fortune e discutibili amicizie oggi impegnato a tempo pieno a garantirsi l'impunità dai molti processi e a comprarsi le alleanze che lo portino al Quirinale oltrechè, da una certa ora del giorno in poi, ad organizzare notti in villa e trasferte in dacia così da poter ricevere in accappatoio bianco le ospiti procacciate a nugoli dai suoi servitori intanto messi a capo di imprese commissioni parlamentari reti televisive e ministeri, riceverli con il calice in mano e fare le sei del mattino raccontando barzellette di sapore africano dei tempi di Macario, e tutti giù a ridere prima di tuffarsi in piscina o nel letto? No perché penso, in fondo, che se l'Italia fosse un paese così sano produttivo progredito ed autosufficiente potrebbe persino sopportare il temporaneo vuoto di potere democratico (che dell'assoluto arbitrio di uno solo è sinonimo) determinato dalla provvisoria permanenza al governo di Silvio B. In fondo dieci anni o anche venti di fronte all'eternità sono un attimo. La Roma di Augusto, l'Italia di Einaudi potrebbe sopravvivere facilmente a questa caricatura di imperatore che gli è toccata in sorte: che si è scelta per motivi che solo gli storici con saggezza chiariranno, le responsabilità è ovvio che siano tra tutti equamente distribuite. Tra chi lo ha scelto e chi non ha saputo o potuto opporre alternativa e rimedio. Il vero problema, temo, è che non siamo in queste condizioni. Avremmo bisogno di un governo, in realtà: non possiamo permetterci di sostituirlo con un comitato d'affari dedito nei ritagli di tempo a particolari evoluzioni erotiche. Ci servirebbe, e anche in fretta, qualcuno che si occupasse - meglio se a tempo pieno - del lavoro che non c'è, di quante ore di cassa integrazione saranno erogate l'anno venturo, di una riforma del fisco che non chiami sempre gli stessi a pagare, della camorra che gestisce e manovra a scopi di suo personale tornaconto il disastro dei rifiuti, della ricerca e del sapere azzerati e irrisi, di dare una casa e un'occupazione a chi ha meno di trent'anni perché possa diventare adulto e farsi carico in proprio delle responsabilità che gli spettano, di dare ospedali ai malati assistenza ai vecchi asili ai bambini, stimolo alle imprese, fiducia alle persone. Al contrario, vedete, di tutto questo non si parla né temo si parlerà per parecchie settimane, forse mesi. Il Paese è ostaggio dei fantasmi che agitano le notti insonni del premier: i suoi parlamentari/avvocati si dividono fra la cura dei suoi problemi pubblici - in parlamento a studiare lo scudo che lo salvi dai processi - e quelli privati, tutti convocati ad Arcore a studiare la linea difensiva dall'ennesima vicenda a sfondo sessuale. Questa volta un po' più grave del solito dal momento che la storia del giorno è condita da più di un elemento da codice penale: siamo in terreno di furti, sfruttamento della prostituzione, corruzione di minore. Ghedini e gli altri, il governo stesso: sono tutti impegnati su questi due fronti. I processi pubblici e privati, le leggi e le linee difensive. Qualcuno si occupa di distrarre annunciando 300 mila tagli alla pubblica amministrazione. Qualcun altro si affanna a spiegare come mai il signor B. abbia condonato 160 milioni di debito al paradiso fiscale di Antigua proprio mentre con i politici di quell'isola si stringevano con il premier personali affari immobiliari. E poi la battaglia sull'informazione, certo, perché l'unica cosa che conta è che di tutto questo niente si dica. Anzi, vedrete. I giornali e i tg di famiglia non si occuperanno di indagare sul bunga bunga ma strilleranno alla trappola, al complotto. Parleranno di inchieste ad olorogeria. Diranno di un pover'uomo perseguitato per via dei suoi atti di carità. «Sono una persona di cuore, aiuto chi ha bisogno», ha detto ieri il signor B. per spiegare come mai la presidenza del Consiglio dei ministri sia intervenuta presso una Questura ad impedire l'identificazione di una minore implicata in un furto. Lo avrebbe fatto se Ruby si fosse chiamata Mohamed? Figuriamoci, senz'altro sì. Servirà in questo caso un centralino dedicato, perché ci sono migliaia di stranieri non identificati nelle questura d'Italia proprio in questo momento. Se Palazzo Chigi vuole occuparsene ha la possibilità e la facoltà di farlo, possibilmente nel rispetto della legge: serviranno trenta persone al telefono come minimo, è una buona cosa. Trenta posti di lavoro.
C'è un secondo aspetto delicatissimo in questa terrificante storia di lelemora e emiliofede, di ragazzine reclutate nelle discoteche e nei privè milanesi che tanto piacciono a Ignazio La Russa e Daniela Santanchè, in passato già soci del Billionaire di Briatore, altro campione di vita smeralda eletto ad esempio di stile dai rotocalchi di famiglia: giornali che alternano le foto (rubate?) della primogenita Marina nuda a quelle del tatuato Corona e dati in gestione agli alfonsosignorini, neomaestri di moderna eleganza. Oltre alla paralisi del governo e del Parlamento, all'assoluto disinteresse per la vita del paese e delle quotidiane fatiche degli italiani c'è il tema della vulnerabilità e della sicurezza dei luoghi di governo e dei protagonisti che li abitano. Un tema che già si pose ai tempi in cui Patrizia D'Addario e le sue colleghe pugliesi entravano ed uscivano da palazzo Grazioli senza filtri senza controlli e in auto blu, munite di registratori cellulari per le riprese e chissà cos'altro. Se ne occupò Gianni Letta, allora. Facciamo finta di essere un paese normale. Facciamo finta che nelle stanze, anche private, di un presidente del Consiglio ci siano - come ci sono - carte e documenti, codici e segreti che in ogni Paese del mondo sono nella disponibilità pressoché esclusiva del capo del governo. Possono, da quelle stanze, entrare ed uscire senza controllo maggiorenni o minorenni non identificate, magari pregiudicate, sfuggite ai controlli ed evase dai centri di protezione, accusate di furto? Qual è il rischio, a parte l'evidente ricattabilità del padrone di casa, che difatti è regolarmente ricattato (in questo caso, che paradosso, parte lesa)? Quali sono i rischi per la credibilità del Paese all'estero, per la sua autorevolezza internazionale, per il peso che può avere nelle decisioni che riguardano la vita di tutti? A parte Putin e Gheddafi, che evidentemente condividono con il premier letti in regalo ed harem personali oltre al repertorio di barzellette e alle forniture di petroli e di gas: gli altri leader del mondo, che dicono? Cosa scriverà l'ambasciatore egiziano al suo governo: che Silvio B. ha fatto rilasciare una ragazzina di nome Ruby figlia di un ambulante messinese e vincitrice di un concorso locale di bellezza, tuttora sotto la tutela del sindaco di Letojanni (fino al 2 novembre, quando la giovane compirà 18 anni) dicendo, testualmente, «è la nipote di Mubarack?». Che ne pensa Mubarack? Possiamo permettercelo?
Personalmente di quel che fa Silvio B. nelle sue magioni, quali posizioni preferisce, di quanto la sua camera da letto sia affollata e nel dettaglio da chi non mi interessa per nulla. Credo anche che ci sia una quota di italiani sfinita da tutto questo, che non ha proprio nessuna voglia di infilarsi nel tunnel di un nuovo caso Noemi o D'Addario. Penso però anche che questi italiani, io fra loro, costituiscano una minoranza. La verità è purtroppo che il voyeurismo del nuovo medioevo mediatico è lo spirito del tempo. In tv, nei siti internet e suo giornali quel che è successo nel garage di Sarah Scazzi suscita un interesse enormemente più alto delle vicissitudini di un precario della scuola, di un artigiano alle prese col fisco, di un laureato disoccupato o del diario di un operaio di Pomigliano. Figuriamoci la nuova kermesse erotica di palazzo Chigi denominata bunga bunga. Un tormentone. Un boom di accessi ai siti. Non si parla d'altro. Su questo stesso giornale: mentre (poche) lettere e mail ci chiedono di ignorare queste miserie e continuare ad occuparci del Paese, migliaia di lettori e di utenti del web vanno a cercare le foto di Ruby. E' questo l'esito del ventennio che abbiamo attraversato: immondizia televisiva, impoverimento economico, nessuna alternativa reale al reality show. Torna a casa in tutta fretta c'è il Biscione che ti aspetta. Parabole e miseria.
Due parole, per concludere nel merito della storia. Gli insegnamenti del giorno, ad uso collettivo, sono che: se a rubare è la nipote di Mubarack va rilasciata immediatamente, se non è nipote di nessuno resta dov'è. Se è il presidente del Consiglio a frequentare una minorenne è un uomo non è un santo, fa del bene a chi ha bisogno: se siete voi andate in galera. Se è un direttore di Tg a procurare le ragazze sta facendo un favore a un amico, cosa c'entra la prostituzione. Se nelle stanze del premier si fa bunga bunga - rituale tribale di sesso anale collettivo, lo dico per quei tre o quattro che non lo avessero appreso ieri - nessuno osserva che è l'Italia ad essere messa in ginocchio, lei sì, collettivamente: le due paroline diventano un divertente tormentone sul web, barzellette alla radio, allusioni e risate.
La storia di Ruby è quella di una giovane deviante, una ragazza disadattata: fughe, ricoveri in case famiglia, denunce per furto. Davvero una ragazza che avrebbe bisogno di aiuto. Ma non del genere che ieri il presidente del Consiglio ha confermato di averle fornito. Il modo per aiutare una minorenne che ruba non è farla uscire dalla porta principale di una questura accompagnate dal pronto intervento di un'igienista dentale fatta eleggere consigliera in Lombardia. E' indirizzarla verso un luogo dove possa, finché è in tempo, trovare una strada. Migliaia di giovani, non solo marocchini, ne hanno bisogno proprio in questo momento. Vorremmo un governo che si occupasse di immigrati e di ladruncoli anche se non portano la quarta di reggiseno. Che garantisse integrazione per chi lo merita e sanzioni per chi no. Sicurezza e insieme coesione. Opportunità ai meriti, punizione ai demeriti. Ma come vedete questo non è il linguaggio delle notti di Arcore, né dei suoi giorni. Non fa ridere: non ci sono negri con membri giganti che sodomizzano nessuno, in questa proposta. Dunque chiudiamo pure le Camere, tutte tranne la camera da letto. La sua, naturalmente: in attesa della prossima barzelletta sui negri e sugli ebrei, bunga bunga e bongo bongo. Vediamo dove porta. Magari al Quirinale, Ruby e le altre al posto dei corazzieri proprio come piace al Colonnello, chissà.

LODO AL BUNGA, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano
E' venuto il momento di fondare un comitato di solidarietà per Angelino Al Fano e Niccolò Ghedini. Due giorni fa, già molto provati dalle ottanta versioni del processo breve e dalle novantacinque della legge bavaglio (peraltro finite nel cesso), erano usciti esausti ma felici dalle segrete di Palazzo Grazioli, dopo mesi di duro lavoro, con l’ultima formula magica del cosiddetto Lodo: un algoritmo complicatissimo che non si capiva bene se fosse reiterabile ma non retroattivo, o retroattivo ma non reiterabile, o reiattivo e retroterabile, tenendo presenti la variante Mills, l’equazione Mediaset, la prescrizione Mediatrade, la radice quadra di Fini costruita sull’ipotenusa di Napolitano che produce una spinta dal basso verso Casini diviso Cuffaro moltiplicato Bersani fratto Di Pietro meno Bossi. I due poveracci stavano per esultare con il classico “eureka ! ”, ma l’urlo liberatorio gli s’è strozzato in gola. Mentre quelli lavoravano, l’Utilizzatore Finale ci era ricascato con una minorenne, riuscendo a infilarsi in una storia di prostituzione e abusi di potere (vedi telefonata alla questura per far rilasciare la ragazza fermata per furto senza documenti). Tutto da rifare. Ogni volta che gli fabbricano uno scudo su misura e glielo provano addosso, quello si sposta di lato e ne combina un’altra delle sue. Provate voi a scudare un nano in movimento. Aveva ragione B.: non è lui a volere lo scudo, sono Alfano e Ghedini che, non potendone più, sono disposti a tutto pur di tornare a uno straccio di vita normale. Che so, rivedere ogni tanto la luce del sole, riabbracciare i familiari un paio di volte l’anno e soprattutto evitare che mogli e figli li guardino con due occhi così: “Caro, ma davvero hai detto che la storia di Ruby è assolutamente infondata, quando l’ha confermata persino Fede? Sicuro di star bene?”. Ora Angelino Jolie e Niccolò Pitagorico sono ripiombati in laboratorio per apportare alcuni emendamenti al Lodo Al Nano: la maggiore età è abbassata retroattivamente a 12 anni; proibito ex post trattenere in questura le ladre carine nel raggio di 100 km da Arcore; depenalizzato lo sfruttamento della prostituzione quando appaia chiaro, come nel caso B., che non è lui a sfruttare la prostituzione: è la prostituzione a sfruttare lui. L’importante è che lui si cucia la bocca, altrimenti poi persino Minzolini capisce che non è perseguitato. Ieri invece lo sventurato ha spiegato la telefonata in questura con un meraviglioso “lo sanno tutti che sono una persona di cuore e mi muovo sempre per aiutare chi ne ha bisogno”. Ecco, è fatto così: come possono testimoniare migliaia di ladri, non appena ne finisce uno in questura, B. chiama da Palazzo Chigi per farlo rilasciare. Soprattutto se è di origini marocchine e balla sul cubo. E’ un uomo di cuore e farebbe di tutto pur di agevolare l’integrazione degli immigrati: li inviterebbe persino in una sua villa per un Bunga Bunga, li coprirebbe d’oro e li spaccerebbe per nipoti di Mubarak perchè nessuno li infastidisca più. Massima solidarietà anche agli agenti delle scorte di Fede e B.: forse, quando entrarono in polizia o nei carabinieri, non immaginavano che sarebbero finiti a reggere il moccolo a un anziano latrin lover. Massima solidarietà soprattutto al ministro degli Esteri Frattini Dry, impegnatissimo in queste ore a rassicurare le ambasciate egiziana e libica sul fatto che quella storia della nipote di Mubarak era solo una battuta, così come quella sui bunga bunga di gruppo attribuiti all’amico Gheddafi. Ieri, per alcune ore, si è temuta la terza guerra mondiale: non bastando gli elogi del Foglio ai vignettisti anti-Islam e le magliette di Calderoli con insulti a Maometto, si rischiavano nuovi assalti ai consolati italiani in tutto il Nordafrica, con rappresaglie Nato ed escalation militari in tutto il Mediterraneo. Solidarietà anche a Bruno Vespa che, sempre sulla notizia, sta precipitosamente allestendo il plastico della piscina coperta di Arcore con dentro le donnine nude, per una puntata speciale di “Porta a Bunga”.
da Il Fatto Quotidiano
"Bunga Bunga" di Elio e le storie tese

Società e Stato nell’era del Berlusconismo (testi e video)

Mi piace ricordare che dal 15 al 17 ottobre 2010 si è tenuto a Firenze un convegno per fare il punto sugli effetti del berlusconismo in campo sociale, economico e culturale, oltre che politico. Ideato da Libertà e Giustizia e dalla rivista di storia contemporanea Passato e Presente, il Convegno Società e Stato nell’era del Berlusconismo ha visto in una tre giorni intensa e partecipata i seguenti interventi e contributi:

Saluti e introduzione
Sandra Bonsanti (presidente di Libertà e Giustizia)
Gabriele Turi (direttore di Passato e Presente)

L’eredità degli anni ’80
Giampasquale Santomassimo (Università di Siena)

I ceti medi: cambiamenti strutturali e scelte politiche
Paul Ginsborg (Università di Firenze)

La classe operaia: politica del lavoro e politica economica ai tempi di Berlusconi
Francesco Garibaldo (già direttore dell’Istituto per il Lavoro)

Le equivoche pari opportunità e il nuovo maschilismo
Amalia Signorelli (Università Federico II, Napoli)

Trent’anni di scandali finanziari in Italia. Il difficile rapporto tra imprese e finanza
Marco Onado (Università Bocconi, Milano)

La Chiesa, il mondo cattolico e lo Stato
Antonio Gibelli (Università di Genova)

Il potere invisibile. L’evoluzione della corruzione
Alberto Vannucci (Università di Pisa)

Le culture della destra
Gabriele Turi (Università di Firenze, Direttore Passato e Presente)

Gli italiani e la TV
Giovanni Gozzini (Università di Siena)

Giornalismo, televisione e società
Norma Rangeri (Direttrice Il Manifesto)

Come i media ci fanno diventare “razzisti”
Laura Balbo (Università di Padova)

Migliorare l’amministrazione pubblica: un’impresa impossibile?
Guido Melis (Università La Sapienza, Roma)

Le vicende giudiziarie di Silvio B.
Elisabetta Rubini Tarizzo (Avvocato del Foro di Milano)

La costruzione di un regime
Marco Travaglio (vicedirettore Il Fatto Quotidiano)

La neolingua dell’età berlusconiana
Gustavo Zagrebelsky (Presidente emerito della Corte Costituzionale)

Berlusconi nel mondo
Steve Scherer (corrispondente Bloomberg News)

La povertà della politica, la politica della povertà
Marco Revelli (Università del Piemonte Orientale)

La democrazia minata
Ezio Mauro (direttore La Repubblica)

Colmare il vuoto: capacità e incapacità della società civile italiana
Sandra Bonsanti (presidente Libertà e Giustizia)


I testi degli interventi sono tutti reperibili alla pagina Società e Stato nell’era del Berlusconismo nel sito ufficiale di Libertagiustizia
I video dell'evento si trovano su TVedo a questa pagina

Un grazie sentito all'associazione Libertà e Giustizia per l'opera meritoria che svolge a difesa della Costituzione, della Libertà e della Democrazia.

28 ottobre 2010

Se non fosse un documento, dovremmo pensare ad una montatura.

Dovevamo assistere anche a questa sceneggiata per capire cos'è la libertà di stampa e la correttezza nell'informazione.
Al tavolo il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, organizzatore dell'evento, e il sottosegretario Daniela Santanchè. Di fianco, nella parte delle vittime del regime, i tre direttorissimi del regime, Feltri, Belpietro e Minzolini.
Davanti a loro un parterre assortito di servi, valletti e postulanti a fare la claque.
Mai vista una cosa del genere! O sono ormai alla frutta o pensano di far quadrato tra loro per fronteggiare uniti la crisi, ormai irreversibile, del loro dominus, del loro partito(?) e della loro editoria.
Quello che si era proclamato partito dell'amore, espressione dei moderati e liberali, mostra un astio incontenibile nei confronti dei soliti nemici, la stampa politicizzata e i pm
Loro sono portatori di un’idea alta dell’informazione: raccontiamo la realtà senza drammatizzarla.
Si lamentano, per bocca di Feltri, di non essere sostenuti e difesi nelle loro campagne al veleno, condotte senza risparmio di mezzi e di uomini. Si sentono soli, abbandonati, alla mercè di Santoro e di Travaglio.

Guarda il video, è davvero accaduto!



O tempora, o mores! 
Se non fosse stato un incontro documentato, dovremmo pensare ad una montatura.

27 ottobre 2010

CORRUZIONE NON FA RIMA CON IMMIGRAZIONE

Le mie riflessioni di oggi traggono lo spunto da due dati giuntici ieri, quasi contemporaneamente: il Rapporto sulla corruzione percepita, che pone l'Italia al 67° posto nell’indice sulla percezione della corruzione dell’ong Transparency International, e il 20° Rapporto sull'Immigrazione di Caritas e Migrantes, che indica in quasi 5 milioni le presenze regolari di stranieri in Italia con un aumento esponenziale dal 1990 ad oggi.

La corruzione percepita in Italia da manager, imprenditori, uomini d’affari e analisti politici ci pone dopo Ruanda e Samoa e prima di Georgia e Brasile, facendoci arretrare di quattro posizioni rispetto al 2009 e di ben 12 sul 2008. Gli Stati più virtuosi sono Danimarca e Nuova Zelanda. La Scheda
L'Italia insomma, vista da fuori, continua a perdere credibilità   Oltre ai casi di corruzione in senso stretto, influiscono sul nostro declassamento tutte le situazioni di malgoverno della cosa pubblica che si manifestano nel Paese, in larghissima misura a livello locale. La sanità appare il settore dove tale malgoverno più si manifesta.

Il rapporto tra spesa pubblica sostenuta per gli immigrati e tasse da loro pagate va senz'altro a vantaggio dello Stato italiano. Secondo le stime riportate nel Rapporto, infatti, le uscite a loro favore (sanità, scuola, servizi sociali) sono pari a 10 miliardi di euro l'anno. Le entrate assicurate dagli immigrati, invece, si avvicinano agli 11 miliardi di euro (tra contributi previdenziali e fiscali).
Il rapporto Caritas, citando uno studio della Banca D’Italia del luglio del 2009, evidenzia come gli stranieri svolgano una funzione complementare agli italiani favorendone migliori opportunità occupazionali.
Eppure gli italiani non hanno percezione di questa realtà. Complice la recessione, secondo il Rapporto, si sono acutizzati fenomeni di intolleranza, come se l’origine della crisi fosse un problema da collegare agli stranieri.
Secondo i dati forniti, gli italiani e gli stranieri in posizione regolare hanno un tasso di criminalità simile.  Dossier Statistico Immigrazione 2010

Per concludere.
A detta del Presidente della Corte dei Conti, gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche, persistono e preoccupano i cittadini ma anche le istituzioni il cui prestigio e affidabilità sono messi a dura prova da condotte individuali riprovevoli.

L'immigrazione – per i curatori del Rapporto – è un'opportunità che ci viene offerta dalla storia per il nostro benessere economico e la nostra crescita culturale; è quindi necessaria una riflessione rigorosa suI flussi migratori e le capacità di accoglienza.
Ergo, occorre combattere la corruzione a tutti i livelli con tutti gli strumenti a nostra disposizione e, viceversa, modificare positivamente il nostro atteggiamento nei riguardi degli stranieri, migliorando le nostre capacità di accoglienza e di integrazione. 


Corruzione, l'Italia sempre peggio
Corruzione, l’Italia scende nell’indice di Transparency International
Cambia il pianeta immigrazione
Gli immigrati, miniera d’oro per il Paese

26 ottobre 2010

LE INTERCETTAZIONI CHE PIACEVANO A MISTER B.

Fino a pochi giorni fa il presidente del Consiglio non perdeva occasione per prendersela con le intercettazioni e chiedere un bavaglio contro la stampa. "Non è possibile - diceva - vivere con il terrore di usare il telefono". Eppure, secondo la procura di Milano, è stato proprio lui a trarre il massimo vantaggio dalla pubblicazione di una conversazione, non ancora trascritta e depositata: il colloquio in cui l'ex segretario dei Ds dice "Allora, siamo padroni della banca?" I pm hanno notificato l'avviso di chiusura indagini al fratello del premier e altre tre persone. Uno, Roberto Raffaelli, è l'ex titolare di una importante azienda di intercettazioni telefoniche. Gli altri due sono un amico di Raffaelli e un imprenditore, Fabrizio Favata, già socio di Paolo Berlusconi. Favata è accusato anche di tentata estorsione per aver cercato di ottenere soldi da Raffaelli in cambio del proprio silenzio. Ma dietro tutta la vicenda si staglia l'ombra del presidente del Consiglio. Secondo Favata, infatti, il nastro gli fu fatto sentire ad Arcore la notte di Natale del 2005. Poi il Giornale pubblicò la notizia e all'improvviso i sondaggi che davano il centrodestra in pesante svantaggio rispetto all'Unione cominciarono a risalire. Le politiche del 2006 finirono in sostanziale pareggio. Anche perché quella conversazione pose definitivamente fine al mito della diversità della sinistra. Da il Fatto Quotidiano


Non sono, dunque, le intercettazioni in assoluto che non gli piacciono, ma solo quelle che ci consentono di conoscere e capire i suoi metodi operativi e quelli dei suoi amici.

Quelle che mettono in difficoltà i suoi avversari, anche se ottenute in modo illecito, gli vanno benissimo! Disposto anche a pagarle!

25 ottobre 2010

IL BEL PAESE E IL DISPREZZO PER LA CULTURA

Ma è possibile che l'Italia con il 64% dei Beni Culturali del mondo, la lirica  più importante del palcoscenico, il teatro prestigioso da Goldoni a Strehler e altri; la danza ed il Cinema che sono entrati nella storia della Cultura mondiale, la letteratura tra le  più importanti dell'Europa intera: è possibile che l'Italia abbia sempre un Ministro che oltre a fare il titolare della Cultura, faccia sempre anche un altro mestiere, dal Coordinatore al segretario di partito? Come se i problemi e gli scopi della Cultura fossero sempre meno importanti ed impegnativi di qualcosa d'altro....  

Possibile che un ministro della cultura come l'attuale on. Bondi, in Italia non riesca a difendere la Cultura che è il nostro vero patrimonio, da quella degli artisti sino agli artigiani della cultura contadina? Purtroppo è possibile, come è possibile che il ministro del Tesoro dica che la Cultura non si mangia...
Non c'è da stupirsi, purtroppo, se con questi ministri nella finanziaria non ci siano soldi per la cultura, per il Cinema !!
Sono in partenza, ma sarò con voi se si deciderà una grande manifestazione unitaria del mondo della Cultura ed un presidio davanti a Montecitorio di tutte le associazioni dello spettacolo, dell'Editoria, del Cinema e della Comunicazione e della Cultura tutta, in occasione della discussione della Finanziaria". Giuliano Montaldo su articolo21
Io direi che è un fatto, come lo è quello di una ministra dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca che non riesce a promuovere i settori di sua competenza.
Questi pseudo-ministri sembrano messi là con l'unico scopo di affossare i dipartimenti dei quali si occupano. D'altra parte chi ha deciso di tagliare in quei settori ha affermato che la cultura non si mangia.  E chi li ha messi in quel posto ritiene che l'italiano sia un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente. 

E forse non ha tutti i torti se è vero che gli Italiani gli danno ancora fiducia!

24 ottobre 2010

Attività commerciali e traffico nella Via Licata di Sciacca

In concomitanza con i lavori di riqualificazione urbana del sistema delle Piazze lungo Via Giuseppe Licata, il tratto di strada che va dalla Chiazza a Porta Palermo risulta temporaneamente chiuso al traffico veicolare.
Mi è capitato in questi giorni di andare a piedi per quel tratto di strada e ho notato piacevolmente che era affollato di pedoni. Ci si poteva, finalmente, soffermare davanti alle vetrine dei negozi senza l'incubo di essere investiti da autoveicoli in transito. Per non parlare dell'assenza di smog e della possibilità di respirare a pieni polmoni. 
In poche parole, non mi sembrava di essere in quel budello di Via Licata che tutti conosciamo, ma lungo il corso di Cefalù.
Dico questo per ricordare all'Amministrazione Comunale, ai commercianti della zona e ai cittadini tutti che, una volta riqualificata quell'area, occorrerà interdire la Via Licata al traffico veicolare privato (fatta eccezione per i mezzi di servizio) predisponendo un servizio di bus navetta per favorire l'accesso a quanti non possano raggiungerla a piedi. Mi sembra questo il modo più idoneo per completarne la riqualificazione e promuoverne l'attività commerciale.
Spero che anche gli esercenti interessati se ne rendano presto conto.

23 ottobre 2010

NO COMMENT

Dunque il Presidente Napolitano si fa sentire per dire, in soldoni, che questo lodo Alfano costituzionale non può e non deve essere esteso al Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica, recita l'art. 90 della Costituzione, non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. Non può il Parlamento intervenire su tale punto, sembra di capire, solo per coprire le urgenze giudiziarie del presidente del Consiglio. D'altra parte, ieri stesso, in un'intervista rilasciata al Frankfurter Allgemeine Zeitung Berlusconi ha dichiarato di non aver mai chiesto che venisse introdotto il Lodo Alfano e a proposito delle leggi ad personam ha sostenuto che Non sono io che le ho chieste. Sono i miei alleati che se ne fanno promotori a mio favore, ricorrendo agli strumenti legali della democrazia.

A questo punto, considerato che il Presidente Napolitano giudica il Lodo Alfano, a lui esteso, come una grave  interferenza sullo status complessivo del presidente della Repubblica riducendone l'indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni, visto che Berlusconi non l'ha mai chiesto, lo lascino abortire e si dedichino  finalmente a qualcosa di utile, nell'interesse dei cittadini e del Paese.

Lodo Alfano, le perplessità di Napolitano
Riduce l'indipendenza del Quirinale

Berlusconi: Mai chiesto Lodo Alfano

22 ottobre 2010

LA RAI SERVIZIO PUBBLICO E LE CENSURE DI CHI LA GOVERNA

Il premier Silvio Berlusconi ha dato mandato all'avvocato Fabio Lepri di Roma di procedere in sede giurisdizionale al fine di ottenere l'accertamento della natura offensiva e diffamatoria e l'integrale risarcimento dei danni per quanto diffuso domenica scorsa dalla trasmissione Report sugli acquisti immobiliari ad Antigua.  
Se Berlusconi si sente diffamato ha tutto il diritto di citarmi, replica la conduttrice Milena Gabanelli. Io mi difenderò in tutte le sedi competenti. Dico però che mentre lui può portarmi in tribunale, io non potrei farlo e questa è la differenza tra me e lui.

Un presidente del Consiglio che querela una trasmissione televisiva non esibisce né forza né coraggio, bensì una grande debolezza e non è un caso. Report ha dato informazioni circostanziate. A queste ultime è ovviamente legittimo replicare. Ma la querela è tutt'altra cosa. Fatta da un premier è una durissima forma di censura. Ci si può attendere che la Rai risponda, tutelando la sua autonomia dal governo e i suoi professionisti. Stiamo vivendo in Italia un passaggio delicatissimo per la democrazia, con rischi enormi da non sottovalutare. Lo affermano in una nota il senatore Vincenzo Vita e il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti. 

Fonte: articolo21.org

Al Gore elogia Santoro, Gabanelli, Saviano e il grande Enzo Biagi


ANNOZERO - SAVIANO RISPONDE A MASI


ANNOZERO - SAVIANO: Masi si prenda le sue responsabilità


Nell'era Masi, purtroppo, i giornalisti e gli autori che fanno servizio pubblico nella RAI sono sempre nell'occhio del ciclone: si rendono pubblici i loro compensi a prescindere dalle entrate che assicurano, li si tiene sulla corda per i contratti, gli si mettono i bastoni fra le ruote in tutti i modi. A me piacerebbe sapere quanto guadagnano i Masi, i Minzolini, i Vespa, ma anche i Fede, i Feltri, i Sallusti, i Belpietro - e l'elenco sarebbe molto lungo - per fare quello che fanno o non fanno, per dire quello che dicono o non dicono.

Finchè l'andazzo sarà questo, saremo tutti GABANELLI, SAVIANO, SANTORO, TRAVAGLIO. 
E ricorderemo con affetto e deferenza MONTANELLI E BIAGI.

21 ottobre 2010

Come rifiutare il libro di Berlusconi

Scoppia sul web la campagna contro il libro di Berlusconi.

Ecco come partecipare. 
Vi propongo di inviare il sottostante messaggio incollandolo nell’apposito riquadro della pagina che si aprirà cliccando qui sotto: 



Oggetto: rifiuto libro di Berlusconi. “Con riferimento all’annuncio del Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi di inviare ad ogni famiglia italiana il libro “Due anni di governo”, mi preme comunicarVi che non desidero riceverlo, essendo un mio diritto in base alla legge per la tutela della privacy n. 675/1996 ed il relativo D.P.R. n. 501/1998, nella fattispecie articolo 13 lettera e, e che la spesa relativa che si risparmierà venga messa a disposizione del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. 
Porgo distinti saluti.” 

19 ottobre 2010

UN MILIARDARIO IN PARADISO?

Leggendo Un Missionario in Paradiso, il pezzo di spalla di Marco Travaglio sul Fatto di oggi, viene da pensare che Antigua sia stata prescelta da Berlusconi come sito preferito per il suo eventuale, possibile, ipotetico esilio dorato a seguito di un suo eventuale, possibile, ipotetico allontanamento dalla vita politica. 
The President Bay, tra le venti grandi dimore disponibili, ha tutte le caratteristiche per assicurare accoglienza e ospitalità a lui e a parenti, amici, sodali e donnine che volessero raggiungerlo per una partita a golf o per un bagno in piscina. L'uomo che è sceso in campo per salvare l'Italia, dopo avere portato il Paese nello sfacelo in cui si trova, finirebbe per portare lustro e ricchezza ad una piccola isola caraibica? 
Stranamente questa ipotesi assomiglia tanto a un déjà vu, con una differenza però: in questo caso i resti mortali suoi e dei più fedeli collaboratori, che farebbero harakiri nel momento fatale, verrebbero traslati con cerimonia solenne nel grande mausoleo di Arcore all'uopo allestito.
Milano illumina le strade delle ville del premier ad Antigua.

Marco Travaglio - Berlusconi offshore


17 ottobre 2010

LEZZO DI PUTRIDUME IN GIORNALI E TV

Oggi avrei voluto scrivere una nota sui fatti di Avetrana, sull'oscena abbuffata mediatica che giornali e TV stanno facendo attorno al corpo della povera Sarah, iniettandoci in dosi da cavallo giudizi, pregiudizi, valutazioni di esperti e non, in un circo mediatico senza pudore nè vergogna. Ma mi sono imbattuto in questo bel video in cui la profetica canzone di Giorgio Gaber, risalente agli anni '90, accompagnata da immagini di grande attualità mi ha fatto desistere dal proposito. Non avrei potuto, infatti, dire cose più intelligenti rispetto a ciò che canta Giorgio che, per sua fortuna forse, non vive il lezzo di putridume di questo nostro tempo. 
Grazie, Giorgio.



Cosa ne pensate voi? Mi piacerebbe ricevere i vostri commenti.

15 ottobre 2010

MISSIONE COMPIUTA - CILE

Anche se in Italia questa impresa straordinaria ha avuto scarsa eco, mantenuta sotto traccia dai terribili episodi di cronaca nera e di quotidiana violenza, oltre che dal solito teatrino della politica che imperversa da noi, voglio tornare a parlare della tragedia dei 33 minatori intrappolati per 70 giorni nel crollo della miniera di San Josè, rimasti miracolosamente vivi dentro una cavità ristretta a 640 metri di profondità. 
Era una disgrazia annunciata, considerate le condizioni precarie in cui si svolge il lavoro dei minatori e la scarsa manutenzione delle miniere da parte delle società che le gestiscono. Il governo aveva avvertito nel 2010 i proprietari, accusandoli di non aver fatto i lavori di consolidamento della volta, come richiesto. La miniera, in effetti, doveva essere già chiusa.
Ma in questa vicenda, che sembra avere aspetti miracolosi, hanno colpito positivamente:
  • la forza d'animo e la voglia di farcela da parte dei minatori intrappolati; 
  • la tecnologia avanzata messa al servizio, con intelligenza, di un'impresa meritoria; 
  • l'impegno del governo che non ha lesinato denaro e competenze.
Un'impresa straordinaria sulla quale tanto si dirà e si scriverà. Un'impresa paragonabile ad una missione nello spazio, questa è andata nelle viscere della terra e ha riportato alla luce 33 uomini coraggiosi.

Missione compiuta Cile
Sono le parole che hanno lasciato su un cartello i sei soccorritori che sono scesi nel rifugio.
Avvolto nella bandiera cilena, Luis Urzua ha ricevuto l'abbraccio del presidente Sebastian Pinera: Ti sei comportato come un vero capitano - ha detto il presidente al minatore - Il capitano di una nave, che la lascia per ultimo. Poi, una volta che anche i soccorritori sono riemersi dal tunnel, Pinera ha sigillato il pozzo della miniera, per scrivere, questa volta per sempre e con il sorriso, la parola 'fine' alla vicenda.
Spero che episodi come questo non si ripetano mai più, ha detto Luis Urzua al presidente cileno. Con una trentina d'anni d'esperienza mineraria, Urzua è stato il capo-turno e leader del gruppo fin dal giorno del crollo, il 5 agosto. È riuscito a imporre l'ordine e la disciplina, fin dai primi giorni di prigionia, razionando gli alimenti dei quali disponevano i minatori: qualche lattina di tonno, latte e frutta in scatola.
Le tappe
5 agosto: crolla un pozzo nella miniera di San Josè, a 800 chilometri da Santiago del Cile. Non si sa nulla di 33 minatori ufficialmente dispersi.
12 agosto: dopo una settimana, il ministro per le miniere Laurence Goldborne annuncia che le speranze di trovare in vita i minatori si assottigliano.
22 agosto: una sonda raggiunge il possibile rifugio dei minatori a oltre 640 metri di profondità.  Torna con un messaggio: "Siamo tutti vivi, dentro il rifugio". Scatta la corsa per il recupero.
25 agosto: mentre la società proprietaria della miniera rischia il fallimento, arriva l'annuncio: saranno liberi tra qualche mese. La prima data ipotizzata è quattro mesi, per la fine dell'anno.
26 agosto: un giudice congela i beni della società che gestisce la miniera per un totale di 1,8 miliardi di dollari per eventuali futuri rimborsi.
30 agosto: è all'opera la trivella-pilota con un diametro di 30 centimetri.
4 settembre: arrivano i primi video dai minatori.
18 settembre: parte una seconda trivellazione.
19 settembre: avviata la perforazione con una trivella ancora più potente, da 66 centimetri di diametro: è la terza.
30 settembre: i familiari di 29 dei 33 minatori chiedono un risarcimento di 12 milioni di dollari.
4 ottobre: il presidente cileno annuncia che si spera di poter riportare fuori i minatori prima di metà ottobre.
9 ottobre: il pozzo di salvataggio arriva al rifugio dei 33 minatori.
11 ottobre: rinforzate con tubi d'acciao le pareti del pozzo. Riesce il test con la capsula.
13 ottobre, ore 0.13: esce il primo minatore.

Gli attacchi di panico sono la più grande preoccupazione dei soccorritori. I minatori non sono stati sedati, avevano bisogno di stare all'erta in caso che qualcosa fosse andato storto. È andata via la nebbia, c’era il sole sul Campo Esperanza. La capsula Phoenix ha fatto il suo dovere, i recuperi sono avvenuti con regolarità.

Una mezzanotte di festa lì in mezzo al deserto nel Campo Esperanza, una mezzanotte di festa in tutto il Paese, a Santiago del Cile la gente è scesa nella Plaza Italia per festeggiare, bandiere, cori e tifo da stadio.
Il racconto ipotetico, ma non tanto, di Florencio Avalos, il primo minatore uscito dalla maledetta miniera di San Josè dieci minuti dopo la mezzanotte.
A mezzanotte (ore 5 in Italia ndr) sono salito sulla capsula Phoenix che era arrivata giù nel buio, in quella che è stata la nostra casa per più di due mesi, dove abbiamo dovuto abituarci a vivere come talpe, dove abbiamo convissuto in 33 con qualche piccola difficoltà, ma con grande amicizia. E’ arrivata la capsula, si è aperto il portello, dài, hanno detto gli altri, dài, tocca a te, buona fortuna. Mi avevano scelto perché sono uno di quelli che stanno meglio e potevo salire con tranquillità e dare così un esempio agli altri, quelli meno in forze e più spaventati. Altri tre compagni come me mi seguiranno, poi sarà il turno dei più debilitati. Sono entrato nella capsula, che è strettissima, ci si sta a filo, è larga 54 centimetri, praticamente è come mettersi un vestito e la faccia è schiacciata contro l’acciaio e potresti perdere la calma. Si è chiuso il portello, mi pareva di non poter respirare, ho chiuso gli occhi. La salita mi è sembrata lenta, lentissima. Saliva la Phoneix con piccole scosse e scricchiolii, pareva non finisse più. Poi c’è stato un sobbalzo, poi si è fermata, poi ho sentito delle mani che mi aiutavano a uscire, poi mi hanno messo degli occhiali scuri anche se era da poco passata mezzanotte ma lo spiazzo davanti alla miniera era illuminato a giorno. Ho gridato, ho sentito applausi, ho sentito il profumo dell’aria secca del deserto, che mi accarezzava il viso, com’è dolce, com’è bella l’aria, volevo vedere la luna in cielo, ma i fari me lo hanno impedito. Ho sentito un grido, mi sono girato, era mio figlio, ha otto anni. Ragazzo, ho detto, ragazzo sono qui. Poi ho abbracciato mia moglie poi, pensate, perfino il presidente del Cile Pineda, E dopo mi hanno portato via, all’ospedale. Avrò tempo per raccontare, avrò tempo per cercare di abituarmi a questa vita, avrò tempo per dimenticare, chissà, quella stanza buia dove ci siamo trovati in trentatre, dove abbiamo vissuto assieme, dove ci siamo confortati uno con l’altro. Nel buio per 69 giorni, ci pensate?

E adesso siamo arrivati al finale. Il pozzo è abbastanza solido ma è stato rafforzato con tubi di metallo soltanto per i primi cento metri nella parte superiore del foro, fino a una leggera curva, prima che diventi quasi verticale per la maggior parte del resto della sua discesa.
Poi una capsula di fuga battezzata con il nome di Phoenix e costruita da ingegneri navali cileni, con ruote a molla prementi contro le pareti del pozzo, è stata calata tramite un verricello fino sul fondo per poi risalire portando in alto un minatore alla volta.
Il ministro della salute Jaime Manalich ha confermato che un elenco era stato redatto con l'ordine in cui i 33 minatori sarebbero stati tratti in salvo. L'ordine finale è stato determinato da un medico delle forze speciali della Marina, calato nella miniera con il compito di preparare gli uomini per il loro viaggio verso la salvezza. Il medico ha deciso di far partire per primi i minatori con le competenze necessarie per intervenire in caso di difficoltà della Phoenix, seguiti da quelli con lo stato di salute più precario e infine dai più forti.
Giovedì 14 ottobre, con un anticipo di diverse ore, tutti 33 i lavoratori sono stati tratti in superficie a 70 giorni da quella che era iniziata come una tragedia, ma sta finendo come una benedizione, come ha detto il presidente della repubblica Sebastian Pinera.

È finita. È finita con l’ultimo minatore, il caposquadra, Luis Urzua quello che aveva tenuto assieme i 32 compagni nei terribili giorni dopo il crollo della volta della miniera, quando nessuno sapeva che si erano salvati, che appena uscito dalla capsula abbracciava il presidente della Repubblica Sebastian Pinera, e diceva: Le passo il turno e spero che questo non accada più. Un turno di 70 giorni, un po' troppo lungo, ha aggiunto.
Abbiamo fatto ciò che il mondo intero stava aspettando. Abbiamo avuto la forza, abbiamo avuto lo spirito, abbiamo voluto combattere, abbiamo voluto lottare per le nostre famiglie, e quella è stata la cosa più grande. Erano le 22 ora locale, le tre in Italia. Mi congratulo con lei, è stato un ottimo capitano, gli ha risposto il presidente Pinera.
La folla del Campo Esperanza è corsa giù dalla collina verso il pozzo, volavano in cielo coriandoli e palloncini, champagne è stato spruzzato sulla capsula Phoenix, finalmente ferma con i suoi colori della bandiera cilena.
Nella capitale Santiago, migliaia di persone riunite in Piazza Italia, hanno sventolato bandiere e cantato slogan in onore dei minatori.
Nella vicina Copiapò, circa 3.000 persone si sono radunate nella piazza del paese, dove un enorme schermo trasmetteva in diretta il salvataggio. La folla sventolava bandiere cilene di tutte le dimensioni e soffiava nelle vuvuzelas rosse mentre una fila di automobili ha cominciato a correre attorno alla piazza suonando il clacson. Dappertutto il grido: Viva Chile.
Nessuno nella storia è sopravvissuto così a lungo intrappolato nel sottosuolo. Per i primi 17 giorni, nessuno sapeva nemmeno se i minatori  fossero ancora vivi. Nelle settimane che sono seguite, il mondo è stato affascinato dalla loro resistenza e unità.
Adesso tutto è finito. Tanti auguri, ragazzi.

Alcuni dati sono stati tratti da AQUA, quotidiano di ambiente, natura, vita

13 ottobre 2010

Cile, il salvataggio dei minatori (la diretta)

Dopo più di due mesi intrappolati nelle viscere della terra, i 33 minatori stanno iniziando a tornare in superficie, prelevati uno a uno con la speciale capsula preparata in queste settimane di lavoro febbrile. E' festa in Cile, mentre il mondo segue l'evento col fiato sospeso.


In superficie il primo minatore
Il primo a risalire grazie alla capsula Fenix è stato Florencio Avalos, accolto da un applauso. La gioia e le lacrime dei parenti. Davvero straordinaria l'opera dei soccorritori. Bravi!
Ecco gli autentici, indiscutibili Cavalieri del Lavoro!




Abbracci e lacrime di gioia, i momenti della liberazione


Esce l'ultimo dei minatori
A San Josè l'incubo è finito

12 ottobre 2010

PER I 33 MINATORI CILENI INIZIA LA RISALITA

Rimasti intrappolati a 630 metri di profondità, nel crollo della miniera San Josè dal 5 agosto scorso, mentre noi trascorrevamo le nostre ferie al mare, a partire dalle 00 di domani 13 ottobre (le 5 in Italia) i 33 minatori risaliranno dalle viscere della terra dopo 68 giorni e rivedranno la luce. Per loro sarà una sensazione forte e dolorosa, assai più di quella descritta da Pirandello in Ciaula scopre la luna.
Abbiamo seguito questa drammatica esperienza nei reportage della TV e dei giornali e siamo rimasti colpiti dalla forza d'animo e dal forte cameratismo dimostrati dai 33 piccoli eroi che hanno seguito per settimane, senza mai disperare, quello che veniva progettato in superficie per trarli in salvo. Meritevole d'encomio anche il lavoro dei tecnici e degli operai che hanno trivellato il pozzo attraverso il quale la capsula-ascensore Fenix li porterà in superficie.
Tutto è pronto, dunque. Fra poche ore scatterà l'ora X e vedremo riapparire, uno alla volta, i 33 minatori strappati ad una morte certa. Incrociamo le dita e speriamo che tutto vada a buon fine.




P.S.: Le operazioni di estrazione dei 33 minatori prigionieri nella miniera cilena di San José sono state anticipate e inizieranno alle 20 ora locale (l'una di notte di mercoledì in Italia): lo ha reso noto il deputato cileno Carlos Vilches.

UN PAESE SENZA PROSPETTIVE, UN PAESE SENZA FUTURO

Il nostro Paese è destinato a una lenta e progressiva regressione per due fondamentali ragioni: l'emigrazione intellettuale giovanile e la disuguaglianza morale, giuridica, politica, sociale ed economica della donna rispetto all'uomo.
Non c’è dubbio che l’emigrazione intellettuale rappresenta la più grave perdita di ricchezze, la sciagura peggiore che possa capitare ad una comunità, poiché questa è costretta a rinunciare alle sue personalità migliori, alle intelligenze più pronte e vivaci, a privarsi dei suoi figli più capaci e brillanti, quindi delle risorse più preziose. Per capire le ragioni di una generazione che fugge, leggi le parole di Morfina.
Hanno più di 25 anni e meno di 40. Sono nati quando l’Europa era già unita.
Hanno fatto l’Erasmus, il Leonardo, il Placement o, semplicemente, si sono spostati per cercare un lavoro e imparare un’altra lingua. Hanno vissuto il boom delle linee aeree low cost, scoperto com’era facile viaggiare senza cambiare i soldi, imparato a muoversi come palline di flipper da una parte all’altra del Vecchio Continente spinti da un’irrequietezza esistenziale, personale, professionale, affettiva. Molti hanno deciso di fermarsi all’estero per lavorare. Sono italiani e vivono altrove. Altrove dall’Italia.
Lo stesso discorso vale per le condizioni disuguali in cui è tenuta ancora la donna nel mondo del lavoro, nella famiglia, in politica e nella società.
La questione delle pari opportunità rimane un problema aperto che non sembra trovare reale e autentico riconoscimento da parte del maschio ex dominante, incapace di un approccio positivo alla tematica. Pari Opportunità: ITALIA PEGGIO DEL MALAWI
Non fisserei una data esatta (gli anni Sessanta o i Settanta, chissà?) ma, fatto sta, le donne nel mondo, in occidente, in America, perfino in oriente sono orrmai uscite di casa. La selvaggina ha lasciato la tana ed ha, coraggiosamente affrontato il cacciatore. A suon di cortei, di libri, di organizzazioni femminili e/o femministe. A suon di leggi ma e soprattutto, a suon di presenza nel mondo del lavoro, della culltura, della scienza, dell'organizzazione sociale, della politica. Ora che tutto questo patrimonio viene fuori e si afferma, l'uomo quasi sente di non essere all'altezza di fronteggiare, di incontrare la grande onda del femminile. Perciò si ritira, fugge, nega alle donne l'anima e il corpo. (da Il Portale delle Donne)
Finchè il sogno coltivato dalle nostre ragazze sarà quello di trovare uno spazio in TV, affascinate dalla convinzione di avere soldi e successo solo attraverso un'effimera, bella  presenza senza il supporto dell'impegno e dello studio; finchè i nostri ragazzi penseranno di costruire il loro futuro tramite la partecipazione al Grande Fratello, sarà difficile dare alla fuga dei cervelli e al tema delle pari opportunità l'importanza che meritano.  
Ma questi sogni, purtroppo, sono favoriti e sostenuti dalla mancanza di progetti e prospettive di una società miope che si affida a una politica cieca.

Visita i seguenti siti:
Vivo altrove

Cervelli in fuga
Il Portale delle Donne

10 ottobre 2010

Mafia, appalti e stragi. Un depistaggio lungo vent’anni, di Sebastiano Gulisano

Lo scorso 5 ottobre, il generale Mario Mori, in un colloquio col giornalista-senatore Lino Jannuzzi (che fungeva più da “spalla” che da intervistatore) ha raccontato la sua versione di quello che definisce «il processo a me, ai miei colleghi, al Ros, ai carabinieri» e il cui inizio fa risalire al «16 febbraio del 1991, vent’anni fa, quando consegnammo alla procura di Palermo il rapporto dell’inchiesta detta “mafia e appalti”…». La chiacchierata fra i due amici, che ricalca un articolo pieno di inesattezze pubblicato in rete da Jannuzzi un anno fa, è un vero e proprio distillato di disinformazione e allusioni sulle stragi del ’92 e su vicende ad esse connesse come, appunto, l’ormai “mitico” rapporto di 890 pagine consegnato dal capitano Giuseppe De Donno al procuratore aggiunto Giovanni Falcone, il 20 febbraio del 1991, e da questi consegnato a sua volta al procuratore capo, Pietro Giammanco, che lo chiuse in cassaforte. «Una leggenda», commentano Jannuzzi e Mori, riferendosi a quel rapporto e a quell’inchiesta. Vero, verissimo. Ormai la leggenda ha prevalso sulla storia e, come ogni leggenda, è intrisa di verità, mezze verità e menzogne scecherate così bene da essersene smarriti i confini. Confini non agevoli da ridefinire con una ricostruzione giornalistica per quanto documentata, approfondita e articolata. Però alcuni punti fermi si possono agevolmente fissare, proprio confutando le parole di Mori riportate da Jannuzzi, a proposito dell'inchiesta su mafia e appalti.
Prima, comunque, necessita una premessa.

L’inchiesta su mafia e appalti prende il via nell’88, in seguito a una “soffiata” ricevuta dai carabinieri che indagano sull’omicidio di un allevatore in un comune delle Madonie. Le successive indagini svelano che Cosa Nostra non ha più un atteggiamento parassitario (imposizione del pizzo, di assunzioni, di forniture di materiali) ma, come spiega Giovanni Falcone, durante un convegno organizzato dall’Alto commissario antimafia, nella primavera del 1990, «indagini in corso inducono a ritenere l’esistenza di un’unica centrale mafiosa che condiziona a valle e a monte la gestione degli appalti pubblici».
Un passo dopo l’altro, un’intercettazione dopo l’altra, si arriva al 20 gennaio del 1991, quando De Donno consegna a Falcone il rapporto citato, ma il magistrato è ormai prossimo a trasferirsi al ministero di via Arenula e, con gli altri colleghi del pool antimafia, è impegnato in una corsa contro il tempo per chiudere l’istruttoria sugli omicidi politici (Mattarella, La Torre, Reina) prima che scadano i termini imposti dalla legge, nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale. Per tale motivo il monumentale documento finisce in cassaforte, ché anche i sostituti Pignatone e Lo Forte, assegnatari del fascicolo insieme con Falcone, sono impegnati nella medesima istruttoria, depositata il 12 marzo 1991. L’inchiesta è così complessa e la mole degli atti talmente monumentale che, nel mese di maggio, il procuratore Giammanco decide di affiancare a Pignatone e Lo Forte altri 6 sostituti (Carrara, De Francisci, Morvillo, Natoli, Scarpinato e Sciacchitano) e il procuratore aggiunto Spallitta.
I Ros dell’allora tenente colonnello Mori e del capitano De Donno individuano 45 persone – mafiosi, noti imprenditori nazionali, progettisti, faccendieri e un paio di politici palermitani – a carico dei quali ipotizzano i reati di associazione mafiosa (per 24 di loro) e di associazione per delinquere finalizzate alla spartizione degli appalti pubblici (21). L’organizzazione sarebbe capeggiata da Angelo Siino, un massone mafioso legato ai Brusca di S. Giuseppe Jato, arrestato il 9 luglio ’91 con altre quattro persone: il geometra Giuseppe Li Pera, capoarea in Sicilia occidentale della Rizzani De Eccher di Udine, e gli «imprenditori» Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici, tutti accusati di mafia. Ai cinque, all’inizio del ’92, si aggiungeranno Vito Buscemi e Rosario Cascio. Il 13 luglio del 1992, ritenendo di non avere elementi sufficienti per il giudizio, la Procura deposita la richiesta di archiviazione di 21 indagati nell’inchiesta scaturita dal rapporto del Ros e il 22 la presenta al Gip, che il 14 agosto firma il decreto di archiviazione. Resta aperto il filone Sirap, una società della Regione siciliana.
Secondo i magistrati della Procura di Palermo, che lo scrivono in una relazione al Csm, alla fine del ’92, l’indagine del Ros ha prodotto «un salto di qualità nelle conoscenze sino ad allora acquisite sui rapporti tra Cosa Nostra e il mondo imprenditoriale. Ed in effetti emergeva che l’associazione mafiosa non si limitava più a svolgere un ruolo di sfruttamento meramente parassitario delle attività economiche-imprenditoriali, concretatesi nell’imposizione di tangenti, di subappalti, di imposizione della manodopera, ma mirava a realizzare un controllo integrale e un pesante condizionamento interno del mondo imprenditoriale e del settore dei lavori pubblici in Sicilia».
Il 26 luglio del ’91, dopo i primi arresti, la Procura ha delegato i Ros ad approfondire il filone d’indagine sulla Sirap, società pubblica incaricata di gestire la realizzazione di una serie di aree artigianali in Sicilia, per un ammontare complessivo di mille miliardi di lire. Così facendo, la Procura ha messo in campo una strategia articolata in tre punti: 1) l’arresto degli elementi più pericolosi dell’organizzazione, sui quali c’erano elementi sufficienti per ottenere il rinvio a giudizio e la condanna; 2) acquisire altri elementi su soggetti già individuati dai Ros; 3) individuare i referenti politici e amministrativi dei boss.
In realtà, non tutto filava liscio, visto che a metà giugno del 1991, la Sicilia, il quotidiano di Catania, avviava una campagna contro la Procura, accusata di tenere «nel cassetto» il rapporto dei Ros, pubblicando anche stralci delle intercettazioni «insabbiate». Campagna che presto tracimerà sulle pagine di tanti quotidiani e periodici. Insomma: il «processo» non era ai Ros, come sostiene il generale nella chiacchierata con Jannuzzi, ma ai magistrati.

«L’inchiesta mafia e appalti è diventata una leggenda.
“È vero, una leggenda. Era solo il primo mattone, ma era una novità assoluta, il capitano Giuseppe De Donno, il principale collaboratore di Giovanni Falcone, che lo chiamava affettuosamente ‘Peppino’ e che era uno dei pochi investigatori che poteva permettersi di dargli del ‘tu’, e non si staccava mai da lui, che se lo portava appresso anche all’estero, in giro per il mondo, aveva fatto un ottimo lavoro e, avvalendosi delle confidenze di un geometra, Giuseppe Li Pera, che lavorava in Sicilia per la ‘Rizzani De Eccher’, una grossa azienda del nord, aveva ricostruito la mappa del malaffare tangentizio siciliano, la prima del genere e che anticipava di qualche anno la Tangentopoli nazionale”.
Sul momento, non se ne accorse nessuno.  
“Se ne accorse Giovanni Falcone, che ci fece persino lo spunto per un convegno, che concluse col famoso annuncio: ‘La mafia è entrata in borsa’… E con quell’annuncio iniziò la sua fine, perché se ne accorsero gli interessati, le imprese, i mafiosi e i politici”.
Ma non successe niente.  
“La procura di Palermo non ci dette nemmeno le deleghe per proseguire le indagini e delle 44 posizioni che avevamo individuato emise solo cinque ordini di arresto, ma consegnò agli avvocati degli arrestati tutto il malloppo, tutte le 890 pagine del rapporto, con i nomi e i cognomi di tutti i 44 indiziati”.»
Il rapporto dei Ros sarebbe, dunque, anche il frutto delle confidenze del geometra Li Pera al capitano De Donno. Così vuole la leggenda, non la storia. Giuseppe Li Pera è uno dei cinque arrestati del luglio ’91, quando finisce in manette anche Angelo Siino, anche lui confidente dell’ufficiale del Ros che, così si sarebbe “bruciato” ben due fonti. Un bel risultato, non c’è che dire. Ma andiamo con ordine. Dopo l’arresto, Li Pera viene interrogato due volte dai pm di Palermo, ma si rifiuta di rispondere. Il 17 febbraio 1992, dopo sette mesi di carcere e, soprattutto, dopo il deposito delle intercettazioni che lo inchiodano, invia ai magistrati una memoria in cui tenta una inutile quanto disperata difesa, dichiarandosi estraneo ai fatti contestati. Lo stesso fa il 5 marzo, durante un interrogatorio dei pm Lo Forte e Scarpinato al quale assiste anche De Donno.
5 marzo 1992: questa data è importante, ché alla fine dell’interrogatorio l’ufficiale si apparta coi due pm e, convinto che l’imputato sia condizionato dal suo avvocato, chiede ai magistrati di poterlo incontrare da solo per convincerlo a collaborare. Permesso accordato.
Il 9 marzo la Procura chiede il rinvio a giudizio di Li Pera, Siino e gli altri tre coindagati, per associazione mafiosa,
Il 30 aprile ai Ros di Palermo arriva una lettera anonima con la quale li si invita a «interrogare Li Pera» per scoprire «imbrogli» su alcuni appalti pubblici in provincia di Catania e a chiedere «informazioni al giudice Lima», al quale i Ros, il 3 maggio, trasmettono l’esposto anonimo e una nota esplicativa. Risulterà che l’anonimo era stato scritto dallo stesso Li Pera, che dal 13 al 15 giugno e il 27 agosto è interrogato in carcere dal pm etneo Felice Lima, come persona informata sui fatti, mentre il 20 luglio è il capitano De Donno, su delega del pm, a interrogarlo. Li Pera racconta in maniera meticolosa il funzionamento del sistema degli appalti siciliano e nazionale, tacendo su Cosa Nostra, che si intravede solo nell’espressione «forza di tipo diverso» delegata alla «risoluzione dei contrasti» tra imprese che non riesce a sbrogliare Filippo Salamone, imprenditore agrigentino delegato a sbrogliare le situazioni complicate. Il 14 ottobre 1992, il collaborante è interrogato per la prima volta in presenza di un avvocato, poiché indagato in seguito alle sue stesse rivelazioni.
Li Pera, fin dal primo interrogatorio (13 giugno) mette a verbale che i pm di Palermo non l’hanno mai voluto sentire: affermazione falsa e il capitano De Donno, che assiste il pm Lima, lo sa bene. Li Pera, inoltre, sostiene di non fidarsi della Procura del capoluogo, ché, secondo quanto riferitogli dal suo legale (successivamente arrestato e condannato per mafia), nell’estate del ’91 ci sarebbe stata una riunione fra pm e avvocati, in cui sarebbe stato deciso chi arrestare e chi no delle persone accusate dai Ros: lui stesso, Siino e gli altri tre finirono nell’elenco dei «sacrificabili». L’attendibilità dell’avvocato, si commenta da sé.
I pm di Palermo, della collaborazione di Li Pera, non sapranno nulla fino al 28 ottobre 1992, quando il procuratore di Catania e i suoi aggiunti invieranno nel capoluogo gli interrogatori di Li Pera, un rapporto di 843 pagine dei Ros di Palermo redatto dal capitano De Donno e datato 1 ottobre 1992, e una nota introduttiva di 8 pagine firmata dai capi dell’ufficio etneo. Dopo avere chiuso in un cassetto la richiesta di custodia cautelare avanzata da Felice Lima nei confronti dei vertici della Regione siciliana, grandi imprenditori regionali e nazionali, professionisti e qualche boss: 22 in tutto. L’inchiesta era incentrata, fra l’altro, su alcuni appalti  catanesi della Sirap (gli stessi per i quali indagava Palermo). Lima, in realtà, aveva provato a contattare Paolo Borsellino (lo ha confermato al Csm la madre del magistrato ucciso) ma il tritolo lo ha tolto di mezzo prima che i due potessero incontrarsi.
Nello stesso periodo, il capitano De Donno indagava per conto dei pm antimafia di Palermo e per il pm Felice Lima di Catania, su fatti che a volte si sovrapponevano (Sirap) e consegnando corpose informative ai due diversi uffici inquirenti (a Palermo, il 5 settembre 1992), tanto che, scrivono i magistrati palermitani nella relazione al Csm, alla fine del ’92, gli allegati dell’informativa consegnata a Lima il primo ottobre erano costituiti «in massima parte da fotocopia di atti compiuti dalla Procura della Repubblica di Palermo».
Il 19 ottobre, a Palermo, inizia il processo a Li Pera, Siino e gli altri arrestati, ma i pm non sanno della collaborazione del geometra, che apprenderanno solo quando da Catania gli arriveranno i verbali di Li Pera (28 ottobre) e saranno costretti a cambiare completamente strategia accusatoria a processo avviato. Non solo. Siccome le dichiarazioni si incastrano alla perfezione col contenuto delle intercettazioni telefoniche alla base del primo rapporto dei Ros (quello consegnato a Falcone prima di trasferirsi a Roma), le 21 archiviazioni chieste dai pm il 13 luglio e disposte dal gip il 14 agosto, non ci sarebbero state. Questi sono i fatti. Così com’è un fatto che i Ros si sono tenuti per oltre due anni (dal ’90 alla fine del ’92) intercettazioni che coinvolgevano pesantemente uomini politici di primo piano (fra questi, Salvo Lima, ucciso il 12 marzo 1992) nella gestione illecita degli appalti pubblici. Con buona pace del generale Mori, di Jannuzzi e dei loro seguaci che continuano a diffondere leggende.
Allo stesso modo, è leggenda che Falcone, dopo avere letto il rapporto del febbraio 91, avrebbe pronunciato a un convegno la celebre frase sulla «mafia in Borsa» e sarebbe stato ucciso in conseguenza di ciò, ché quella frase risale all’88, a dopo che Gradini rilevò le imprese del conte Arturo Cassina poste sotto sequestro dall’Alto commissario per la lotta alla mafia.
È parimenti leggenda che la Procura non li delegò a proseguire l’inchiesta: i Ros hanno avuto le deleghe il 26 luglio del 1991 (Sirap) e, in conseguenza di ciò, c’è l’informativa del 5 settembre 1992.
L’inchiesta «insabbiata» dai magistrati di Palermo raggiunge il suo apice la notte tra il 25 e il 26 maggio del 1993, quando vengono eseguiti 25 arresti di boss, amministratori della Sirap, imprenditori d’alto rango e politici di livello nazionale, mentre alcune decine di esponenti politici ricevono degli avvisi di garanzia, per tre dei quali (Nicolosi, Mannino e Buttitta) si rende necessario chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere. Determinanti, a tal proposito, risultano le dichiarazioni di Giuseppe Li Pera che nel frattempo ha descritto senza reticenze anche il ruolo «regolatore» di Cosa Nostra nel sistema degli appalti.

Il resto dell’intervista meriterebbe analoga meticolosità, ma, come ho scritto all’inizio, la materia è troppo complessa per un articolo giornalistico. Ci vorrebbe un libro. E piuttosto corposo. Ritengo, però, che l’analisi dei fatti relativi alla vicenda mafia e appalti renda chiaro quanto sia attendibile il generale Mori (che, comunque, di tanto in tanto, dice anche cose vere).
Per qualificare Jannuzzi basta invece un suo editoriale che, quando Falcone si trasferì a Roma, scrisse sul Giornale di Napoli: «Cosa Nostra uno e due» s’intitolava, e si metteva in guardia dal possibile rischio rappresentato dal fatto che Falcone e Gianni De Gennaro potessero diventare, rispettivamente, capo della Dna e direttore della Dia:
«Se le candidature andranno a buon fine, si ricostruirà, al vertice del tribunale speciale e della superpolizia, la coppia che fu la massima, e la più autentica espressione […] del “professionismo dell’antimafia”. «È una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e per i maxiprocessi, ha approdato al più completo fallimento: sono Falcone e De Gennaro […] i maggiori responsabili della débâcle dello Stato di fronte alla mafia. «Ma non è questo il punto. Se i “politici” sono disposti ad affidare agli sconfitti di Palermo la gestione nazionale della più grave emergenza della nostra vita, è, almeno entro certi limiti, affare loro. Ma l’affare comincia a diventare pericoloso per tutti noi: da oggi, o da domani, dovremo guardarci da due “Cosa Nostra”, quella che ha la Cupola a Palermo, e quella che sta per insediarsi a Roma. E sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto». Anni dopo, Jannuzzi si difenderà sostenendo che intendeva riferirsi solo a De Gennaro, ma il contenuto del suo scritto è inequivocabile.

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Personalmente, ritengo che l’inchiesta su mafia e appalti e, più in generale, lo svelamento di Tangentopoli, siano fra le concause delle stragi del ’92-’93, non il movente delle prime due, come sostengono i Ros e i loro seguaci (falsando spesso e volentieri fatti e date), che additano come depistatori e complici di Riina chiunque sostenga altro.

Grazie a Sebastiano per la meticolosa ricostruzione di fatti che meriterebbero un'attenta riflessione da parte di tutti noi.

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