14 gennaio 2011

Haiu ragiuni e m'a mangiu squarata

A partire da oggi sentiremo parlare e sproloquiare della sentenza della Consulta sul legittimo impedimento. Mi sembra chiaro che lo stravolgimento del principio costituzionale che la legge è uguale per tutti (art. 3 della Costituzione) non è passato e il premier dovrà presentarsi nei tribunali dove i procedimenti a suo carico continueranno ma con esito scontato: andranno verso la prescrizione. Si dirà che il principio costituzionale resta salvo, che il prestigio dell'alta corte rimane intatto, che la corte ha riconosciuto la necessità di conciliare gli interessi di giustizia con quelli del governo del paese, che, però, sono o non sono preminenti, e bla bla bla.

Intanto a Mirafiori si svolge il dramma di tanti operai che col cuore vorrebbero mandare a quel paese Marchionne e tutti i marchionnisti ma con la testa pensano ai figli, al mutuo da pagare, ad arrivare alla fine del mese, e si accingono, obtorto collo, a votare per quel maledetto accordo.
Mentre noi siamo qui a commentare queste giornate incredibili di un paese malato che non si capisce come si regga ancora in piedi e assistiamo, sgomenti, alla rivolta popolare nell'area del Maghreb, a noi così vicina, dove la gente chiede lavoro, pane e giustizia.

Haiu ragiuni e m'a mangiu squarata! è un detto popolare siciliano che compendia efficacemente il cul de sac nel quale siamo finiti e dal quale non s'intravede l'uscita.

Per questo voglio proporre ai miei lettori questa bella e distaccata riflessione di Paola Mauri trovata su LiberalVox, che ci può aiutare a staccare, per un attimo, lo sguardo dalla realtà per poterla meglio mettere a fuoco.

L’arte di immaginare anche il futuro, di Paola Mauri.
Questo piccolo mondo, se potesse si fermerebbe da solo, per poter scendere da se stesso. E’ l’analogo della famosa reclame sull’amaro del carciofo, quando la pubblicità non veniva lanciata in trecento modi diversi per poi significare sempre, invariabilmente, la stessa cosa; forse pure questi “lanci” ivi compresi i “lanciatori” hanno fatto parte di un certo cambiamento, uno pseudo progresso dal vecchio "Carosello"…; forse saranno ricordati, questi fatti, in qualche strana enciclopedia. Forse quei tempi erano ancora a “modica portata”, per gente che credeva, fino ad allora, di essere in un mondo normale. Di una normalità che al massimo veniva sfiorata dal “ridicolo” delle prime buste di plastica che non si erano mai viste prima, con quegli strani manici … Era la presunta modernità… Poi l’universo pian, piano si è incamminato in un imbuto che oggi probabilmente è intasato e non fa passare più una certa voglia di criticare veramente per, forse, operare un qualche cambiamento benevolo e umanamente lecito. Siamo nel post moderno. Attualmente tutto è “Il meglio”, basta farlo girare bene con le dovute pose, che lo diventa sicuramente, il meglio, pur non essendolo. E quindi si pretende il meglio, il top, e non si conosce il resto. Nessuno ha veramente la possibilità di preoccuparsi per... Tutti possono parlare e dire e chiosare ma poi, veramente, ognuno rimane al suo posto se non c’è una leva, intesa, solo ed esclusivamente, come pura possibilità in un mondo meritocratico. Parola impegnativa la meritocrazia, ed invisa a molti, come fosse una parolaccia…; forse lo è. Le parole circolano ed i ragionamenti fluiscono, come le considerazioni e quanto altro. Ma poi, dopo la meraviglia o la disapprovazione o la delusione cosa rimane a chi, in definitiva, non ha un potere, per così dire, contrattuale? In ultima analisi, quanto un cittadino normale può fare ed incidere, in questo marasma? Per non entrare nei particolari, che sarebbero troppi, basta leggere un po' di giornali per rendersi conto di un qualche cosa che non si individua più, e che sfugge. E’ la vita che non ha più considerazione di se stessa; che non si riconosce più; che ha perso fiducia. Si è abituata e conformata a dei marchi, a degli status symbol. E’ tutto normale, di una normalità che non è definibile. Omogenea. E allora sarebbe troppo facile dare una risposta o dedurre di “figli e figliastri”. Troppo “luccichio”, tutto da una parte, che è la stessa da qualunque prospettiva si guardi. Si potrebbe obiettare che chi non arriva all’uva dice che è acerba; ma forse l’uva non c’è nemmeno più, e non so se rimarrà la voglia di intristirsi su una politica, ecco l’ho detto, tutta conforme… Se la vita fosse arrotolata su un rocchetto dal quale si dispiegasse a spirale, come un lungo interminabile filo ad elica e le funzioni fossero legate strettamente alla peculiarità di far uscire fuori la vita stessa, sfuggente a qualsiasi malinteso, essendo vita, e volendo esercitare, appunto la vita, sarebbe forse più naturale; ma questa vita, a volte, non fa altro che arrancare e non può svettare perché non è dato quasi sperare, pur venendo al mondo con un fagottino di sogni e di, forse, speranze, possibilità. E quando il fagottino dei sogni è depositato e giunto al suo punto chiave, chissà cosa avverrà. E mentre si srotola la vita, forse si troverà una scia. E sarebbe già un gran risultato. Probabilmente c’è come una forma di vista ulteriore che crea possibilità, divenire. Vedere, intravedere, immaginare non è facile, ma certamente è, alla lunga, un esercizio costante che aiuta a vivere e ad andare al di là. In questo momento storico, credo si debba esercitare l’immaginazione, per intravedere il futuro. Ero in aeroporto, tempo fa, in periodo pasquale. Il mio uovo di cioccolata passava con i bagagli a mano attraverso il monitor. L’impiegato addetto, mi guardò e sorrise. Poi disse: “Vedrà che bella sorpresa…”. Arrivata a casa, non ho resistito fino al giorno di Pasqua. Cosa c’era nell’uovo? Una piccola, graziosissima, scatola, frutto di artigianato locale di isole lontanissime del Pacifico. Mi venne da ridere…; l’impiegato aveva visto nella scatola, quello che non c’era… Forse aveva immaginato un anello, per una persona che in quel momento aveva percepito in un modo particolare…; era solidarietà. E come non ripensare a quella richiesta del Piccolo Principe: “Mi disegni, per favore, una pecora?”, contenuta ne “Il Piccolo Principe” di Antoine De Saint-Exupèry. Quella strana vocetta seguitava a fare la stessa, strana richiesta: “Disegnami una pecora”. Allora, lui, l’aviatore, in panne con il suo aereo nel deserto, che non sapeva disegnare, cominciò a disegnare per quel bambino. Ma quanto usciva fuori, non era per nulla somigliante alla pecora richiesta da quella “straordinaria personcina”: un ometto serio, per nulla smarrito in mezzo alle sabbie, che sembrava caduto dal cielo. Alla fine, dopo vari tentativi, l’aviatore, stanco, disegnò semplicemente una cassetta, cioè una scatola con dei buchi, dicendo al Piccolo Principe: “La pecora che volevi sta dentro”. Il bambino esclamò, illuminandosi di felicità, che era, quella, la pecora che voleva. Aveva visto attraverso i buchi della scatola, fatti per l’aria, la sua pecora che però non era stata mai disegnata. E se quel qualcuno oggi rispondesse ancora di non saper disegnare una pecora, non sapendo da che parte iniziare, sarebbe bello vedere una pecora da qualche parte... Forse non sarebbe uno scarabocchio ma solo arte; l’arte di immaginare e di vedere nell’oltre, un futuro.

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