La notizia è vecchia di un mese ma a me è capitata tra le mani solo adesso e non voglio farmi sfuggire un commento.
Si tratta di una lettera in risposta alla proposta del collega Zaia per l'insegnamento del dialetto veneto nella scuola, inviata dal ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca al Gazzettino e pubblicata in data 20.05.2009
Si tratta di una lettera in risposta alla proposta del collega Zaia per l'insegnamento del dialetto veneto nella scuola, inviata dal ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca al Gazzettino e pubblicata in data 20.05.2009
Gentile Direttore,
ho letto attentamente quanto affermato dal Ministro Zaia. Tengo a ribadire che i dialetti sono le base della nostra cultura e che il mio pensiero è stato volutamente travisato. Pensare che il Ministro dell’Istruzione non sia sensibile
(...) ad una parte così rilevante della nostra tradizione è un’accusa che respingo e che non si comprende se non ritenendola dettata da motivi di visibilità elettorale.
Da subito ho attuato provvedimenti per legare la scuola al proprio territorio.
I professori ad esempio devono sempre di più provenire dalla stessa regione nella quale insegna. Le classi inoltre non possono essere composte da più del 30% di stranieri per favorire una migliore integrazione.
Ogni regione devo poter strutturare un sistema educativa in linea con le richieste del mondo del lavoro della zona. Allo stesso modo la spinta verso il futuro e la modernizzazione non può non essere accompagnato dalla valorizzazione della cultura ivi compresa la lingua e il dialetto. Per questo la polemica è distituita di qualsiasi fondamento soprattutto per chi è rivolta ad una persona che abita al confine con il Veneto e che conosce bene l’eccellenza, il valore e la cultura delle persone che lo popolano.
Mariastella Gelmini
La ministra che così si esprime, dovrebbe tornare a frequentare con profitto la scuola dell'obbligo, anche nell'ipotesi che il testo fosse stato prodotto da un collaboratore e da lei soltanto sottoscritto. Non si può parlare di lingua, di dialetto e di cultura sconoscendo le basi grammaticali e sintattiche dell'Italiano. A maggior ragione non si può governare la Scuola e il corpo docente, l'Università e tutto il settore della ricerca quando in un testo di 15 righe si commettono tali e tanti strafalcioni.
Adesso comprendo ancora meglio come mai la succitata ministra abbia dovuto nel 2001 lasciare la sua terra "al confine con il Veneto" e trasferire la propria residenza a Reggio Calabria per superare l'esame di abilitazione a procuratore legale. Ci vuole un'ambizione smodata e una mancanza totale di responsabilità a fare il Ministro, e per di più dell'Istruzione, Università e Ricerca nelle sue condizioni.
Finora mi sono limitato a mettere in rilievo gli strafalcioni grammaticali e sintattici, ma vorrei considerare anche il contenuto e chiederei alla ministra: cosa significa "rivolta ad una persona che abita al confine con il Veneto e che conosce bene l’eccellenza, il valore e la cultura delle persone che lo popolano?". Degli altri italiani che non hanno la "fortuna" di abitare ai confini con la sua regione, cosa conosce?
Cosa significa "la spinta verso il futuro e la modernizzazione non può non essere accompagnato dalla valorizzazione della cultura"? Di quale futuro parla? Di quale modernizzazione? Di quale cultura? Cosa significa "I professori ad esempio devono sempre di più provenire dalla stessa regione nella quale insegna"? Ci spieghi perchè. Per esprimersi così?
P.S.: a proposito di ambizione smodata e mancanza di responsabilità vorrei far sapere alla ministra che all'inizio degli anni '70, giovane insegnante siciliano, inc. a t. i . in una scuola media di una stretta valle del Trentino, come iscritto alla CISL-Scuola e membro del direttivo provinciale di quel sindacato, data la penuria di presidi oltre che d'insegnanti, mi fu offerto l'incarico di presidenza in una scuola della zona. Incarico che rifiutai senza esitazione sostenendo che intendevo imparare a fare l'insegnante prima di imbarcarmi in un compito che consideravo più grande di me, valutando inoltre che avrei avuto sotto la mia direzione vecchi colleghi originari del luogo. Avrei potuto far carriera ma non mi pento delle mie scelte: dedicandomi per decenni al mio modesto lavoro, ho imparato almeno a leggere e scrivere.
Sulla ministra Gelmini, vedi anche il mio post: Quo usque tandem, Silvi, abutere patientia nostra? e il commento di Vittorio Zucconi in “Is OUR CHILDREN learning?”
Adesso comprendo ancora meglio come mai la succitata ministra abbia dovuto nel 2001 lasciare la sua terra "al confine con il Veneto" e trasferire la propria residenza a Reggio Calabria per superare l'esame di abilitazione a procuratore legale. Ci vuole un'ambizione smodata e una mancanza totale di responsabilità a fare il Ministro, e per di più dell'Istruzione, Università e Ricerca nelle sue condizioni.
Finora mi sono limitato a mettere in rilievo gli strafalcioni grammaticali e sintattici, ma vorrei considerare anche il contenuto e chiederei alla ministra: cosa significa "rivolta ad una persona che abita al confine con il Veneto e che conosce bene l’eccellenza, il valore e la cultura delle persone che lo popolano?". Degli altri italiani che non hanno la "fortuna" di abitare ai confini con la sua regione, cosa conosce?
Cosa significa "la spinta verso il futuro e la modernizzazione non può non essere accompagnato dalla valorizzazione della cultura"? Di quale futuro parla? Di quale modernizzazione? Di quale cultura? Cosa significa "I professori ad esempio devono sempre di più provenire dalla stessa regione nella quale insegna"? Ci spieghi perchè. Per esprimersi così?
P.S.: a proposito di ambizione smodata e mancanza di responsabilità vorrei far sapere alla ministra che all'inizio degli anni '70, giovane insegnante siciliano, inc. a t. i . in una scuola media di una stretta valle del Trentino, come iscritto alla CISL-Scuola e membro del direttivo provinciale di quel sindacato, data la penuria di presidi oltre che d'insegnanti, mi fu offerto l'incarico di presidenza in una scuola della zona. Incarico che rifiutai senza esitazione sostenendo che intendevo imparare a fare l'insegnante prima di imbarcarmi in un compito che consideravo più grande di me, valutando inoltre che avrei avuto sotto la mia direzione vecchi colleghi originari del luogo. Avrei potuto far carriera ma non mi pento delle mie scelte: dedicandomi per decenni al mio modesto lavoro, ho imparato almeno a leggere e scrivere.
Sulla ministra Gelmini, vedi anche il mio post: Quo usque tandem, Silvi, abutere patientia nostra? e il commento di Vittorio Zucconi in “Is OUR CHILDREN learning?”
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