Mentre scrivo questa nota, sto riascoltando Chocabeck, l'ultimo album di Zucchero. I brani, uno più bello dell'altro, sono intrisi di una dolce nostalgia del passato, di una vita semplice, fatta di poche, piccole cose che, insieme ai luoghi dell'infanzia, ci portiamo dentro, spesso coperti e nascosti dall'irruenza della realtà presente. Ma ci vuole poco a farli riaffiorare, luoghi, oggetti, visi sedimentati nella nostra intimità più profonda.
Spesso basta un'immagine, una canzone, una poesia. E Chocabeck è un poema in musica, i cui canti sono sostenuti da una magistrale colonna sonora che dà forza e sostanza ai testi.
Non sono un critico musicale e non saprei usare il linguaggio specialistico del cultore. Sono solo un fruitore di buona musica e so di certo che siamo di fronte ad un vero capolavoro, se è vero che ogni forma d'arte che si rispetti ha la capacità e la forza di catturare la mente e il cuore trascinandoci in un mondo suggestivo, altro dalla realtà.
Ed io sono stato catturato da questa buona musica che, non lo nascondo, continua a darmi suggestive emozioni.
Ed io sono stato catturato da questa buona musica che, non lo nascondo, continua a darmi suggestive emozioni.
Zucchero - Un soffio caldo
Per quanto mi riguarda, poichè non ho doti canore e non so suonare alcuno strumento, ho potuto fare ricorso soltanto alle parole scritte quando ho voluto esprimere la pena di vivere lontano dai luoghi d'origine. Come in questi versi che mi sono stati richiamati alla mente dall'album di Zucchero:
A te, Mater vetusta, me redùce
Calda, l’eco di cantilene antiche.
Plaga assolata, tu mi desti vita,
d’incanto, aprendo agli occhi miei la luce.
Risento, stridule, quelle cicale,
il canto, rauco, al cuore si figge
mentre col palpito azzurro si fonde
del mare, memore, che ti recinge.
Terrra di miti e d’un sogno di luce,
dimmi che tornano le tartarughe
quando la rupe d’Eraclea s’indora;
dimmi le sabbie del Belice riarse,
solcate ancora da scarabei egizi;
niun altro Mostro fra Scilla e Cariddi!
Calda, l’eco di cantilene antiche.
Plaga assolata, tu mi desti vita,
d’incanto, aprendo agli occhi miei la luce.
Risento, stridule, quelle cicale,
il canto, rauco, al cuore si figge
mentre col palpito azzurro si fonde
del mare, memore, che ti recinge.
Terrra di miti e d’un sogno di luce,
dimmi che tornano le tartarughe
quando la rupe d’Eraclea s’indora;
dimmi le sabbie del Belice riarse,
solcate ancora da scarabei egizi;
niun altro Mostro fra Scilla e Cariddi!
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Ti ringrazio, Victor