Oggi voglio segnalare l'attività letteraria di Rosario Loria, un siciliano doc, artigiano in pensione, vivente a Menfi e originario di Poggioreale. Da ragazzo Rosario trascorreva il suo tempo libero presso la biblioteca S. Giovanni di Menfi dove, con alcuni studenti come me, aiutava don Pietro, vecchio prete addetto alla gestione della biblioteca parrocchiale circolante, nella catalogazione di libri e riviste, e dialogava con i pochi frequentatori del sodalizio cibandosi della lettura di opere narrative più o meno edificanti. Il tarlo della lettura da allora non lo ha più abbandonato, presto accompagnato da quello della scrittura. Da autodidatta Rosario si è formato un bagaglio di conoscenza e di sapere davvero invidiabile, utilizzato sin dagli anni '60 in una miriade di suoi testi di narrativa, di poesia e teatrali spesso volti a scandagliare le pieghe nascoste del suo animo e a recuperare i tratti più significativi di un mondo contadino povero e già estinto. Tra le opere più significative pubblicate meritano una citazione Peperoni a cena con delitto, Non è cosa per cui, Sequestro di persona.
L'ultimo impegno titanico in cui l'ho visto da anni cimentato è il Parolario, una raccolta ambiziosa del lessico siciliano, dove non si limita a tradurre in lingua decine di migliaia di voci gergali ma fornisce per molte di esse un commento fatto di aneddoti e riferimenti al mondo contadino di cui sopra. Le parole morte o moribonde, rivivono, pertanto, attraverso il recupero di episodi e momenti di vita di un mondo perduto. Per citare la stessa presentazione di Loria nel suo Parolario "Non posso iniziare, come per le narrazioni, prima delle revisioni, con un brains-tarming, come dicono gli inglesi, ovvero con una libera produzione di idee, o con il ‘flusso di coscienza’, - Joice, Ulisse. - bisognoso di una cornice per essere irreggimentato, ma con parole semplici, prive di flessioni intraducibili, aderenti a questo ‘silos’ strapieno, servendomi solo di una breve rincorsa.
Frequentavo le elementari, forse la quinta, quando il mio Maestro Vito Corte mi annunciò che un’equipe di Dottori in Lettere, a Palermo, stava tentando di fare un Vocabolario Siciliano. E a lui era stata richiesta una gratuita collaborazione, che aveva accettato. Poco tempo dopo seppimo che il tentativo dei Dottori in Lettere, a Palermo, si era arenato. L’Opera, nonostante gli sforzi, annegò in un lago di diatribe tra collaboratori, che si accapigliavano per stabilire il significato e la traduzione di un singolo termine. Pur attratto da tutto questo, ero un bambino, e non capivo le ragioni della contesa. Ma la chiave di volta l’ebbi a casa mia. Notavo che i mietitori di Castelvetrano e quelli di Alcamo, durante la mietitura, chiamavano il secchio, cioè, quello che per me era un comune “catu”, con nomi diversi. Il primo, lo chiamava “lu càddu”, il secondo, lo chimava “lu sicchiu”. Gli abitanti di tre paesi vicini, Alcamo, Castelvetrano e Poggioreale, nominavano lo stesso contenitore con tre nomi diversi, cui si accompagnava la scompaginazione di una fonetica oscillante retta da accenti, toni e smorfie contrapposti, con un‘evidente innegabile eredità dell’ammccàta e del registro ‘francesi’."
Frequentavo le elementari, forse la quinta, quando il mio Maestro Vito Corte mi annunciò che un’equipe di Dottori in Lettere, a Palermo, stava tentando di fare un Vocabolario Siciliano. E a lui era stata richiesta una gratuita collaborazione, che aveva accettato. Poco tempo dopo seppimo che il tentativo dei Dottori in Lettere, a Palermo, si era arenato. L’Opera, nonostante gli sforzi, annegò in un lago di diatribe tra collaboratori, che si accapigliavano per stabilire il significato e la traduzione di un singolo termine. Pur attratto da tutto questo, ero un bambino, e non capivo le ragioni della contesa. Ma la chiave di volta l’ebbi a casa mia. Notavo che i mietitori di Castelvetrano e quelli di Alcamo, durante la mietitura, chiamavano il secchio, cioè, quello che per me era un comune “catu”, con nomi diversi. Il primo, lo chiamava “lu càddu”, il secondo, lo chimava “lu sicchiu”. Gli abitanti di tre paesi vicini, Alcamo, Castelvetrano e Poggioreale, nominavano lo stesso contenitore con tre nomi diversi, cui si accompagnava la scompaginazione di una fonetica oscillante retta da accenti, toni e smorfie contrapposti, con un‘evidente innegabile eredità dell’ammccàta e del registro ‘francesi’."
Complimenti a Rosario per essere riuscito in un'impresa in cui i Dottori in Lettere di Palermo hanno fallito, ammiro la sua tenacia e comprendo l'orgoglio che esprime per avere portato a conclusione un'opera incredibile. Il suo è un lascito importante per le nuove generazioni e spero che l'opera venga patrocinata e messa a disposizione delle scuole siciliane.
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