Dimenticare Berlusconi?
Tutto ciò va detto per spiegare che in una normale situazione politica - una situazione che a noi è negata - nella quale Berlusconi non fosse che un Giovanardi di migliore aspetto o un Casini con la battuta più pronta, avrebbero ragione coloro che ammoniscono: smettete di parlare di Berlusconi. È un vanesio, un teatrante, e voi fate il suo gioco.
Giusto. Ma è anche un padrone. Il padrone di quasi tutto. Una volta diventato politico e capo del governo, ha generato una condizione di dominio che blocca gli altri e beneficia se stesso, nelle comunicazioni come nelle decisioni imprenditoriali, nella volontà e libertà di parola (ha ghigliottinato la libera informazione e condizionato i titoli e le aperture dei quotidiani che non controlla) come nella disponibilità a investire e a crescere. Si sa, infatti, che gli interessi che contano sono solo quelli del presidente-padrone, e che persino le escursioni internazionali sono più rapporti d’affari che politica estera del Paese. Controprova. In cinque anni la ricchezza aziendale e personale del presidente del Consiglio è cresciuta come nessun’altra azienda e nessun’altra ricchezza personale. Il resto dell’Italia, zero.
È del rapporto fra questi due dati che dobbiamo parlare. Al centro c’è l’uomo la cui presenza egemone rende la politica italiana diversa da ogni altra politica.
L’anello di congiunzione tra crescita zero e conflitto di interessi è dato dalle scalate che hanno messo a rumore il Paese durante l’estate. Questo nesso ci è stato rivelato sia dal tentativo - accanito e fallito - di seppellire una serie di eventi incrociati sotto l’accusa alla sinistra di essere corrotta e corruttrice (ovvero allo stesso livello dei portatori del conflitto di interessi).
E ci è stato rivelato dalle dichiarazioni dello stesso Berlusconi in difesa delle “sue” scalate. Ormai sono in molti a pensare e a dire che è stata “sua” anche la tentata scalata al Corriere della Sera.
Tutto ciò serve a ricordare anche ai più miti frequentatori della brutta e pericolosa vicenda italiana che non tutti i conflitti di interesse, per gravi che siano, sono uguali. Ci sono portatori sani del conflitto di interessi. Sono coloro il cui insolito livello di potere economico contrasta oggettivamente con il potere politico che chiedono di acquisire. Nessuno intende espropriarli ma essi sanno che, come i portatori sani di HIV (il virus dell’Aids), lo devono dire, e devono rinunciare ad esercitare il controllo del loro potere economico se vogliono esercitare il loro potere politico. E’ un gesto che richiede coraggio. Ma non farlo, in molti Paesi, è considerato un reato.
Il conflitto di interessi negato mette a rischio grave la democrazia. Berlusconi condivide con un’altra sola persona al mondo, il primo ministro di Tailandia Thaksin Shinavatra, il virus diffuso in tutti i gangli del Paese, però negato, di un conflitto d’interessi pericoloso due volte: per la quantità di ricchezza che va a sommarsi con il potere politico determinando un dominio di mercato sulle persone ancora più pericoloso del dominio di mercato sui beni. E per la qualità dei settori investiti dall’eccesso di potere: tutto il settore dell’informazione (televisione, giornali, nomine e poteri in quel campo) e alcuni altri punti strategici come la pubblicità e le assicurazioni, che da sole bloccano alcuni settori economici chiave di un Paese.
In Italia l’opposizione ha tenuto duro, nonostante tanti consigli di abbassare la guardia e di smettere di sollevare la questione del conflitto di interessi. E inoltre l’Italia ha beneficiato di una garanzia che dovremmo ricordare: la totale estraneità, umana, politica e morale del Presidente della Repubblica al tipo di cultura d’affari, estranea anche al capitalismo, introdotto dalla nuova classe berlusconiana. È una garanzia civile che ha tracciato una linea invalicabile di frontiera anche quando molti cittadini avrebbero desiderato il rigetto immediato di alcune leggi, e la difesa aperta dei magistrati. Ma è una estraneità che ha consentito a molti italiani di continuare a essere orgogliosi della loro identità democratica anche nei momenti più umilianti di questo brutto e pericoloso periodo.
È importante adesso, tenere alto il segnale di “caduta massi” sulla democrazia costituito dal conflitto di interessi. Occorre esorcizzare il tentativo di farlo passare per un argomento noioso o laterale rispetto al confronto politico.
Occorre per prima cosa ricordare i tratti salienti del conflitto di interessi di Berlusconi che gli impedisce di poter governare l’Italia (ecco il risultato: zero). Ma che gli consente arricchimento continuo che è per forza, oggettivamente e di fatto, a scapito del Paese.
Primo. Il conflitto di interessi di Berlusconi è molto vasto a causa del peso della sua ricchezza. Trasforma la politica in un mercato. Di per sé, un simile fenomeno è fonte di corruzione. Ma non è tutto. Questo mercato prodotto da un eccesso di ricchezza in grado di dominare tutto, ha un unico gestore. Si crea così una situazione insana e contraria a qualunque regola del capitalismo, una vera e propria gabbia per gli alleati, un vero e proprio esilio (dalle notizie e se possibile dal lavoro e dalla reputazione) degli avversari.
Vorrei ricordare che il licenziamento di professionisti celebri e amati come Enzo Biagi, l’esclusione immediata dai programmi della televisione di Stato di Santoro, Luttazzi, Guzzanti (con preciso e dettagliato riferimento al reato di mancanza di rispetto al presidente del Consiglio)sono possibili solo se avvengono salti di corsia al di fuori sia delle generali regole giuridiche (tutti sono stati estromessi senza “giusta causa”) sia delle normali procedure interne e dei normali percorsi e attribuzioni burocratiche delle aziende.
Ciascuno è stato estromesso da qualcuno che non aveva alcun legame di dipendenza con chi ha definito “criminoso” il lavoro di quei giornalisti.
Nessun legame, eppure ha ubbidito, violando anche l’interesse economico della propria azienda che, forzosamente e sotto pressione del conflitto di interessi del capo del governo, licenziava.
Sanno tutti che il programma sottratto a Enzo Biagi non ha mai più ottenuto il carico pubblicitario che il giornalista “criminoso” riceveva da libere imprese italiane.
Secondo. È bene non dimenticare che un conflitto di interessi potrebbe risultare pesante e pericoloso per una ragione (la persona che entra in politica è immensamente ricca) e per l’altra (ha interessi personali e di azienda in campi regolati dalla carica che la persona intende assumere).
Il caso raro (unico) di Berlusconi è che ricorrono entrambe le situazioni negative. Berlusconi è ricchissimo, e possiede moltissimo in molti campi. Ma possiede moltissimo anche nel campo delle comunicazioni, un moltissimo che lo mette in condizione di esaltare se stesso e di screditare la sua opposizione, creando condizioni di regime mediatico. Un caso sensazionale è stato il viaggio e il “successo” negli Stati Uniti. Molti senatori americani sono pronti a raccontare che la visita (annunciata da un anno) era prevista per molto prima delle elezioni e che persino i pochi veri amici di Berlusconi si sono sentiti imbarazzati dalla scelta del Premier di recarsi a Washington in piena campagna elettorale. Quella scelta - sanno e dicono tutti a Washington - è di Berlusconi. I veri deputati e senatori presenti a uno dei pochi discorsi parlamentari nella vita del presidente-padrone (al parlamento italiano non si reca quasi mai, lo definisce «una perdita di tempo») erano pochissimi.
Lo testimonia una nota dell’Ansa (ore 21.15 del 1° marzo) ignorata da commentatori politici autorevoli che davano come presenti senatori che avevano già smentito di avere messo piede in Aula (alcuni dei più importanti nomi di Washington), senza che le loro smentite venissero registrate in Italia.
Soltanto qualcuno che sa di non essere tallonato dalla libera stampa si azzarderebbe a dire: «Il mio è stato il più grande successo del dopoguerra». Berlusconi lo ha detto, indisturbato.
Terzo. Il caso del conflitto di interessi italiano è ancora peggiore di quello che sembra. Lo dimostra il non dimenticato licenziamento del direttore del Corriere della Sera, colpevole di scrupoloso reportage giudiziario sui vari processi del Premier. Per raggiungere il risultato - contrario a ogni regola di impresa, di licenziare un direttore mentre sta guadagnando copie, incrementando la pubblicità e aumentando profitti e prestigio in un settore difficile come i giornali - bisogna essere in grado di raggiungere nei singoli e diversi campi di attività tutti i membri del Consiglio di Amministrazione.
Ciascuno - dato il conflitto di interessi in atto - ha legittima ragione di temere una interferenza di Berlusconi se la sua intimazione non sarà soddisfatta. Tale interferenza potrà essere del presidente del Consiglio, se il ramo d’impresa di questo o di quell’azionista è regolato da permessi o autorizzazioni burocratiche (fatto frequente nella vita di impresa italiana).
Oppure sarà opera di una delle aziende dell’imprenditore, attivo nei più diversi settori della vita italiana e che dispone tra l’altro del dominio della pubblicità. La conclusione è stata che un direttore responsabile di successo è stato licenziato come accade con chi conduce un’azienda al disastro.
Quarto. Il conflitto di interessi di Berlusconi è internazionale, come dimostra il caso del molto compensato avvocato Mills, e della moglie, ministro inglese della Cultura e co-protagonista delle avventure finanziarie del marito. Il suo film potrebbe intitolarsi «Ho sposato Mediaset», e sta turbando l’intero governo inglese.
Fatti come questi - che appaiono rivelazione di una piccola parte di tutto ciò che è accaduto e continua ad accadere - gettano ombre ansiogene sulla politica estera italiana in questi anni e sulle ragioni della cacciata di Renato Ruggero. Da allora tocca alla stessa persona - Berlusconi - regolare i rapporti con ogni Paese a livello di governo e a livello personale-aziendale.
C’è da domandarsi che cosa potrebbe accadere se il Paese coinvolto allo stesso tempo in fatti politici e in patti d’affari non fosse trasparente come l’Inghilterra ma, per esempio, oscuro e liberticida come la Russia di Putin. Qualcuno potrebbe interpretare improvvisi e arbitrari tagli di gas all’Italia come messaggi per mancate contropartite concordate e non ricevute.
Naturalmente l’ipotesi appartiene alla fantapolitica. Ma un conflitto di interessi di portata mondiale non pone limiti alla propria fantasia (come vediamo nella estrosità dei nomi dati alle varie scatole cinesi di affari e di famiglia del presidente del Consiglio in amichevoli aree fiscali del mondo) e dunque è difficile dire dove si ferma il danno.
Quinto. È il conflitto di interessi a generare il conflitto di poteri, ovvero la selvaggia azione di continuo insulto e attacco al potere giudiziario. Si tratta di persone che si alleano con formazioni fasciste e di discendenza nazista, e portano con clamore in testa di lista indagati per mafia. Ma riescono a far parlare televisioni e giornali della “inopportunità” di candidare un ex procuratore come Gerardo D’Ambrosio, che è in pensione da anni dalla sua funzione giudiziaria, ma è nel pieno dei suoi diritti di persona integra dalla vita esemplare.
Eppure il conflitto di interessi non solo ha il potere di mettere D’Ambrosio e non i fascisti, non i reati di stampo mafioso sotto l’occhio dei media. Ma, allo stesso tempo, il conflitto di interessi ha il dovere di condurre questa battaglia. Infatti tiene il piede sulle fonti di informazione, ma non controlla i giudici. I giudici sono restati il nemico. E allora occorre, scardinando le regole fondamentali della vita democratica, scatenare un conflitto di poteri.
Una volta devastato il paesaggio della vita comune fino a questo punto, è inevitabile che le imprese si tengano indietro. Non riconoscono più il normale, regolare e legale volto capitalistico. Sanno di non vivere in una normale democrazia industriale. La caduta morale porta alla caduta economica.
Dimenticare Berlusconi?
Questa pagina è tratta da una riflessione di Furio Colombo, pubblicata sull'Unità alla vigilia delle elezioni politiche. Io aggiungo:
"dimenticare o ricordare Berlusconi?"
Hai ragione; è proprio vero!
RispondiEliminaHai posto una domanda, domanda che merita una risposta ben precisa.
RispondiEliminaDimentichiamo, forse è meglio.
Non dimentichiamo, invece, altri.
Lasciamoli lavorare, spero che riescano a fare, almeno un poco di ciò che hanno promesso, "per il bene nostro e dei nostri figli".
Dimentichiamolo, dimentichiamolo pure. O meglio, ricordiamolo come imprenditore, imprenditore di se stesso(è capace di farlo molto bene).
Maurizio