Dopo più di venti anni dalla sua prima comparsa in politica, il Cavaliere torna fresco e splendente sul suo cavallo bianco, scortato da due
sorridenti palafrenieri mentre il suo giovane emulo, il povero Matteo, è
costretto a chiedere aiuto senza più veti ai tanti compagni che pensava di
avere rottamato.
Certo che il destino talvolta è strano! Chi avrebbe
scommesso, dopo l’esito deludente dei suoi precedenti governi, dopo tutto
quello che si è detto e scritto sulle sue malefatte pubbliche e private, che
l’uomo di Arcore potesse tornare alla ribalta della scena politica alla
veneranda età di ottantun anni?
Chi avrebbe mai pensato che la parabola del giovane
rottamatore di Rignano si potesse concludere tanto repentinamente?
Tant’è! Berlusconi torna al centro della vita politica
riproponendo il solito tridente con al centro i suoi soliti aficionados
forzitalioti, supportati al Nord dalla solita Lega, gestione riveduta e
corretta di Salvini, al Centro-Sud dagli eredi di AN, decodificata e
reinterpretata nell’aggiornamento Meloni.
Il ritornello è sempre quello: meno tasse, meno Stato,
grandi opere, tipo Ponte sullo Stretto. Nemico da abbattere non più i comunisti,
ormai fuori gioco, ma il pauperismo predicato dai 5 stelle, la loro
incompetenza amministrativa e di governo.
Ma non voglio parlare di lui (questo
blog ne ha raccontato fatti e misfatti fino alla caduta nel novembre 2011).
Voglio parlare, invece, della parabola del rottamatore. Dopo
aver scalato il Partito democratico e avervi insediato il suo gruppo fidato, ha
avviato il suo progetto inteso ad acquisire i voti di un centrodestra in grande
affanno dopo la condanna del proprio leader. Con una serie di interventi a
sostegno della grande finanza e dell’imprenditoria rampante, con l’attacco ai
sindacati e ai diritti dei lavoratori, ha ricevuto il plauso di quella destra
che pensava di inglobare in quello che definì il partito della nazione. Il
bonus degli 80 euro distribuito a pioggia a quanti non raggiungevano il salario
di 1500 euro (esclusi disoccupati e incapienti) gli permise di ottenere
il 40% dei consensi alle europee del 2014. Da quel momento cominciò a montarsi
la testa mostrando una grande fretta nella realizzazione delle riforme
eterodirette, ponendosi come l’uomo solo al comando e attivando una
comunicazione piuttosto guascona, atteggiamenti assolutamente inediti nella tradizione
del PD. Considerando assolutamente marginale e non meritevole di attenzione
l’opposizione interna che, a suo dire, gufava per impedire la realizzazione
delle magnifiche sorti e progressive, ne favorì la graduale fuoriuscita dal
partito per avere campo libero, senza zavorre, nella realizzazione del suo
sogno di cui sopra. Da quel momento sono iniziati i risultati deludenti e le
sconfitte a tutte le consultazioni elettorali perché con i deputati
cominciavano a lasciare il partito sindaci, amministratori locali e parte
dell’elettorato sempre più frastornato per riforme come la buona scuola, il jobs
act ecc.
Ma il momento clou del suo declino lo segnò l’esito del
referendum costituzionale del 4 Dicembre scorso e, successivamente, la parziale
bocciatura da parte della Consulta della riforma elettorale che avrebbe dovuto
essere il coronamento dell’opera. Sul Referendum si buttò sconsideratamente,
lancia in resta - qui si fa l’Italia o si muore - usando tutti i mezzi, più o
meno leciti, per quel SI che lo avrebbe incoronato dominus dell’Italia per
parecchi decenni. Ma l’aggregarsi contro il suo PD di tutte le forze
parlamentari, di tanti costituzionalisti critici sulla riforma, di un’opinione
pubblica timorosa e preoccupata per lo stravolgimento della Carta operato
attraverso una riforma fatta passare con voto di fiducia, ne decretarono il
fallimento per 60% a 40%.
Lui si dimise da Presidente del Consiglio passando la mano
al fidato Gentiloni, mantenendo quasi per intero la rappresentanza PD in
Consiglio, compresa la Responsabile delle riforme passata ad altro incarico, e
tenendo per sé la Segreteria del Partito. Lo stile diverso del nuovo premier
durante l’anno in corso ha fornito a quest’ultimo riconoscimenti e stima
creando preoccupazione nel Segretario che sentiva minacciata la sua leadership. Il
conflitto maggiore c’è stato all'atto del rinnovo della carica al Governatore
della Banca d’Italia e in occasione del voto sulla nuova, pessima riforma
elettorale, sulla quale il governo ha dovuto imporre la questione di fiducia.
Questo, secondo me, rappresenta l’apice del cupio dissolvi renziano. La Riforma elettorale, detta anche Rosatellum 2.0, fortemente voluta
dal Pd e sostenuta da una destra rampante in attesa di rivincita, non
garantisce agli elettori libertà di scelta e neanche governabilità, favorisce
le alleanze prima e dopo le elezioni e sembra avere due obiettivi sicuri:
tenere fuori dai giochi chi non intende coalizzarsi (vedi 5 stelle) e
predeterminare la possibile grande coalizione Berlusconi - Renzi a esito
elettorale raggiunto.
Ma il risultato elettorale in Sicilia mostra come il
tridente della destra riunita vinca a man bassa, il Movimento 5 stelle, pur con
ottima performance, debba accontentarsi di un piazzamento d’onore mentre il
cosiddetto centro-sinistra esca spaccato e con le ossa rotte.
Davanti a tanta debacle, consapevoli solo ora degli effetti
disastrosi per le prossime politiche della legge costituzionale appena
approvata, i piddini cercano di correre ai ripari, pronti a reimbarcare i
transfughi senza condizioni e senza veti. A me sembra veramente troppo tardi.
E’ ora che nasca dal basso una sinistra credibile che recuperi i suoi valori
originali, che non pensi a giochi tattici per le prossime elezioni ma si
impegni a rappresentare in tutte le sedi i problemi, i sogni e le speranze di
un popolo di sinistra alla diaspora. Mi auguro che questa sinistra, ormai fuori dal
Pd, riscopra la propria anima unitaria e torni ad essere credibile.
Allo stato attuale, siccome il PD di Renzi sembra coincidere
sempre più con il suo giglio magico con qualche fogliolina di contorno, c'è da
prevedere che la prossima consultazione elettorale vedrà in campo, in uno
scontro epocale, il vecchio che più vecchio non si può, già sperimentato per
troppi anni al governo del paese, e il nuovo che ha dato solo prove marginali.
Sembra difficile stabilire chi vincerà, ancora più difficile
capire chi andrà a governare questo Paese martoriato e tragicamente senza
futuro.
Ecco la risposta da sinistra ad un Pd che sente di essere
giunto al terminale
Tutto questo agitarsi nel Pd per costruire una coalizione
con la sinistra, solo ora, quando si rende palese la loro futura sconfitta è
davvero penoso. Sono passati cinque lunghi anni in cui in tutti i modi abbiamo
chiesto al governo di fare qualcosa di utile per i più deboli, per i precari,
per l’ambiente di questo nostro paese. La risposta era sempre la stessa: va
tutto bene così. Emendamenti sempre bocciati, proposte di legge ignorate,
insulti quotidiani.
E ora che quasi nulla, in così tanto tempo, è stato fatto
per la nostra gente; e ora che così tanto è stato fatto per assicurazioni,
banche, grandi poteri economici, secondo loro noi dovremmo fare una coalizione
per salvare i loro seggi nei collegi. Siamo quasi all'offesa, nel senso che si offende
l’intelligenza della sinistra e degli elettori.
Al Ministro Orlando che dice che senza un’alleanza a
sinistra il Pd perderebbe la sua missione, vorrei poter dire che quella
missione non è solo già smarrita, ma è completamente fallita. È fallita con
questi dieci anni di crisi, in cui il Pd si è progressivamente sempre più
spostato dalla parte di interessi diversi da quelli del bene comune.
Ora game over. Noi giochiamo un’altra partita e con un’altra
missione, ricostruire una sinistra popolare per riconquistare quei diritti e
quelle libertà negati da un mercato senza regole, senza i quali, come si vede,
l’Italia diventa ogni giorno un paese peggiore.
Elisabetta Piccolotti
Perché la Sinistra deve stare ferma un giro