Non riesco più ad appassionarmi alle solite esternazioni di un premier fuori di testa, tipo: potere educare i figli liberamente e liberamente vuol dire di non essere costretto a mandarli a scuola in una scuola di stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli educandoli nell'ambito della loro famiglia; né alle reazioni più o meno piccate delle categorie di volta in volta prese di mira (giornalisti, giudici, comunisti, gay, insegnanti, oppositori ecc.) e neanche alle smentite o, più frequentemente, alle accuse di travisamento, tipo: Come al solito anche le parole che ho pronunciato sulla scuola pubblica sono state travisate e rovesciate da una sinistra alla ricerca, pressoché ogni giorno e su ogni questione possibile, di polemiche infondate, strumentali e pretestuose.
Basta!!! Lasciamolo parlare in libertà: prima o poi i cittadini capiranno come le sue parole siano solo strumentali all'obiettivo che intende raggiungere e, soprattutto, quanto le stesse siano distanti dall'azione in oltre 10 (dico dieci) anni di governo.
Ci sono gli strumenti per liberarsene:
1. un'opposizione seria, propositiva e progettuale;
2. le manifestazioni di piazza;
3. il voto da parte di cittadini-elettori consapevoli e informati.
E, in ultima istanza, quello che i giovani maghrebini, che stanno dando un nuovo volto agli stati nordafricani, ci stanno dimostrando come possibile.
Oggi anch'io, come tanti insegnanti, genitori, politici, avrei voluto commentare l'ultima sparata del nostro sulla scuola di stato, sui comunisti, sulla famiglia, sui valori della tradizione cristiana, sul valore irrinunciabile della vita ma presto mi sono reso conto che non serve a niente.
La sua vita pubblica e privata, le sue azioni come cittadino, imprenditore e politico screditano, demoliscono, smantellano il suo bla bla bla.
Leggi Anche noi abbiamo un sogno!
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Voglio, piuttosto, nella Giornata Mondiale della Lentezza riportare la riflessione di Simone Perotti Vivere con lentezza (da www.cadoinpiedi.it)
L'altro giorno i giornali titolavano scandalizzati: "Siamo tornati ai livelli del 1999!". Cioè siamo andati indietro invece che crescere. Io mi sono spaventato. Poi però ci ho ragionato su. Non sono riuscito a capire l'allarme. Perché, nel '99 stavamo male? Non mi ricordo tutto sto malessere.
Mi viene una domanda: ma dove dobbiamo andare? E perché dobbiamo andarci di fretta? Qual è la ragione di questa corsa verso la crescita?
Domani si celebra la Giornata Mondiale della Lentezza. Non so che celebrazione sia. Non vedo niente da celebrare. È un richiamo, forse, un remind, come certi appuntamenti che mettiamo in agenda a lungo termine: "Ricordati di pagare il bollo che scade". Cioè ricordiamoci di non correre sempre. Mah!
Io ho lasciato lavoro, carriera, biglietto da visita, ruolo sociale, metropoli, appartamento fighetto in centro, e l'ho fatto per scrivere, per avere tempo. Scrivere un romanzo richiede tempo per pensare, per studiare, per sedimentare emozioni e intuizioni, per cancellare, per tornare indietro, per correre avanti, per fermarsi. Cioè tempo asincrono, non sempre uguale, aritmico, cioè che batte in modo sincopato, o non batte, per poi riprendere e fermarsi ancora.
Ci sono giorni in cui mi perdo nel silenzio, che seguo un pensiero fin dove mi porta, o in cui parlo con una persona incontrata per caso, poi ci ripenso. Le giornate hanno smesso di volare via. Hanno smesso di essere tempo, e sono diventate vita.
Eppure in questo cambiamento non sono morto, non sono diventato infelice, non mi sono neanche auto emarginato. Al contrario. Il tempo liberato ha portato aria nelle vele. Ero un uomo senza vento. Oggi la mia barca ha preso un passo suo, lento come ogni barca a vela, ma che porta per la mia rotta, senza consumo inutile di energia, senza motore, senza inquinare (per quel che riesco), senza perdere salute e tempo con gente che ho volentieri lasciato sul molo. Guardavano troppo l'orologio, per i miei gusti.
Un'altra vita, non solo un tempo più lento. Il tempo non guida le cose, le segue. È quello che facciamo che conta, non tanto il tempo che corre. Solo che in queste poche righe sembra che ci sia una rivoluzione, un messaggio così eversivo da far arricciare il naso a sociologi e politici. Sono tutti così presi dalla lotta per il lavoro, dalla battaglia politica, da dimenticare che ciò per cui combattono è un mondo sbagliato, e anche se vincessero, l'errore sarebbe il loro premio. Io al mondo per cui tutti sembrano combattere rinuncio volentieri. Meglio a rischio nel bosco, che al sicuro in gabbia. Non ho mai amato i canarini. Troppo poco coraggiosi. (Simone Perott)
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