Chi, come me, lo ricercava nella sua rubrica l'Antitaliano sull'Espresso, sulle pagine di Repubblica o del Venerdì, ne ricorda lo stile scabro, asciutto come il suo carattere.
Indisponibile ai modi caramellosi e sdolcinati di tanti esponenti del giornalismo nostrano, si era guadagnato la simpatia dei suoi lettori con la coerenza e autenticità di pensiero e con la fedeltà ai valori di libertà e giustizia che lo avevano accompagnato nel corso dei suoi 90 anni di vita.
Da giornalista si mostrava votato alla ricerca della verità e interpretazione della realtà, come da combattente aveva individuato nella scelta partigiana la via della liberazione dalla dittatura fascista.
Sempre schivo, schietto e disincantato, non aveva peli sulla lingua ed era tranciante nei suoi giudizi. Come quando di Vespa dice che non è un giornalista, è un servo di regime, o di Berlusconi, il tiranno che vuole essere amato, che è peggio di Mussolini. Non cercava di essere simpatico ad ogni costo: era ruvido e pungente, come le sue montagne che amava, che lo avevano visto affrontare i rischi della guerra partigiana con l'animo sereno di chi sa di stare dalla parte giusta.
Addio Giorgio, la tua vita e i tuoi scritti rimangono viatico credibile
per quanti ancora vogliono credere e lottare.
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