Dedicato a quei pochi che non hanno perso, nella babele generale, la capacità e la voglia di riflettere e ragionare.
Consiglio, pertanto, di stare alla larga a quanti hanno la testa imbottita di frasi fatte e di pensieri preconfezionati; costoro cerchino altri lidi, altre fonti cui abbeverarsi.
Di Danilo Dolci, grande e bella figura della seconda metà del ‘900, ho un chiaro ricordo per aver frequentato il suo Centro Studi nella Menfi dei mesi che seguirono il terremoto del ’68. Era un omone alto e corpulento, con un vocione corrispondente alla stazza, ma straordinariamente amabile e disponibile. Era circondato da giovani e meno giovani, molti provenienti da paesi stranieri, tutti impegnati a dare vita alla sua utopia di sviluppo socio-economico e culturale. Erano riconoscibili, in un paese contadino come il mio, gravemente danneggiato dal sisma, per il loro modo casual ma non trasandato di vestire, i più giovani anche dai capelli lunghi e dalle barbette incolte da intellettuali. Erano venuti nella convinzione di fare uscire dall’isolamento i piccoli e poveri centri contadini della Valle del Belice (costruiti in pietra, tufo e fango) ai quali il terremoto aveva assestato un colpo mortale, proponendo la realizzazione di un polo aggregato che doveva sorgere lungo un asse attrezzato facente perno sulla strada veloce Palermo – Mazara del Vallo. Nel centro avevano istituito un servizio di doposcuola e dei corsi di lingue straniere discretamente frequentati. Ricordo il convegno indetto a Menfi per la presentazione del Piano di Sviluppo della Valle del Belice. In teoria risultava convincente anche se i più anziani rimanevano legati ad una visione tradizionale del paese che volevano ricostruire in loco senza contaminazioni con i centri vicini. C’è da dire che Menfi era stato meno colpito rispetto al centri vicini, godeva di un’economia agricola in fase di sviluppo in seguito alla realizzazione di un sistema irriguo che sfruttava l’acqua proveniente dalla diga sul lago Arancio, aveva un tratto di costa suscettibile di sviluppo turistico; queste erano tutte buone ragioni per giustificare i dubbi che sorgevano rispetto alle idee proposte dal Dolci e dai suoi tecnici e collaboratori. Ma i maggiorenti del paese, per lo più legati alla vecchia DC, vedevano Danilo Dolci come il diavolo, i loro giudizi erano privi di razionalità e immotivati, temevano di perdere il controllo sociale sulla popolazione; temevano soprattutto l’emancipazione culturale prodotta dalla comunicazione fra persone alla pari su cui il progetto di Danilo Dolci era basato. Per questo fecero fallire in malo modo quel convegno e tentarono di mettere in cattiva luce il Centro Studi e Iniziative in quanti lo frequentavano.
In seguito a quelle iniziative, tuttavia, si costituì a Menfi una società di piccoli viticoltori che diede vita ad una seconda Cantina Sociale in concorrenza con la “Settesoli”. Successivamente questa struttura, in difficoltà finanziarie e gestionali, fu assorbita nella cooperativa Settesoli.
Oggi è ancora attivo in Sicilia il Centro Studi e Iniziative di Partinico e l’eredità del grande sociologo non è del tutto scomparsa. Rimangono le sue opere e una ventata di cambiamento e di rinnovamento che lambisce ancora i centri toccati dalla sua utopia.
In conclusione, un caro saluto e un grazie a Maurizio Ambria , assiduo lettore e sostenitore del mio blog, che mi ha dato l'idea di ricordare Danilo Dolci.
ai miei 4 lettori per l'interruzione forzata del mio blog dovuta ad un disservizio del provider cui mi appoggio. Dal 1° Febbraio la connessione dovrebbe ristabilirsi e riprenderò regolarmente la pubblicazione. I prossimi post tratteranno due temi importanti:
le cattive abitudini degli automobilisti di Sciacca;
Da leggere tra i 379 commenti nel blog di Antonio di Pietro su Reagire, reagire, reagire "Sfortunato quel popolo che fece di un magnaccia il suo Presidente del Consiglio"
Dieci anni fa moriva Fabrizio De André, uno dei più grandi cantautori della musica italiana. Scomparso l’11 gennaio 1999, l’artista viene ricordato in tutta Italia con numerose iniziative. Una delle più significative è la mostra che Genova, la sua città natale, gli ha dedicato.
Domenica sera un centinaio di radio trasmetteranno in contemporanea «Amore che vieni amore che vai»
(ANSA) - GERUSALEMME, 5 GEN - L'aviazione israeliana ha attaccato questa notte 130 obiettivi nella Striscia di Gaza. Sempre nella notte le forze terrestri israeliane hanno continuato la loro avanzata, appoggiate dall'artiglieria navale. Negli attacchi sono rimasti uccisi tre bambini palestinesi da un colpo sparato da un carro armato israeliano, mentre erano nella loro casa nel quartiere Zeitoun di Gaza.
Numerosi i feriti nello stesso episodio.
Voglio partire dalla lettere di Luisa Morgantini ai politici perchè mi ha fatto riflettere molto.
LETTERA AI POLITICI ITALIANI E NON SOLO
da parte di Luisa Morgantini Vice Presidente del Parlamento Europeo
Roma, 3 Gennaio 2009
Non una parola, non un pensiero, non un segno di dolore per le centinaia di persone uccise, donne, bambini, anziani e militanti di Hamas, anche loro persone. Case sventrate, palazzi interi, ministeri, scuole, farmacie, posti di polizia. Ma dove è finita la nostra umanità. Dove sono i Veltroni, con i loro “I care”, come si può tacere o difendere la politica di aggressione israeliana. La popolazione di Gaza e della Cisgiordania, i palestinesi tutti, pagano il prezzo dell’incapacità della Comunità Internazionale di far rispettare ad Israele la legalità internazionale e di cessare la sua politica coloniale. Certo Hamas con il lancio dei razzi impaurisce ed è una minaccia contro la popolazione civile israeliana, azioni illegali e criminali, da condannare. Bisogna fermarli. Ma basta con l’impunità di Israele e dei ricatti dei loro gruppi dirigenti.
Dal 1967 Israele occupa militarmente i territori palestinesi, una occupazione brutale e coloniale. Furto di terra, demolizione di case, check point dove i palestinesi vengono trattati con disprezzo, picchiati, umiliati, colonie che crescono a dismisura portando via terra, acqua, distruggendo coltivazioni. Migliaia di prigionieri politici, ai quali sono impedite anche le visite dei familiari. Ma voi dirigenti politici, avete mai visto la disperazione di un contadino palestinese che si abbraccia al suo albero di olivo mentre un bulldozer glielo porta via e dei soldati che lo pestano con il fucile per farglielo lasciare, o una donna che partorisce dietro un masso e il marito taglia il cordone ombelicale con un sasso perché soldati israeliani al check point non gli permettono di passare per andare all’ospedale, o Um Kamel, cacciata dalla sua casa, acquistata con sacrifici perché fanatici ebrei non sopravissuti all’olocausto ma arrivati da Brooklin, pensando che quella terra e quindi quella casa sia loro per diritto divino, sono entrati di forza e l’hanno occupata perché vogliono costruire in quel quartiere arabo di Gerusalemme un'altra colonia ebraica. Avete mai visto i bambini dei villaggi circostanti Tuwani a sud di Hebron che per andare a scuola devono camminare più di un ora e mezza perché nella strada diretta dal loro villaggio alla scuola si trova un insediamento e i coloni picchiano ed aggrediscono i bambini, oppure i pastori di Tuwani che trovano le loro taniche d’acqua o le loro pecore avvelenate da fanatici coloni, o la città di Hebron ridotta a fantasma perché nel centro storico difesi da più di mille soldati 400 coloni hanno cacciato migliaia di palestinesi, costringendo a chiudere più di 870 negozi. Avete visto il muro che taglia strade e quartieri che toglie terre ai villaggi che divide palestinesi da Palestinesi, che annette territorio fertile e acqua ad Israele, un muro considerato illegale dalla Corte Internazionale di giustizia. Avete visto al valico di Eretz i malati di cancro rimandati indietro per questioni di sicurezza, negli ultimi 19 mesi sono 283 le persone morte per mancanze di cure, avrebbero dovuto essere ricoverate negli ospedali all’estero, ma non sono stati fatti passare malgrado medici israeliani del gruppo Physician for Human Rights garantissero per loro. Avete sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notti gelide di Gaza perché non c’è riscaldamento, non c’è luce, o i bambini nati prematuri nell’ospedale di Shifa con i loro corpicini che vogliono vivere e bastano trenta minuti senza elettricità perché muoiano. Avete visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini, i loro corpi spezzati. Certo anche quelli dei bambini di Sderot, la loro paura non è diversa, e anche i razzi uccidono ma almeno loro hanno dei rifugi dove andare e per fortuna non hanno mai visto palazzi sventrati o decine di cadaveri intorno a loro o aerei che li bombardano a tappeto. Basta un morto per dire no, ma anche le proporzioni contano: dal 2002 ad oggi per lanci di razzi di estremisti palestinesi sono state uccise 20 persone. Troppe, ma a Gaza nello stesso tempo sono stati distrutte migliaia e migliaia di case ed uccise più di tre mila persone tra loro centinaia di bambini che non tiravano razzi.
Dopo le manifestazioni di Milano dove sono state bruciate bandiere israeliane, voi dirigenti politici avete tutti manifestato indignazione, avete urlato la vostra condanna. Ne avete tutto il diritto. Io non brucio bandiere né israeliane né di altri paesi e penso che Israele abbia il diritto di esistere come uno Stato normale, uno stato per i suoi cittadini, con le frontiere del 1967, molto più ampie di quelle della partizione della Palestina decisa dalla Nazioni Unite del 1947. Avrei però voluto sentire la vostra indignazione e la vostra umanità e sentirvi urlare il dolore per tante morti e tanta distruzione, per tanta arroganza, per tanta disumanità, per tanta violazione del diritto internazionale e umanitario. Avrei voluto sentirvi dire ai governanti israeliani: cessate il fuoco, cessate l’assedio a Gaza, fermate la costruzione delle colonie in Cisgiordania, finitela con l’ occupazione militare, rispettate e applicate le risoluzioni delle Nazioni Unite, questo è il modo per togliere ogni spazio ai fondamentalismi e alle minacce contro Israele. Lo hanno detto migliaia di israeliani alla manifestazione a Tel Aviv: ci rifiutiamo di essere nemici, basta con l’occupazione, fermate il massacro. Dio mio in che mondo terribile viviamo!
La situazione di povertà crescente nella Striscia e le aggressioni continue delle forze di occupazione israeliane contro i contadini palestinesi - uccisioni, demolizioni di fattorie e di aziende agricole, sradicamento di alberi da frutto, invasione di prodotti israeliani sui mercati palestinesi, ecc. - appaiono tutte strategie volte ad affamare la popolazione per costringerla ad abbandonare ciò che resta della Palestina.
Mi sono fermato a riflettere come alle volte, per inseguire interessi personali, ci si dimentica di come il mondo va avanti e con il mondo vanno avanti dei crimini indescrivibili. Ciò che mi colpisce è l’indifferenza o il fastidio con cui accogliamo i crimini del presente e le immagini degli stessi che scorrono sui mass-media. Mi fa senso vedere persone che si commuovono nel ricordo dell’olocausto e delle sofferenze patite dagli Ebrei in epoca non lontana, rimanere perfettamente insensibili e indifferenti di fronte all’efferatezza che passa sotto i loro occhi. Alcune, meno insensibili, provano a cercare una giustificazione nell’estremismo di Hamas, come se quello d’Israele non fosse estremismo e terrorismo di Stato. L’unica grande differenza è che il primo è povero, rozzo, privo di mezzi e figlio della disperazione; il secondo, invece, è potente, sostenuto da grandi lobby internazionali, apparentemente più civile. Non basta indignarsi leggendo sui libri di storia ciò che è avvenuto nel passato, bisognerebbe tradurre quelle pagine nella realtà presente.
Spero che queste parole e queste immagini facciano cambiare idea a qualcuno, o almeno servano a proporci dei cambiamenti nella vita quotidiana, pensando di più ad un mondo dove non tutti hanno la nostra fortuna. Io, comunque, sto con gli Ebrei – e non sono pochi – che chiedono la fine dei bombardamenti indiscriminati perché non vogliono vivere nella paura e nella guerra, e con i Palestinesi, che hanno diritto ad una patria e ad un futuro di pace.
Le istituzioni internazionali, a partire dall’ONU, facciano urgentemente quanto è in loro potere per fermare il massacro.
Gaza, 3 dic. - Ammontano a 750 gli attacchi aero-navali sulla Striscia di Gaza compiuti da Israele negli otto giorni trascorsi dall'inizio dell'operazione 'Piombo Fuso': lo ha riferito un portavoce dell'Esercito dello Stato ebraico, aggiungendo che nello stesso arco di tempo sul territorio israeliano si sono abbattuti circa cinquecento razzi e non meno di tre salve di mortaio. Nel frattempo fonti ospedaliere a Gaza hanno denunciato che il numero dei palestinesi uccisi a causa dei raid è salito come minimo a 435, cui vanno aggiunti 2.285 feriti; tra coloro che hanno perso la vita, in particolare, 75 erano bambini e 21 erano donne. In Israele invece i morti sono stati quattro, di cui tre civili e un soldato, mentre i feriti ammontano a diverse decine.
Io mi chiedo come facciano i figli degli Ebrei che hanno subito l’olocausto a rispondere con tanta violenza e disumanità alle provocazioni di Hamas. Come osano colpire in modo tanto sproporzionato siti abitati da civili, producendo morte di bambini, donne e anziani e distruggendo case e futuro? Quali reazioni pensano di produrre se non quella di riaggregare il mondo arabo, anche i governi più lontani dalle posizioni estremiste di Hamas, nella lotta di liberazione? Anche le popolazioni occidentali guardano esterrefatte al massacro che si sta compiendo in quei territori e spingono i loro governanti, per lo più rimasti muti a guardare, perché prendano posizioni chiare e univoche, condannando l’azione militare indiscriminata e attivandosi seriamente nella ricerca di una soluzione equilibrata che porti alla pace. Del resto, quella situazione è il prodotto di scelte discutibili fatte alla fine della seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, e ad esse spetta il compito di intervenire con tutti i mezzi legittimi perché venga assicurata in quei territori martoriati la pacifica convivenza fra i popoli e la garanzia per gli stessi all’autodeterminazione. Occorre, pertanto, ridimensionare urgentemente le reazioni sbagliate, perché sproporzionate, d’Israele e convincere i Palestinesi che una soluzione pacifica è possibile oltre che conveniente.
P.S.: Mi piacerebbe confrontarmi su questo tema con qualche lettore del blog.
Il 15 gennaio non si ebbe l'immediata sensazione della gravità del fatto dato che a quel tempo la zona interessata non era considerata critica dal punto di vista sismico. Il terremoto venne sottovalutato nella sua entità al punto che molti quotidiani riportarono la notizia di pochi feriti e qualche casa lesionata.
La realtà si manifestò in tutta la sua terribile evidenza solo quando giunsero i primi soccorsi in prossimità dell'epicentro approssimativamente posto tra Gibellina, Salaparuta e Poggioreale: le strade erano state quasi risucchiate dalla terra. In conseguenza di ciò molti collegamenti con i paesi colpiti erano ancora impossibili ventiquattro ore dopo il violento sisma. Ciò rese ancora più confusa l'opera dei soccorritori, già poco coordinati, e gli interventi furono del tutto frammentati.
Nei giorni seguenti visitarono la zona il presidente della repubblica Giuseppe Saragat e il ministro dell'interno Paolo Emilio Taviani. Furono impegnati nei soccorsi più di mille vigili del fuoco, la Croce Rossa, l'esercito. Il pilota di uno degli aerei impegnati nella ricognizione della zona dichiarò di avere visto "uno spettacolo da bomba atomica [...] Ho volato su un inferno".
Dalle 13.29 di domenica 14 gennaio alle 23.20 di lunedì 15, sedici violente scosse di terremoto distruggono gran parte della valle del Belice, un triangolo fra Palermo, Marsala e Agrigento. I paesi di Gibellina, Montevago e Salaparuta sono rasi al suolo, cancellati. Gravemente danneggiati Poggioreale, Salemi, Santa Ninfa, Santa Margherita Belice, Roccamena. I morti si contano a centinaia: 133 a Gibellina, 122 a Montevago, decine e decine altrove per un totale di 351 vittime. I sinistrati superano i centomila, per quattro, cinque giorni a migliaia si aggirano fra le macerie alla ricerca di congiunti dispersi e per salvare qualcosa rimasto indenne nello scempio. Le cronache dei sei inviati della Gazzetta sono talmente strazianti che spesso vengono riproposte. Vi sono casi di gente estratta viva dalle macerie dopo quattro giorni. La storia della piccola ‘Cuccureddu’, unica superstite di un’intera famiglia salvata dopo 60 ore, fa il giro delmondo. Il dramma della Sicilia commuove tutta la comunità. Aiuti e soccorritori arrivano da ogni parte d’Italia e d’Europa. Sono soprattutto giovani e, di nuovo, molti sono i tanto disdegnati ‘capelloni’ subito denominati ‘angeli delle macerie’. Il 20 gennaio, in un caos indescrivibile fra uomini e mezzi inviati per i soccorsi senza alcun coordinamento, la valle del Belice viene investita da una pioggia torrenziale, la temperatura scende notevolmente ed il fango finisce l’opera di distruzione. Numerosi accampamenti e tendopoli, approntate dall’Esercito, gli unici a dimostrare un minimo di organizzazione, vengono spazzate via dalla furia del vento. E’ una persecuzione. Il 24, gli inviati della Gazzetta, annunciano che in Sicilia è in corso un vero e proprio esodo: In ventimila sono già emigrati e la mafia compra terra e bestiame per due soldi. Ma non saranno solo i mafiosi a macchiarsi di sciacallaggio.
Io ero a letto, nella mia casa di Menfi appena ricostruita e abitata da una settimana. Avevo finito di tradurre, la sera prima, il libro VI delle Naturales Quaestiones di Seneca, il De terremotis, per il 2° esame di Lingua e letteratura latina che dovevo sostenere alla facoltà di lettere di Palermo con il compianto Professor Giusto Monaco.
Gli argomenti del grande filosofo stoico mi avevano convinto quando sosteneva che “Lo sbigottimento è generale, quando le case scricchiolano e si annuncia il crollo. Allora ciascuno si precipita fuori e abbandona i suoi penati e si affida all’aria aperta: a quale nascondiglio guardiamo, a quale aiuto, se il globo stesso prepara rovine, se ciò che ci protegge e ci sostiene, su cui sono situate le città e che alcuni hanno detto essere il fondamento del mondo, si apre e vacilla? Dunque, non c’è nessuna differenza se è una pietra a schiacciarmi o una montagna intera a stritolarmi, se mi cade addosso il peso di una sola casa e io spiro sotto il piccolo mucchio delle sue rovine polverose o l’intero globo terrestre fa sparire la mia persona, se esalo l’ultimo respiro alla luce e all’aperto o nell’immensa voragine delle terre che si spalancano, se sono portato nell’abisso da solo o in compagnia di un seguito numeroso di popoli che cadono insieme con me; non mi importa affatto che attorno alla mia morte ci sia un gran clamore: essa è ovunque altrettanto grande. Quindi, facciamoci coraggio contro questa catastrofe che non può essere né evitata né prevista, e smettiamo di dare ascolto a costoro che hanno rinunciato alla Campania e che sono emigrati dopo questo evento e dicono che non rimetteranno mai piede in quella regione: infatti, chi assicura loro che questo o quell’altro terreno poggia su fondamenta più solide?”
L’argomentazione mi era sembrata ragionevole e apprezzabile analizzandola a freddo, ma quando le scosse hanno fatto sussultare prepotentemente il mio letto e gli infissi hanno crocchiato e i lampadari hanno traballato, ho dimenticato quei consigli razionali e in un battibaleno ero vestito e pronto a lasciare la casa insieme ai miei sulla mia vecchia FIAT 500.
Forse Seneca aveva ragione perché rimanendo a casa non mi sarebbe successo nulla, mentre attraversando le strade del paese piene di calcinacci, detriti e macerie, tra gente che si muoveva all’impazzata, qualche guaio avrei potuto averlo.
A 41 anni dall'evento disastroso, molte case sono state ricostruite, tanti affaristi hanno speculato sulla calamità ricostruendo la 2° e 3° casa, anche quella che non c'era; altri aspettano ancora di vedere sorgere il proprio tetto.
... in quel di Arcore, nella villa in Sardegna o alle prese col suo lifting o … vattelappesca, e i suoi cerimonieri sono in forzato silenzio, e i giornali non sono costretti a riportare il loro chiacchiericcio velenoso, e le TV di Stato e quelle proprietarie non hanno argomenti recenti dalla malapolitica su cui costruire il loro bla bla bla, la vita di ciascuno di noi sembra riprendere il suo ritmo normale.
Succede poche volte nell’anno, giorni contati sulle dita della mano, Natale e Capodanno, Pasqua e ferragosto e qualche altra occasione speciale in cui si respira un’aria disintossicata da questa droga, ormai insopportabile. La gente ritrova il senso della realtà, delle piccole cose, dell’incontro con gli amici, della riflessione e della lettura ecc.
Ma dura troppo poco, il tempo di un sospiro, e subito riprende il tamtam che conduce tutti dentro la falsa realtà costruita ad arte.
Incredibile come il controllo dei mass-media riesca a condizionare la vita di tutti, anche delle persone che non hanno perso ancora del tutto la capacità critica e il senso della realtà!
MESSINA (1 gennaio) - Sono morti uno dopo l'altro a distanza di settimane senza che nessuno se ne accorgesse. La gente festeggiava il Natale e si accingeva a brindare per il Capodanno e nella casa-tugurio in via Gerobino Pilli, nel degradato quartiere messinese di Camaro, i cadaveri dei due fratelli Giovanni e Francesco Di Giovanni, di 60 e 66 anni, andavano in putrefazione mentre l'altro fratello di 68 anni, Melo, non sembrava accorgersi di nulla.
Traggo la notizia da "Il Messaggero" e la aggiungo al mio blog perchè mi sembra allucinante e incredibile quello che può succedere in questa civiltà opulenta, consumistica e profondamente ipocrita ai derelitti come questi tre fratelli o come quei barboni che muoiono, nell'indifferenza dei più, sotto i porticati delle chiese! Finchè saranno presenti nel nostro mondo fenomeni come questi e non avremo sconfitto l'egoismo imperante al livello individuale e sociale, e non avremo bandito la guerra come strumento per la risoluzione dei problemi fra gli Stati, non potremo parlare di civiltà ma di profondo e inaudito degrado. Questo è quello che penso e mi piacerebbe potermi confrontare su questi temi con i miei 4 lettori che si avvicinano al mio blog.
Grazie Presidente, per le parole chiare, illuminate e illuminanti, che hai voluto pronunciare nel tradizionale discorso di fine anno alla Nazione. Tutti le hanno apprezzato - maggioranza, opposizione, forze sociali - anche se ciascuno ha sottolineato delle tue parole, quelle che più gli fanno comodo, cercando di piegarle addirittura al proprio punto di vista. I cittadini, ed io tra loro, colgono nel discorso il grande rispetto per le istituzioni, anche se gli uomini che le rappresentano talora non ne sono degni; lo stimolo forte ad affrontare uniti nell'interesse della collettività tutta - come in altri momenti cruciali della nostra storia - i problemi che la crisi ci presenterà prossimamente, a farne anzi strumento di rinnovamento delle nostre strutture politico-sociali spesso arretrate rispetto alle urgenze attuali; la straordinaria sensibilità nell'affrontare i problemi del lavoro, del mezzogiorno e dei giovani. Grazie Presidente, con l'auspicio che le forze politiche e il governo sappiano tenerne conto, formulo anche a te, ultimo baluardo di questa nostra democrazia traballante, gli auguri più sentiti di Buon Anno.